Oggi ho fatto fuori l’ennesimo mazzo di chiavi.

È un’attitudine incurabile, una sbadataggine senza rimedio. Ogni volta che prendo in mano uno di quegli stramaledetti pezzi di metallo intagliato mi ripeto: “Stai attento, pensa a cosa fai, a dove vai, e li porti, e li appoggi, controlla ogni movimento…”

Io sto attento. Penso a cosa faccio, a dove vado, e li porto, e li appoggio, controllo ogni movimento; eppure, magari non nell’immediato, magari il giorno dopo, sparite le chiavi.

Di solito finiscono in qualche tasca di cui ho sempre ignorato l’esistenza; raramente tornano alla luce, e mai prima di un paio d’anni, quando ormai l’ho rifatte oppure ho cambiato le serrature; e allora le uso per sbudellare le zecche.

Fermo la macchina davanti al cassonetto. Sì, lo so che è divieto di sosta e fermata, ma non pretenderanno che mi faccia i chilometri con cinque buste della CONAD piene di umido puzzolente! Con gesto atletico lancio le prime due, e poi le altre due; la quinta tintinna.

Oddio le chiavi. Mano in tasca. Della macchina, presenti. Di casa, presenti. Tiro un sospiro di sollievo mentre percorro la salita fino a casa di Luca e Niccolò. Pranzo insieme: penne al sugo semplice, insalata con l’olio (io ci volevo l’aceto), caffè divino simil-bar, gelato che non gela gusto cappuccino. Visione delle altre due puntate di Ugly Betty, e studio alternato a simpatiche pause ciambella e internet.

Alle diciannove e trenta parcheggio fuori casa, scendo, arrivo al cancelletto. Mani in tasca. Niente. OK, ripeto il gesto. Mani in tasca, niente. Le chiavi. Torno in macchina, niente. Ancora in tasca, (lo so che c’ho già visto) niente.

Mi apre mia madre che, dopo il momentaneo impeto di incontrollata violenza urlante scatarravolgarità, torna in cucina rassegnata.

 

“Hai controllato in macchina?”

“Sì.”

“Sicuro che quando sei uscito le portavi?”

“Sì.”

“Questo sarà il decimo mazzo di chiavi che perdi, lo sai?”

“Non l’ho perse.”

“E dove sono?”

“Non lo so, erano in tasca.”

“Se non lo sai vuol dire che l’hai perse; comunque stavolta le paghi tu, io non te le rifaccio!”

“Oddio ma’, ho come un’illuminazione!”

“Ah, dove stanno?”

“Beh, a quest’ora ormai alla discarica comunale!”

“L’hai buttate nel cassonetto?”

“Mi sa di sì. Ho sentito qualcosa di tintinnante mentre lanciavo una busta.”

“E perché non l’hai recuperate?”

“Perché ce l’avevo, ho controllato.”

“Sei peggio di nonna Giovannina.”

“Perché?”

“Stava tutto il giorno a chiedere chi s’era rubato le sue chiavi, ché lei non l’aveva spostate dalla mensola; a dire che erano tutti stronzi, che le volevano male, che la dovevano smettere di frugare tra le sue cose, e poi, quando la sera si spogliava, le cascavano a terra dalle tette.”

[risata con le lacrime]

“Almeno se le metteva nelle tette, tu le butti!”

 

M.

 

Nonna Giovannina tornerà presto. Non nel senso che tornerà in vita. Va be’, ci siamo capiti.

54 risposte a “Nelle tette di nonna Giovannina”

  1. Avatar matto81

    Fred, lo so che è viva. A meno che quella che ha chiamato l’altro giorno non era la sua reincarnazione nel filo del telefono.

  2. Avatar utente anonimo
    utente anonimo

    (Fred) Mattè la comare Lorenzina è viva e vegeta ……lei dice sempre “hiii so seppellit tre marite mo deve seppelli queli dele figlie”…..oppure ” in Canadà mi sposai co lo seconde marite ,i ritornai co l’aereo isso co la cassa da mort!!”

  3. Avatar matto81

    Serry, come stai? Bentornata!

  4. Avatar utente anonimo
    utente anonimo

    hi hi. io ho passato un anno o più a cercare degli occhiali per poi ritrovarli in un vecchio raccoglitore delle medie… quando si dice che lo studio fa male. serry

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sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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