Ho sognato di invecchiare. Ve lo dico con in sottofondo un gran vento, che a Villa Madre si percepisce sempre più forte di quello che è, per via delle persiane che non si fissano mai bene, si scontrano e ritraggono; il filo della tenda da sole, col pomello di plastica all’estremità, che sbatte contro i vetri. Dal frastuono sembra che fuori si stia scatenando un tifone. Il contrasto aumenta il senso di tranquillità in Villa in cui tutto tace, immobile, quando manca Madre. Poi magari esci e ti ritrovi a constatare che si trattava solamente di un venticello pre-primaverile incapace persino di scompigliarti il ciuffo, per chi ce l’ha. Presenti esclusi.
Non ho avuto mai paura di invecchiare, protetto dalla sicurezza di mantenere integre tutte quelle caratteristiche non soggette all’azione logorante del tempo. Perciò è stato un sogno destabilizzante, perché di paura ne ha aggiunta una. Ho vissuto i miei primi 30 anni certo che invecchiare è sempre e comunque. Che sia dai 10 ai 15 e poi ai 20; che sia dai 21 ai 30, che parlano di shock e invece non è; perché dovrei temere i 40 o i 50 o i 70, se finora è andato tutto liscio? Ho scoperto che esiste una risposta e che quella paura è tutt’altro che estranea; l’ho fatto attraverso un sogno. Tanti anni cambiano il volto, anche pochi in verità, però l’effetto dei molti anni non lo puoi truccare. Nel sogno capitava all’improvviso, da una notte all’altra. Nella vita è un processo graduale che difficilmente riesci a seguire di pari passo col suo evolversi. Un giorno ti guardi allo specchio, come nel sogno, e un siero paralizzante percorre in pochi istanti i canali venosi, lasciandoti immobile davanti a un volto che non riconosci. Non era lo stesso sorriso di sempre e non lo accettavo. All’inizio non ci ho dato peso. Cercavo, attraverso prove costruite apposta per rivedere quello che non c’era più, di compiere un viaggio indietro nel tempo dell’espressione giovane. Impossibile. Lo specchio restituiva sempre la stessa verità; non si può chiedere a uno specchio di mentire. La bocca era rattrappita, gli occhi ricoperti da una luce grigia emanata dalle pieghe della pelle. Ho provato rabbia, impotenza. Avrei voluto uccidermi se ciò avesse portato all’omicidio dell’immagine riflessa con tutti quegli anni addosso. Non per le rughe o per la pelle rovinata, ma per quel sorriso che non riuscivo a riprodurre, perché le labbra arrivavano fino a un certo punto e quel punto non era ridere. Tutto era vecchio ed ero vecchio anch’io, che non potevo trasformare l’incubo in una certezza sempre avuta: il mio sorriso non cambierà, che lo specchio all’improvviso smentiva.
Mi sono svegliato domandandomi se è davvero così: se invecchiando s’indebolisce pure l’aura intangibile che parla di noi agli altri da una vita, il motivo per il quale gli altri ci vogliono accanto, o pregano per non incontrarci, rendendoci irriconoscibili persino a noi stessi.
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