Una Vigilia schifosa. Potrei sforzarmi di inventare un post augurale preceduto dal racconto di una serata di Vigilia principesca, a capo di una tavolata di 151 persone allegre, festanti e brindanti. Evito perché tanto siamo io e voi. La verità è che quella che doveva essere la nostra Vigilia di famiglia si è trasformata in una cena triste.
Madre ha passato l’intera giornata a cucinare.
“Matte’, quanti sono 2 decilimetri di panna da cucina?”
“Deci che?”
“Decimetri. Dài che è tardi e fra poco viene tua nonna!”
“Forse decilitri. La panna mica è una distanza che si misura col metro.”
“Eh, quanti sono? Non mi far perdere tempo ché c’ho ancora 166 euro di pesce da pulire!”
“Dipende da quanti ce ne sono nel pacchetto.”
“Qua dice 500 ml.” Lo pronuncia proprio ml senza vocali; non emmeelle né millilitri, ml.
“Allora devi fare un’equivalenza, da decilitro a millilitro. Prima viene il centilitro e poi il millilitro, quindi…?”
Accanto alla tempia di Madre spunta la lampadina di Archimede Pitagorico di quando aveva un’intuizione geniale: “Quindi 2 decilitri sono 200 litri!”
“NOOO!!! Sono 200 millilitri.”
Madre esausta: “Insomma, quanta cazzo di panna ci devo mettere? 10 pacchetti?”
“Un po’ meno di mezzo!”
“E tanto ci voleva? Fammi capire, ma tu ti stai laureando per questo?!”
L’atmosfera in cucina fra l’ironico e il disperato pareva quella giusta. Ho abbandonato Madre fra i magici fumi del suo regno di pentole e fornelli. Mi ha salutato così: “Oddio, non so da dove cominciare!”. Sono uscito per il classico aperitivo di Vigilia che son quelle cose che, se manchi, ti insultano come se, alla luce della crisi, tu abbia deciso di arrotondare le magre entrate mensili spacciando eroina davanti alle scuole.
Sono tornato presto e c’era già mia nonna, vestita di un’eleganza rigorosamente cinese che ci tiene a sottolineare. Poi una cosa ha rovinato tutto accendendo uno a uno quegli interruttori che in certe occasioni ci si sforza ti mantenere giù, ricorrendo anche a una conveniente finzione, nel caso serva. Non entro nei dettagli. E quindi via alle danze. Sono volate parole pesanti, in tal caso lontanissime dalla verità. Negli occhi di Madre ho visto materializzarsi una delusione sconfinata. Per il Cenone a lungo pensato e preparato; per l’atmosfera rovinata; per la rinnovata consapevolezza che non siamo proprio ‘sta grande famiglia; per i suoi figli dei quali non è soddisfatta. Mia nonna, a 81 anni, tirava fuori argomenti alternativi per spostare la discussione e salvare il salvabile. La guardavo e ascoltavo, ammirato dalla sua lucida intelligenza. Comunque non si è salvato niente. Mio padre l’ha riaccompagnata a casa alle 23. Madre l’ha salutata con gli occhi arrossati, umidi e carichi di tristezza e rabbia; ha sorriso. Si è seduta sulla madre-poltrona rossa senza sparecchiare. Ha steso le gambe su una sedia ammorbidita da un vecchio cuscinotto e si è appisolata. Io mi sono messo a letto a leggere ‘Trilogia della città di K.’ di Agota Kristof (se non l’avete letto fatelo, perché la solitudine di Lucas e Claus vi resterà impressa nel cuore, e poi è scritto benissimo). Ho spento luce e telefono prima di mezzanotte. Ho rimandato gli auguri al giorno dopo, sperando in un umore migliore.
Oggi lo spettacolo torna in scena con un titolo diverso: Natale in casa Grimaldi, e gli stessi attori. Tremo all’idea che possa ripetersi identico a ieri sera. Comunque vada, se ne andrà. Tento di raccogliere semi dalla tempesta. Ho capito che devo portare a termine un progetto sbagliato in partenza. Devo farlo per chi ci tiene molto e anche per me, se no non cambio e non cambia.
E il vostro, che Natale è? Spero bello. Se qualcuno di voi ha ricevuto un dono leggendario da quel Babbo del quale tutti parlano, me lo racconta ché ho bisogno di meravigliarmi?
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