Una battuta d’arresto ci sta. Venerdì sera il malessere, che per tutto il giorno mi ha fatto invocare la venuta sulla Terra di Satanasso, ha raggiunto il picco massimo. Stavo in piedi, ma sarei potuto crollare a terra da un momento all’altro. Non saprei dire perché non è capitato, cos’è che mi ha tenuto in equilibrio con quel dolore allo stomaco, comunque sono vivo. Posso dire invece perché è capitato. È questione di costruzioni: i Lego vanno bene. Mettiamo il caso che io ami i Lego e che qualcuno, dopo anni di esercizio solitario in casa mia e in quella di pochissimi altri, abbia notato la mia predisposizione a inventare nuove forme coi mattoncini colorati. Mettiamo pure che tanto queste forme siano di suo gradimento che questo qualcuno decida di regalarmi una gigantesca scatola di Lego nuova con dentro il castello di tutte le favole del mondo e mi dica: “Ora che ce l’hai, costruiscilo!”. Ecco.
Io mi sono messo a lavoro senza pormi una sola domanda. Come un artigiano selezionavo i pezzi, li tagliavo, li scartavetravo, li coloravo, li incollavo, qualcuno con una vite, qualcun altro con un chiodino fisso al muro. Nutrivo gli alberelli finché le fronde non toccavano le nuvole e poi li piantavo ai lati del mio portone. Tutto senza ragionare. Se l’avessi fatto, ragionare, adesso probabilmente sarei ricoverato in una clinica per incurabili, senza aver tirato su neanche le fondamenta del castello. Ho trovato i giusti incastri anche quando i pezzi a disposizione erano pochi e all’apparenza non similari. Sono andato avanti, perché quel castello di tutte le favole è ciò che ho sempre sognato dal preciso momento in cui ho cominciato a sognare veramente.
Le altre volte erano i soliti sogni. Non potevo sapere che mi avrebbe fatto compagnia tutti gli anni della mia vita. Me lo ricordo quel momento. Era l’estate bollente di passaggio dalle elementari alle medie. Io ero un bambino un po’ ciccione, con indosso una vecchia tuta per la casa, con pochi amici – faticavo a morte coi rapporti, mica come adesso. Proprio quando ero riuscito ad abituarmi ai miei compagni di classe, alle facce di tutte le mattine, alle voci che più spesso mi toccava ascoltare. Proprio quando ero riuscito a plasmare una forma di convivenza conveniente, che facesse sembrare la mia solitudine solo timidezza, un casuale star zitto, e non mi esponesse troppo alle risate del gruppo. Una sorta di invisibilità in una classe di bambini urlanti, mi toccava cambiare classe, cambiare mondo, inevitabilmente crescere con loro e stabilire nuove regole, escogitare nuovi piani per star bene. Leggevo ‘Le notti di Salem’ di Stephen King e a un certo punto ho perso il contatto con la mia stanza, col letto, col cuscino, con la luce del sole pomeridiano fra le persiane. Travolto nella terra del terrore, per la prima volta mi capitava di provare paura per un’invenzione che non mi apparteneva. Ho capito allora il potere delle parole. Ho invidiato a morte Stephen King e tutti coloro che lo possedevano. “Voglio scrivere anch’io così” e da allora di scrivere non ho smesso mai. Neanche la paura di possedere la scatola di Lego più grande del mondo è bastata. Una battuta d’arresto ci sta però. Non so dire altro che questo, cioè che si tratta di una battuta d’arresto nel corso di cose che non sono quasi per niente nelle mie mani, ma che con le mie mani tento di spostare verso il grande castello. La rabbia, per un cambiamento che rimette tutto nel fascinoso gioco dei dubbi e dell’incerto, venerdì s’è trasformata in dolore fisico. Sono tornato a casa sconfitto, impotente e ridimensionato. Il giorno dopo mi sono svegliato con un piano e sono tornato a giocare. Sul pavimento centinaia di mattoncini che aspettano una collocazione. Piccoli e tutti identici, mi chiamavano e io per un giorno non ne ho voluto sapere.
Ora che ce l’hai, costruiscilo! Ogni tanto me ne dimentico. Penso che le difficoltà equivalgano alla sconfitta. E invece quelle son lì a fare scrematura, come un setaccio che non fa passare chi molla la presa e si arrende. Io lo voglio quel castello, ci voglio abitare, voglio spolverare quelle stanze fatte di parole, sentire l’odore della carta e quello del senso della mia vita. E allora ricomincio a costruire.
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