Patrizia Sergio di Malicuvata legge e recensisce Supermarket24.
Dunque nulla di nuovo ad una prima lettura di questo romanzo imperniato su tematiche postmoderne: il supermercato, in primis, inteso come microcosmo che racchiude tutte le nevrosi dell’uomo moderno, costrutto della spersonalizzazione di cui è vittima la società dei consumi; poi è la volta della provincia e delle sue caricature sociali; il protagonista, giovane disadattato che ripiega su un lavoro qualunque, uno tra i più anonimi, il commesso di un supermercato, semplicemente per tirare su qualche euro che gli permetta di arrivare a fine mese e di guadagnarsi una minima indipendenza dai propri genitori.
La fauna che popola il mondo di “SpesaPiù” è archetipica delle categorie sociali ampiamente stereotipate e non sorprende quasi nulla di quanto narrato. Anche la scelta di una narrazione in prima persona rispetta tutti i requisiti di questo genere narrativo, così come la parentesi pseudo amorosa che nulla risolve e si consuma in fretta, senza particolari implicazioni.
Nel corso della narrazione i contorni della realtà si dilatano e il lettore finisce per subire anch’egli l’effetto dell’odiosa luce a neon dei supermercati che crea una dimensione surreale, fittizia e destabilizzante. Così anche il lettore si aggira, come il protagonista, tra i reparti anonimi di un mondo alla David Lynch, in cui si sovrappongono voci distorte e volti che perdono ogni connotazione umana. Così come il protagonista, si resta ingabbiati in questa luccicante quanto mai asettica realtà, a contare le ore che separano dalla vita (reale?) che è fuori. Ma dopotutto quale sia la realtà più autentica, cosa sia reale o semplice proiezione delle nostre aspettative e valutazioni artefatte, resta un’incognita che l’autore mostra senza mezzi termini e che non intende assolutamente risolvere. La narrazione si dispiega attraverso una spirale di episodi, di storie nella storia e il finale aperto intensifica il senso di non compiuto, di sospeso, di incerto, di apnea cognitiva che caratterizzano l’intero lavoro.
I capitoli recano il count-down alla fine del turno di lavoro, una delle tante forme di nevrosi dell’alienazione moderna, colpisce anche il lettore man mano che avanza nella lettura e ogni capitolo riporta le ore di lavoro, quasi timbrasse anch’egli il cartellino, una sorta di obolo per essersi introdotto in un moderno girone infernale.
Se il romanzo non sorprende per l’argomento, indubbiamente punto di forza e di giudizio positivo è lo stile: personale, diretto, crudo, un ghigno che esprime l’amarezza più feroce.
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