La luce è ancora fredda, ma questo azzurro è incredibile per quanto non riscaldi neanche un po’. Non va per niente bene, ma sono comunque qui, meno felice di prima. La vita è adesso, non ieri e neanche domani. Non è cambiata molto, anzi è cambiata troppo. Ha smesso di nevicare da due giorni. Mi ha fatto ridere tutta quella neve il cinque marzo. Non era una risata divertita la mia, più grottesca. Paradossale neve fuori stagione come me, che non trovo la mia di stagione.
Devo distribuire le mie faccende nelle ore dei giorni delle settimane dell’anno di tutti gli anni della vita. È un problema finto, però di problemi ne include parecchi. È un involucro di problemi che stanno lì e guai a chi li tocca. Il fatto che siano imballati da metri di cellophane mi fa sentire da un lato come se avessi tutto sotto controllo, come se avessi le mani su ogni cosa che non può scappare perché non è fatta di sabbia. Affrontare la sabbia cambierebbe il discorso. Dall’altro mi fa mancare l’aria, perché stretto in quel cellophane spesse volte mi ci ritrovo anch’io che divento all’improvviso un problema per qualcun altro. Senza averlo chiesto. Senza aver fatto nulla di male a nessuno, anzi. Senza aver smesso di fare del bene a quel qualcuno.
Oddio quanto bene!
Inquantificabile bene che non credevo di possedere e inqualificabile silenzio. Come la neve, paradossale.
Che fai quando ti accorgi di indossare scarpe che cominciano ad aprirsi. Scarpe rovinate e fuori moda da anni, in cui entra l’acqua dagli squarci quando per sbaglio finisci in una pozzanghera? Gli altri hanno tutti scarpe più belle delle tue, di quelle che attraggono gli altrui occhi quando passeggiano per il corso.
Che fai quando arrivi alla normale conclusione che le tue scarpe hanno fatto il loro tempo?
La risposta è semplice: le butti. Non facciamola così drammatica, si tratta pur sempre di scarpe. Poi, se sei un maniaco del collezionismo senza regole e casa tua è diventata negli anni un museo di robaccia incontrata dalla pubertà a oggi, le appoggi su una mensola, le chiudi in qualche scatola, riservi loro un angolo del tuo museo, ma comunque ai piedi ora hai fiammanti Adidas o quello che ti pare, ma non quelle lì. Ti guardi allo specchio e pensi: Cazzo che figata le mie scarpe nuove!
Saresti un folle se pensassi di spendere anche solo due minuti per spiegare a quelle vecchie scarpe di tela logore come sono andate le cose e il perché di quell’abbandono.
Il problema nasce quando si parla di persone. Esseri umani fatti non soltanto di carne e sangue e ossa e muscoli e organi, ma pure di sensazioni, battiti, pulsioni, assenze d’ossigeno, palpitazioni, mancamenti, sorrisi. Bisogna rendere conto a tutto questo. Non puoi scendere dalla giostra perché stufo, cambiare gioco e magari luna park senza neanche salutare. O meglio, puoi. Solo che poi in quel luna park non ci puoi tornare più.
Certe volte non basta il mondo che dai a farti meritare di riavere indietro una mollica di rispetto e io questo proprio non potevo crederlo.
“Ero triste perché i momenti troppo felici si dileguano senza lasciare traccia, è l’angoscia che non ha piume, oppure troppo peso per volar via.”
Emily Dickinson
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