La paura sta là, o la ascolti o impazzisci.
È un brusio che può crescere fino a diventare un urlo. Non c’è nulla che tu possa fare di sensato di fronte alla paura, che sia diverso dallo stare fermo a osservarla. Respirare piano senza sapere che sei tu che l’hai partorita e sfamata, per nulla. Può rovinare pure il marmo, perché lo vede cristallo e pensa che prima o poi si romperà. Così lo fa lei stessa a colpi di martello, prima di qualcun altro. Lo tieni fra le mani e fai una gran fatica però ti senti di far bene, tanto prima o poi sarebbe finita così: è questa la convinzione che muove il gesto. Come se le cose accadessero da sole, come se non fossi tu stesso a provocarle, a costruire e a distruggere pensando di costruire. Pur trovandoti in alto, pur su una sedia privilegiata nel cielo da cui osservi la città, le persone, gli incontri, gli occhi, con obiettività reale, che ti fa persino rendere conto che a incrinare tutto è solo paura, null’altro di concreto o motivato, la paura non la puoi evitare; scacciarla sì, ma poi torna, al primo silenzio. Al primo di troppi minuti di silenzio. Quelli che seguono il disastro, mentre osservi muto i frammenti e la prima cosa a cui pensi è che rincollando tutto potrebbe funzionare.
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