Sabato è stata una giornata inutile. Di quelle che ti fanno soltanto pensare. Non che sia inutile pensare, però non ci voleva perché non sono pensieri che ridono. Fanno tutto loro, io ormai resto fermo a guardare i loro spostamenti, il loro arrabbiarsi, il loro disilludersi, la solitudine che tutto a un tratto li fa sentire soli e che di riflesso mi svuota. Come se a riempire la testa e a coprire il fuoco dell’insoddisfazione non sia un reale benessere, ma solo la cenere di decine di voci che giornalmente creano un rumore soltanto apparente. Sono il padrone di pensieri che non mi ascoltano più e neanche più si ascoltano fra loro. Un’anarchia illogica che fa solo soffrire. Genera sofferenza distruttiva fine a se stessa. Di tanto in tanto mi soffermo a raccontar loro quello che ora sono, semmai non l’avessero notato, troppo presi dalla continua lotta contro gli scogli, per modellarli, per cambiarli. Lo fanno per me e non si accorgono di me. Non mi parlano più, non perché ce l’abbiano con me, ma perché non hanno tempo per me, i miei pensieri. Sono io a dover strappare dalla loro bocca parole forzate per mantenere una convivenza che non distrugga me e non distolga loro dall’ammirevole lotta contro i mulini a vento di fronte a casa mia. Una casa che non cambia mai. Una casa che non sono riuscito a cambiare io e nemmeno il disastro naturale del secolo. Ho la sensazione che tutti i miei tentativi abbiano ottenuto l’effetto contrario, rafforzando la paralisi, aggiungendo cemento a una struttura che pensavo di poter distruggere e che invece ho contribuito a stabilizzare. Ho la testa vuota. Se mi abbandonano pure i pensieri un motivo ci sarà. Me lo sono chiesto ieri e non vedevo che grigiore e non sentivo che vento. Era un po’ che non mi ritrovavo a piangere le mie mancanze che non colmo mai. La consapevolezza di non avere nessuno qui, che sia veramente qualcuno per me, mi ha raggiunto come una mattonata scagliata con violenza dietro la schiena da una mano improvvisa, inaspettata.
La pelle implorava calore che non volevo e non ho voluto darle. Gelavo nella speranza che il freddo di questo novembre che inizia riuscisse ad anestetizzare pure il mio invisibile dolore.
Lascia un commento