Tentavo di raggiungere il mio posto di lavoro in un tempo impossibile, secondo quanto dice il sapere fino a oggi saputo.
Se ti poni un obiettivo impossibile tipo, che so, fare L’Aquila –>Torino andata e ritorno in 2 ore, intanto fallisci – se è impossibile, è impossibile (impossible is nothing è solo lo spot pubblicitario di un marchio di scarpe e tu non sei Nadia Comaneci) – poi può capitare che, nel costruire il fallimento annunciato, fai anche danni; strafai per abbattere i limiti che stabiliscono tale impossibilità e abbatti qualcun altro.
La distanza che separa casa dal mio posto di lavoro richiede una ventina di minuti a bordo di un mezzo di trasporto a motore (diverso dal treno, dall’aereo e dal missile) guidato con mano attenta, ma non inappuntabile. Se la mano fosse ligia al dovere, rispettosa di ogni norma del codice della strada, il tempo di percorrenza aumenterebbe sensibilmente. Questo non vuol dire che da oggi siamo tutti autorizzati ad andare a 100 all’ora (brem brem brem brem, brem brem brem brem), nemmeno per amore.
Però.
Qualche impercettibile infrazione quotidiana che male può fare?!
– Un semaforo rosso superato, dopo aver guardato 3 volte a sinistra e 4 a destra (è da là che sopraggiungono i pericoli peggiori, bisogna fare attenzione).
– Una precedenza non data alla monovolume di turno avente diritto (che se la riprenderà a scapito del prossimo malcapitato); che sarà mai?!
– Una strada pedonale (divieto d’accesso, transito, fermata, sosta) intrapresa per tagliare. (Meno di 3 minuti. Stai tranquillo, a parte una vecchina, sulla strada non c’era nessuno che possa averti visto compiere l’infrazione).
– Una vecchina accidentalmente investita su una strada pedonale (la stessa, che adesso non può più parlare). Ehm.
Piccole cose insomma a garantire che quei 20 minuti siano davvero 20, nei quali intervengono anche altri fattori, esterni alla mia persona.
– Le condizioni del traffico (la domenica mattina non è la medesima situazione di un qualunque sabato pomeriggio; se la domenica mattina è estate e il pomeriggio del sabato scelto inverno, il paragone è abissale, ma non siamo ancora a quei livelli).
– Il numero delle strade percorribili in città (= 2, sulle quali devono transitare 60mila veicoli).
– La visibilità oggettiva (quanta strada si distingue, se c’è foschia, se è giorno, notte, eclisse).
– La visibilità soggettiva (la mia, che certi giorni ci vedo meno e altri poco di più. Nemmeno questo dipende da me, però).
– Il cielo. Un cielo sereno può ridurre il tempo di percorrenza anche del 15 per cento, un cielo temporalesco, che butta acqua a secchiate, ritarda il mio arrivo mediamente di 10 minuti. Per me, che viaggio con un margine di errore consentito fra i 3 e i 6 minuti, significa timbrare il cartellino in ritardo di almeno 4 minuti, che per il mio datore di lavoro significano panico alle stelle, con tutte le parole sempre uguali che ne conseguono. Ho il terrore di guidare con la pioggia. Mica per i fulmini! A L’Aquila quando piove la gente si ringalluzzisce e gioca alle macchine da scontro. Anche questa è una forma di reazione, quindi bene per la città e male per i veicoli centrati.
Ieri avevo il disperato bisogno di superarmi, così ho cercato di dimostrare che casa –> lavoro si può fare in meno di un quarto d’ora, 13 minuti per l’esattezza: il tempo per evitare il ritardo e le solite parole. Nel caso in cui non disponiate di praticissimi lampeggianti blu polizia stick stack, procuratevene un paio dal più vicino rivenditore non autorizzato. Basta piazzarli sul tettuccio e azionarli per ammirare il mare di automobili davanti a voi aprirsi come le acque del Mar Rosso con Mosé, animato da una gran fretta di arrivare al monte Sinai (non chiedetemeli perché non posso prestarveli, davvero). In alternativa preparate la mano sospesa sul clacson, come si faceva al Quizzone di Gerry Scotti col pulsantone per la prenotazione (one-one-one), pronta a sparare strombazzate intimidatorie a tutti coloro i quali occupano lo spazio antistante il mezzo, colpevoli di procedere alla velocità di una larva passeggiatrice, che si guarda intorno e ammira le bellezze che la natura le riserva, passo dopo passo, centimetro dopo centimetro, prato arido con zolle di terra secca dopo prato arido con zolle di terra secca.
Di solito funziona. Di solito.
La signora dolcissima ha reagito alla strombazzata inchiodando. Non avevo mai visto prima una frenata del genere. Chissà cosa avrà pensato quando le sono piombato addosso da dietro (a parte: Statestadimin-chiha parlato?).
“Signora, accosto un attimo” dico dal finestrino. Lei non risponde.
“Signora, mi scusi tanto” chiudo lo sportello della mia macchina e la raggiungo. Lei non scende. “Ho provato a frenare, ma non sono riuscito a fermarmi in tempo.”
Lei non dice niente. (Ma è sotto ipnosi? Qualcuno ha il numero di Giucas Casella? Oddio, quant’è tardi! Devo andare al lavoro! Tardissimo!)
“Le lascio tutti i miei dati, lei mi chiama e mi fa sapere” dico mentre mi muovo verso il portabagagli della sua; voglio cercare di capire i danni. “Devo andare al lavoro, purtroppo non posso trattenermi oltre.”
Viene a vedere anche lei, si rianima: “Non ti preoccupare tanto la macchina non si è fatta niente… a parte questo!” passa il dito su una macchia che va via. “Vai al lavoro se no fai tardi. Fai piano però!”
Non me lo faccio ripetere 2 volte. Rientro in macchina, giro la chiave, rombo di acceleratore, esclamo: “Voglio essere un neutrino!” e arrivo al lavoro spaccando il secondo e senza passare dentro alcun tunnel fantasma non-costruito coi soldi del governo, fra l’altro.
Per fortuna il nostro piccolo scontro non ha provocato nulla (di visibile. O almeno, lei non l’ha visto. Chissà se quel bozzetto sopra la targa c’era già. Io non è che sono stato a domandarglielo).
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