Ho distrutto la fiancata della di mio padre automobile. Tornavo da Pescara, dal mare, con in tasca tre quarti di spiaggia che poi ho riversato per tutta la casa, giusto per far sentire mia madre in vacanza, lei che il mare non lo vede almeno da nove o dieci anni. Subito una buona notizia: sono vivo. Ero piuttosto stanco, piuttosto significa stanco come un cadavere, però ho deciso di andare ugualmente. Questo perché non penso mai a quei quattro (centomila) capelli bianchi che si moltiplicano sopra le orecchie, riuscendo ancora abbastanza a mimetizzarsi, devo con orgoglio affermare, però ci sono e significano non che sia diventato vecchio, per carità, ma che a ventotto anni, dopo dieci ore di lavoro, quando ti sei svegliato alle cinque perché c’era da aprire alle sei e mezza di mattina, non puoi, caro Matteo, partire e metterti a viaggiare fra strade buie piene di curve e strabenedetti guardrail. Benedetti sì perché, se non ci fosse stato il guardrail, 1. non mi sarei risvegliato, e quando dico che non mi sarei risvegliato intendo per tutti i secoli dei secoli, 2. non avrei rimesso la macchina in carreggiata e 3. sarei finito a rotolare in un crepaccio sperimentando l’eccitante sensazione di un tuffo carpiato fra i sassi, difficoltà 10, e il punto 1. sarebbe stata la naturale conseguenza di tale tuffo. Nell’istante della botta ho riaperto gli occhi e non mi sono più riaddormentato per i successivi tre giorni. In questi casi bisogna elaborare le parole giuste per comunicare la sciagura e visto che le parole giuste non arrivavano mai mi son dovuto inventare uno stratagemma per nascondere agli occhi dei miei lo sfacelo. Ho studiato ai minimi dettagli il parcheggio perfetto. Quello, cioè, che grazie a un millimetrico gioco di luci e ombre, dovuto al muretto e alla siepe che lo sovrasta e all’albero di castagne pazze che sta marcendo dietro la ringhiera, impediva a qualunque umano occhio la vista della verità. Come se, parcheggiandola in quel modo, fossi riuscito a creare un ologramma che riproduceva l’immagine della Hyundai Getz di mio padre nuova fuori casa mia. Tutto quadrava. Mio padre usa sempre la Bravo di mia madre, mia madre usa sempre la Matiz mia che mia sorella ha ridotto a un catorcio, mia sorella non usa niente perché è risultata positiva al test dei cannabinoidi e la patente la rivede col nuovo millennio. Il trucco è stato svelato da una nefasta concomitanza di eventi. Il posto davanti al cancello era occupato dalla Matiz e allora mio padre ha parcheggiato la Bravo attaccata al muretto, proprio a quello del gioco di luci e ombre, e io mi son ritrovato a dover abbandonare la Gets in pasto agli occhi di tutti, firmando così il mio suicidio.
“Hai sbattuto con la macchina?” “No, era già così!” Mio padre mi guarda confuso. “Dai, sì, ho sbattuto, ma ho già trovato chi me l’aggiusta a un prezzo umano.”
Questo signor carrozziere segue un altro signor carrozziere a cui mi sono rivolto che, prima m’impolpetta l’esistenza a suon di robe del tipo: “I veri artigiani non ci sono più. I giovani d’oggi pensano solo ai soldi…” e poi mi chiede mille euro. Io, che ignoro i costi, ho dato uno sguardo alla fiancata e ho pensato: Beh, se questo vecchietto coi baffi e gli occhi affidabili e appassionati al suo mestiere mi chiede mille euro, vorrà dire che ci vorranno mille euro. Poi, per scrupolo, la faccio vedere a un altro che per lo stesso lavoro e per cambiare gli stessi pezzi mi chiede quattrocentosettantacinque euro e penso: Ma tu guarda quel vecchio bastardo, voleva ciularmi cinquecento euro pulite pulite. Martedì dovrebbe essere pronta e la prima cosa che farò sarà recarmi dal vecchio appassionato (ai soldi) e riempirlo di improperi fino a fargli prendere un infarto. Capita a tutti, prima o poi, di ammazzare qualcuno.
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