Oggi è un giorno tutto da rifare, cantano i Velvet. Sì, perché forse non sono passati per L’Aquila ieri.
Sveglia alle sette dopo aver chiuso gl’occhietti alle tre passate, con tanto di patatine fritte ketchup e maionese sullo stomaco, al mitico Lurido della notte. Arrivo alla Finanza. Caldo soffocante, solita calca degli oltre mille il cui cognome va da Gase a Gurr (io Grim; sì giusto, è oggi) . Ebbene ci riprovo. Per due motivi; primo perché l’anno scorso sono stato un idiota, guidato dal ludico spirito del ma sì, proviamo, tanto è un gioco.
Ma come si fa a superare tutte le prove, dico tutte, arrivare tra i 250 superfinalisti, e presentarsi all’orale con lo spirito del ma sì, proviamo? Il secondo motivo è legato al puro godimento orgasmico che sa darmi una rivincita; anche se, da come sono andati i quiz, direi che posso sognarmelo di rientrare negli 800 su 21000 (ventunomila) che supereranno la prima prova. L’anno scorso non lo so nemmeno io come ho fatto, ma era un gioco e quindi…
Il ragazzo davanti a me si gira a guardarmi: “Di dove siete voi?” .
“Voi chi?”
“No, va be’, noi a Napoli diciamo così!”
“Ah, comunque L’Aquila.”
“Io Napoli!”
“L’avevo capito.”
Fine.
Il finanziere mentre registra la mia carta d’identità all’uscita: “Ha fatto molta strada lei!” .
“Sì, due chilometri.”
Ride. “In bocca al lupo!”
“Tanto sono già morto.”
Ma cosa ride. Me ne vado.
Torno a casa rintronato dal caldo e dalle occhiaie. Cazzo quanto pesano!
Mentre aspetto che bolla l’acqua suona il cellulare. Fabio.
“Hai visto la TV?”
“No.”
Accendo. Aiuto.
“Quindi non sai niente di quello che è successo un quarto d’ora fa sotto casa mia?”
“No, che è successo?”
“Uno ha aspettato una ragazza fuori la casa, gl’ha sparato due colpi di fucile in mezzo alla strada, poi è arrivato a Cansatessa, ha messo fuoco alla macchina, e s’è sparato.”
“Cosa?!”
Era appena accaduto, in una strada che conosco bene. L’allarme l’ha dato il padrone di un negozio di vestiti che ha assistito alla scena, e non smetteva di piangere.
Notizie dettagliate l’avrete sentite ai TG. Vi linco due articoli, usciti sul Messaggero e su Repubblica.
OK (mica tanto) .
Ieri sera partita di pallavolo tra noi. Da premettere che la prima era finita con una pallonata in faccia di una potenza disumana; sono stato venti minuti a guardare il soffitto con gl’occhi inebetiti, che nuotavano tra tante farfalline con le ali colorate tutte intorno a me. Alla Megan Gale, insomma.
Ieri sera, proprio quando ormai stavo trascinando la mia squadra al trionfo e alla splendida rivincita, salto per piazzare la mia solita schiacciata devastante, punto. Sì, ma l’atterraggio è stato, devo dire, altrettanto devastante. Direttamente sulla caviglia. Ahia!
Mi siedo qualche minuto. Ragazzi sto bene. Ragazzi, rientro.
La voglia di giocare, l’adrenalina, il gonfiore, evidentemente hanno nascosto parecchio il dolore. Stanotte avessi chiuso occhio mezzo minuto. Ho pensato che bastasse appoggiare il piede sul cuscino per sentirmi meglio. Il dolore è aumentato, e appena le lenzuola sfioravano quel blu livido mi schizzava in aria il cervello, e gl’occhi reagivano sbarrandosi fissi al buio della parete davanti; intanto il pendolo rintoccava.
Stamattina riesco a camminare con (molta) difficoltà, e questo mi fa pensare che non si sia rotto niente. Spero. Mi sono cronometrato. Impiego quattro minuti abbondanti per arrivare dalla mia stanza alla cucina.
Tutti dicono: “Mettici il Lasonil!”, ma io non ce l’ho. Poi oggi è anche sabato e le farmacie sono chiuse. Dovrebbe essercene una di turno, la cercherò.
Non mi sorprende che Libero abbia sistemato la linea di Luca e Niccolò proprio ieri, e proprio mentre grandinava. In una giornata assurda, di una L’Aquila impazzita. In cui un paio di settimane fa due tipi si accoltellano per amore davanti a un bar, Berlusconi si sente male; e ieri uno col fucile spara come se fosse naturale liberarsi di qualcuno semplicemente uccidendolo.
M.
Si ringrazia vivamente Niccolò per l’umanità e la delicatezza dimostratami quando, mentre ero a terra e mi tenevo la caviglia, nel silenzio preoccupato di tutti, lui rideva incontrollato al centro del campo.
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