Al fioraio, fuori il grande cimitero de L’Aquila, abbiamo comprato soltanto una piantina di piccoli crisantemi gialli. Avremmo voluto prendere anche qualche margherita e qualche rosa colorata, ma Madre era certa di trovare i vasi accanto alle lapidi dei suoi genitori pieni di altri fiori. Temeva che non ci sarebbe stato posto per i suoi mazzolini.
– Con una piantina non sbaglio di certo, – ha detto.
A me i crisantemi piacciono molto, se non fosse per il nome che portano, che evoca morte, malinconia, disperazione. Però quelli erano diversi. Con i fiori piccoli piccoli e di un giallo che non c’entrava niente con sensazioni così cupe.
Ci siamo rimessi in viaggio verso Caporciano, a una mezz’oretta da L’Aquila. E’ il paese d’origine di Madre. Io al volante; Madre, al posto della passeggera, mi pregava in fa sovracuto di mantenere una distanza di sicurezza tale per cui, nella drammatica eventualità che l’automobile davanti inchiodasse, io avrei potuto scalare con estrema calma le marce, e portare l’autovettura ad arrestarsi come accompagnata da un vento di piume. Lunga vita ai freni! Secondogenita, dietro, ci illustrava molto orgogliosa l’andamento del suo lungo percorso interiore di “depiercizzazione” del viso. Trad: il processo che la porterà a liberarsi gradualmente di tutta la pesante ferraglia appesa a bocca, narici e orecchie. Non abbiamo capito se ha incluso anche le lance che le trapassano i lobi alle quali è particolarmente affezionata. Per quelle non promette niente.
Al cimitero del paese neanche un’automobile parcheggiata. Madre ha ripetuto ancora le storie dei seppelliti che s’incontrano prima di arrivare alle tombe dei nonni. Ce n’è una che le è rimasta a cuore e la racconta sempre con grande partecipazione, nonostante siano passati quasi quarant’anni dalla morte di questo bambino, investito da un camion mentre attraversava la strada. Lo conosceva e ora avrebbero avuto più o meno la stessa età. Quando siamo arrivati davanti alle lapidi dei nonni siamo rimasti in silenzio qualche istante. Non c’era nemmeno un fiore, fatta eccezione per un mazzolino di rose finte, rovinate nonostante la plastica. Ho appoggiato la piantina gialla a terra, ma non era abbastanza. Così ci siamo rimessi in macchina. Madre ricordava di un grosso negozio di fiori che si raggiunge da una strada secondaria e che raggruppa i paesi vicini. Abbiamo seguito i suoi ricordi fino a un cartello di legno con scritto FIORI.
– Io ho un terreno, ma non so più nemmeno qual è. Me ne hanno espropriato un pezzo per farci questa strada.
Quando siamo arrivati, il vivaio era chiuso. Sulla porta il cartello:
RIAPRIAMO ALLE 15.30, VI PREGHIAMO DI NON DARE DA MANGIARE AI GATTI!
Due gatti ciccioni dormivano su uno scaffale di metallo, al sole, e ne ho visto un altro nero che si grattava sotto un SUV. La tentazione di tornare a L’Aquila si scontrava con il pensiero delle lapidi vuote, con solo una piantina di piccoli crisantemi giallissimi. Così abbiamo deciso di cercare un posticino casereccio dove pranzare, e poi tornare al vivaio a prendere i fiori. Prima, abbiamo seguito un’indicazione verso un agriturismo che si è rivelato uno spettacolare casale, per carità, chiuso sbarrato, però. Poi mi sono ricordato che Anita, una mia ex-collega di lavoro, aveva aperto un paio di anni fa un bar/tabacchi/edicola/trattoria da quelle parti. Abbiamo mangiato bruschette al pomodoro, mezze maniche rucola e pomodorini io, risotto al radicchio con aggiunta di tartufo Secondogenita, e bistecchina di maiale Madre, con contorno di broccoli ripassati in padella e spinaci al burro. Mi ha fatto piacere rivedere Anita: i suoi modi carini e il sorriso, la gentilezza che si riserva a un amico, pure se non ci vediamo mai. Era tutto gustosissimo. Anzi andateci, si chiama Dolce e Salato e sta proprio ai piedi di San Pio delle Camere.
Alle 15 e 20 già c’erano un paio di macchine ferme ad aspettare l’apertura. Quando la signora Silvana ha aperto, ci ha accolto un altro gattone a pelo lungo che dormiva all’interno e si è dimostrato felice di ricevere carezze e grattini. Quando incontro un gatto coccolone non resisto. Siamo tornati al cimitero di Caporciano con un mazzolino di rose colorate e un altro di margherite arancio. Ho sciacquato i piccoli vasi di metallo e li ho riempiti di acqua gelida, presa dalla fontanella accanto al pesante cancello di ferro sempre accostato. I fiori avevano i gambi troppo lunghi. Li abbiamo spezzati e infilati nei vasetti, assieme a delle foglie verde scuro decorative e ai ramoscelli bianchi che la fioraia ci ha lasciato in regalo.
Sistemare i fiori con cura mi ha permesso di guardare i volti dei miei nonni a lungo, e tornare a vent’anni fa, nel loro salotto, la stanza più calda nei gelidi inverni aquilani, sulla poltrona di pelle bordeaux, davanti al camino.
Nei loro occhi in bianco e nero ci ho visto un infinito di amore. E poi dolcezza, protezione, domande, le mie, speranze, le mie, forza, quella che mi danno, preghiere, le mie, solitudine, la mia, vicinanza, la loro, fra loro e con me, sicurezza, quella che cerco, paura, quella che rifuggo, freddo e silenzio, in quel cimitero, buio, però insieme, e tutte le albe del mondo, ancora più insieme.
Amore.
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