L’ultima risata di questo Capodanno memorabile me la sono fatta al ritorno, sull’autobus Roma-L’Aquila. Il controllore si è sollevato a fatica dal sedile accanto al guidatore, si è schiarito la voce e ha domandato a megafono:
– Aho! Ceeavete tutti er bietto?
I passeggeri, me compreso, hanno risposto in un coro unanime: – Sììì!
Lui fantasticamente si è riaccomodato, e a posto così. Duro lavoro quello dei controllori romani.
Di solito la malinconia del post-felicità la modero bene. La classica sensazione da fine vacanza. Come quando sei in viaggio, di ritorno a casa dopo una bella estate. L’ingresso del villaggio turistico è appena sparito dallo specchietto e tu vorresti fare inversione e tornare indietro per prendere quello che hai lasciato lì. Il bungalow, il bazar, la piazzetta, la sala giochi (esistono ancora?), la piscina, il bar, il gioco aperitivo, la spiaggia, l’arena e le sigarette nascosti dagli alberelli di olive, gli scogli, i tuoi amici, quelli che aspetti un anno per rivedere e poi qualcuno non viene e non lo rivedi più, e quelli nuovi.
Io pensavo di essere diventato grande per queste cose, e invece no. L’altro ieri avrei voluto prendere i miei amici e le loro case fiorentine e portarli con me. Seguivo la corsa del paesaggio sul finestrino del treno. I campi e le nuvole e la pioggerellina e le stazioni. A ogni stazione ero più lontano. Ho capito che, se è un po’ complicato far entrare Firenze e tutti loro in una tasca, forse ce la faccio a mettermi in un valigione assieme a poche altre cose e a traslocare la mia vita dove si può essere felici davvero.
Vediamo se riesco a sintetizzare il resoconto del mio Capodanno in meno di mille caratteri spazi inclusi.
Nella tarda mattinata del 31 siamo andati a fare la spesa. Alla Coop di Firenze (e probabilmente anche in altre città vere, ma concedetemi la faccia da gran meraviglia tipica degli aquilani “all’estero”) funziona che i soci hanno la possibilità di pagare la spesa in automatico evitando le file in cassa. Basta munirsi di una pistola-scanner (avrà di certo un nome tecnico che io ignoro) e sparare sul codice a barre di ogni prodotto prima di buttarlo nel carrello. Poi paghi il totale a una macchinetta. Non pensate di andar lì a fregare ché sarete di certo i fortunati selezionati per un breve controllo.
Nel primo pomeriggio abbiamo iniziato ad avvantaggiarci qualcosa per la cena. Per essere più precisi, i miei amici hanno iniziato ad avvantaggiarsi qualcosa per la cena mentre io leggiucchiavo e facevo battute e cambiavo canale. Insomma, mi rendevo utile. Molto, sì.
Menù della casa
Antipasti:
– Crostini funghi, prosciutto e fegatini
– Croissant salati con ripieno di Philadelphia e zucchine
Poi è stata la volta della vellutata zucca e lenticchie. Era un’estasi al palato. Cremosa, dolce… come sono bravi i miei amici a cucinare!
Primo:
– Pizzoccheri alla valtellinese con taleggio e verza, una bomba atomica di bontà e pesantezza. Ho mandato giù a fatica l’ultimo pizzocchero e mi sono accasciato sul tavolo con la faccia nel piatto unto.
Secondo e contorno (una torta rustica con patate, zucchine e formaggio, e un’insalata freschissima con rucola, pere, noci e grana) li abbiamo lasciati per la colazione del giorno dopo, tenutasi alle ore 16.30 quando ci siamo svegliati più o meno in sincrono. Idem per il dolce, un panettone artigianale così buono che mi piacevano pure i canditi, riempito di gelato fiordilatte e cioccolato.
Agili come tacchini ripieni, ed equipaggiati con tre bottiglie di spumante in offerta, abbiamo raggiunto il piazzale della stazione di Santa Maria Novella per il countdown prima del concerto dei Subsonica. C’erano solamente 50mila persone equipaggiate allo stesso modo con in più razzi, bombe carta, e armi scoppiettanti di simile genere e pericolosità tutti pronti a scatenare l’inferno. Ho vissuto dieci secondi di estremo terrore.
10… 9… 8… (oddio, mo’ mi tirano una bottiglia in testa, lo so) 7… 6… 5… (guarda che facce da terroristi che hanno questi vicino) 4… 3… 2… (devo escogitare un piano per salvarmi, e ho… un secondo! Addio!) 1… 0!!! Mi accovaccio sotto le gambe dei miei amici. Non mi viene in mente nient’altro di intelligente, come se questa fosse un’idea intelligente poi.
Pim, pum, pam, bum, byebye, splash, sbam (un tappo di sughero vagante a 400 chilometri orari mi colpisce la tempia pelata). Mi rialzo fresco fresco di doccia sgocciolante di frizzantino di terza scelta.
Tagliamo la corda a metà del concerto in direttissima verso la fase dance. Lo sanno tutti che io non so ballare. Per fortuna che lo so pure io; essere consapevoli della propria malattia è il primo passo verso la guarigione. E mi facevano male pure i piedi. Avrei dovuto forse addossarmi a una colonna e fare il ragazzo da tappezzeria? Ma manco per niente. Datemi un Long Island e vi solleverò il mondo. Al quinto non c’ho capito più niente. Ho rimosso gran parte della nottata. Mi ricordo soltanto il divano letto del salotto di Luca che nasconde ipnotici segreti. Dovrebbero studiarlo in qualche laboratorio del sonno. Appoggi la testa e crolli in uno stato di pre-morte. Non senti più niente fino al suono della sveglia. Secondo me, se ti dimentichi di programmarla, non ti sveglierai mai più. Divino!
Il giorno dopo, cominciato per noi che il sole stava già quasi per tramontare, l’abbiamo passato a ciondolare per casa fino a sera, quando siamo andati al cinema a vedere “Vita di Pi”. Forse siete ancora in tempo per andarci anche voi. E’ un film straordinario, per storia e per effetti speciali. Riesce a raccontare un viaggio incredibile rimanendo fedele a tutte quelle regole che definiscono il mondo e le creature che lo popolano. Leggerò di certo l’omonimo libro da cui è tratto.
(La foto è una Firenze rubata dall’iPhone di Niccolò. Non ho ancora il suo permesso, ma la utilizzo lo stesso.)
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