La Papi mi ha trovato fuori Villa Madre al buio delle 5 del mattino. Ero riverso sul trolley. Appisolato, con le gambe sull’asfalto. Mi ha caricato sulla sua vomitevole Ka turchese, e si è diretta verso il luogo dell’appuntamento con la Francesca. Nel frattempo, enumerava tutto ciò che aveva dimenticato. Mentre io avevo ripreso già il mio sonno interrotto dai suoi fari lampeggianti: Pure l’accappatoio, mannaggia! E gli asciugamani, lo spazzolino, il dentifricio, il bagnoschiuma, la pinza a forma di occhiali da sole. Ah, gli occhiali da sole. Cazzo! Ho buttato tutto dentro al trolley senza pensare. Va be’, mo’ che lo apro, scopro cosa c’è. Andiamo con la macchina della Francesca, sua amica e adesso anche amica mia. La verità è che l’automobile è di una nota azienda che si è fatta carico del nostro viaggio. La Francesca doveva andare a Firenze per lavoro, e il gioco è fatto. La Papi, qualche centinaia di metri prima dell’imbocco autostradale, si ricorda che fra le cose dimenticate c’è anche il caricabatterie del cellulare. Non abbiamo scelta: senza cellulare muore. E’ una forma di vita evoluta. Per sopravvivere ha bisogno di aria, acqua, sostanze nutritive e Whatsapp. Torniamo a casa sua, dall’altra parte della città. Torna in macchina con in mano il caricabatterie e il pigiama, tanto che c’era. Arriviamo a Firenze e dintorni alle 9 e mezza, che pare ora di pranzo. Alle 14, ora di cena. Alle 17, di andare a dormire, posticipata però alle 3 del mattino.
La prima giornata la rinominerei Survivor. Francesca doveva recuperare delle carte importanti per la sua generosa azienda. Il nostro ruolo stava nell’aiutarla a districarsi fra un Comune e un altro, dove il navigatore nulla poteva: fra sensi vietati e parcheggi strampalati. Il momento più brutto si è consumato quando è dovuta passare in sede, e restarci un paio d’ore. Ha raggiunto il parcheggio travolgendo 4 o 5 volte i piccoli cordoli separatori, e una volta il muretto, causa di un’onda sul cerchione tutto storto: Ma questo mica l’ho fatto io! Io e la Papi abbiamo avuto la brillantissima idea di sfruttare l’attesa per recuperare parte del sonno perduto. Così, abbiamo allungato i sedili e ci siamo addormentati alla ridicola ombra di un alberello spelacchiato. Meno di un quarto d’ora dopo, ci ritroviamo in una condizione di pre-morte. Avevamo consumato tutto l’ossigeno, lei più di me. La temperatura si aggirava attorno ai 600 gradi. La bocca era incollata, che io non sono riuscito a dire nemmeno: Aiuto! Quello che ho potuto fare è stato colpire un paio di volte il finestrino con la mano. Qualcuno fuori ci guardava commentando con gli occhi: I soliti zingari barboni. Ci ha salvato Francesca, di ritorno dalla sede con un paccone di fogli e una bottiglia di acqua gelata. A casa di Luca e Linda baci e abbracci, e docce. A cena siamo stati da Pizzaman. Io devo andarci, altrimenti potrei diventare violento. E loro lo sanno. Se capitate in zona, andateci e chiedete un panuozzo. Il panuozzo di Pizzaman è l’estasi. Poi abbiamo festeggiato i 26 anni di Niccolò fuori al caffè letterario Le Murate. Seduto a terra, in quello spiazzo circondato da mura antiche illuminate, tavolini, gente, e dai miei amici, mi è salito il brividino della felicità. Quello che torna di rado, quello sincero.
Sabato era il Madonna Day, che rinominerei Sbagliare è umano. Se perseveri, però, sei scemo. Quando ho spinto il portoncino del palazzo di Luca e Linda, dopo aver recuperato le 36 ore di sonno perso, mi sono scottato la mano sulla maniglia rovente, prima di venire investito da una botta d’aria infuocata, che mi ha bruciato i peletti della barba. Per le strade si respirava un odore di pollo bruciacchiato. Non proveniva da una rosticceria ambulante, ma dalla gente, che stava ardendo viva. Il sudore fuoriusciva dai pori e tentava una vana fuga prima di arrendersi all’evaporazione. E io, in queste condizioni da allarme rosso, a fare la fila fuori allo stadio ci vado col mio testone all’aria, parzialmente mancante di protezione pelifera. Come accadde nel lontano 2006 sempre da Madonna, però a Roma. Quanto mi sono pentito di aver scacciato decine di venditori del MDNA-cappellino, con la scritta fatta a mano. Oserei dire a penna. Col senno di poi, avrei dovuto comprarlo a qualsiasi cifra. Per fortuna che c’è la Papi, pronta a spogliarsi nuda pur di proteggermi da una terribile insolazione. Di tanto in tanto passava qualcuno a bagnarci con gli idranti, come i carcerati. Avrei voluto strangolare le ragazze davanti che godevano sotto il vapore ghiacciato, mentre a me arrivavano 2 schizzetti. Che senso di impotenza! Hanno aperto i cancelli alle 18 passate, mentre lei, la mamma di Gesù, faceva shopping in bicicletta per Firenze. Ci siamo appropriati di un ottimo posto in curva, a 60 chilometri dal palco, ed è cominciata la trafila della Papi e della Francesca direzione bagni. Anzi, bar: Vado a fare pipì! E tornavano con un paio di birre ghiacciate a testa. Alla terza volta, ho pensato che quella nel bicchiere non fosse birra. Scusate! Ci vuole poco ad entusiasmare l’intera curva di uno stadio, e l’Artemio Franchi non è piccolissimo.
Bastano due ragazzi magri, con la t-shirt dozzinale del MDNA-tour, scatenatissimi in una coreografia studiata con tanto di playback, che neanche a Non è la Rai. La curva li acclamava in applausi e ole, e quelli continuavano a concedersi ai loro fan. Alle 20 inizia lo show di Martin Solveig, che fa ballare lo stadio con i suoi remix. Io non lo conoscevo prima e non lo conosco dopo. Alle 21, il cielo è ancora chiaro. E’ normale che Madonna aspetti ancora, penso. E poi penso pure che i giornalisti, invece che gridare e scrivere allo scandalo per il ritardo di Madonna, potrebbero prendersela con gli organizzatori che lasciano migliaia di persone ammassate sotto il sole ben oltre l’orario di apertura stampato sul biglietto. Madonna entra e dice: Salute! Io penso che il suo ballerino abbia starnutito, e invece no. Mi è piaciuta. Uno show stupefacente, che noi abbiamo potuto seguire passandoci il binocolo di Luca del quale, dopo la serata, si sono perse le tracce. Del binocolo, non di Luca. Mi sono piaciute le scenografie, gli effetti speciali, le provocazioni contro la parte più squallida della nostra Chiesa. La sua voce, che non sarà quella di Leona Lewis, ma conta poco, se la riconosceresti fra milioni. Tutto tranne la versione che ha fatto di Like a Virgin. Ho dato disposizioni di mandarla durante la mia sepoltura, quando sarà. Naturalmente a palla. Per il resto, ho avuto l’impressione di una star senza tempo, con ancora miliardi di cose da dire e da fare. Capace di reinventarsi, di cantare e ballare e fare capriole a 54 anni. E io che, dopo una mezz’oretta in montagna, soccombo per un enfisema polmonare. Non credevo, e invece mi ha stupito ancora. Grande rispetto, grande soddisfazione. Siamo ripartiti con in corpo 200 grammi di pasta, e un gelato che ci è rimasto qua, visto che di domenica alle 15 erano chiusi tutti i bar di Firenze, Gelatando in particolare. Io e la Papi siamo arrivati a lavoro con un’onesta ora di ritardo. L’autostrada è piena di traffico e inconvenienti, si sa. Madonna è rimasta a Firenze qualche giorno in più per girare il video del nuovo singolo. Avrà gradito la permanenza presso l’Hotel St. Regis. Io sarei rimasto a Firenze per sempre, per far diventare vita mia quella vita parallela nella quale posso tuffarmi per brevissimi bagni di amicizia e felicità. Amici miei, vi adoro.
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