Oggi l’umore è più o meno non so che. Come quando non sai definire un momento. È comunque meglio di ieri, poi di ieri l’altro non ne parliamo, che avevo le borse sotto agli occhi cariche di acqua benedetta pronta a trovare una via di fuga senza apparente motivo, se non quello che troppa acqua, in un contenitore limitato, non può starci. È lo stesso meccanismo di quando vai al cesso e svuoti la vescica. Non è che pisci perché sei triste, ma solo perché se no scoppi. È l’accumulo che ti frega, non il singolo bicchiere d’acqua. Le lacrime venivano giù assieme alle risate, ed era tutt’altro che gioia. Piangevo perché gli occhi piangevano e non potevo farci nulla. Sarà il week end a farmi questo effetto, o che sto scrivendo un pezzo che mi fa male, o semplicemente che, quando non ho certezze, alterno entusiasmi a crolli tragicomici, più comici che tragici per chi mi sta vicino. Stamattina sono andato da Manpower e da Start People che stanno sulla stessa strada. Ho pensato: Che culo! sì, ma a 5 km di distanza l’una dall’altra; parliamo di via Cavour che non è proprio un viottolino fiorentino, ecco. Mi son iscritto, e: “Appena avremo opportunità conformi al suo curriculum la chiameremo” “Il più presto possibile che ci sarebbe una certa urgenza. (Vai Matte’ con la storia del terremotato!) Sa, vivevo a L’Aquila fino a 12 giorni fa…” “A L’Aquila?” “Sì, ha presente gli sfigati colpiti dall’esagerato idromassaggio della crosta terrestre di cui in questo momento stanno parlando in tutto il mondo?”
Mi dispiace anche un po’ perché io, che sono aquilano, lo devo dire, altrimenti non potrei spiegare i motivi che così, all’improvviso, mi han portato qua, e il mio interlocutore a quel punto va in tilt. C’è chi abbassa la testa in segno di lutto. Chi mi chiede se sto bene. (A meno che tu non stia parlando con una versione evoluta di Slimer, forse sono vivo, che ne pensi?) Chi dice: “Mi dispiace assai” e poi mi fa l’in bocca al lupo e io me ne vado perché il tutto assomiglia molto ad un: Ritenta, sarai più fortunato. Chi storce la bocca e aspetta che io cambi argomento. A chi mi dice: “Parliamo d’altro, so che per te dev’essere doloroso” io rispondo sempre che voglio parlarne, invece. Se ne deve parlare più che si può prima che i media decidano di spostare l’attenzione sulla finale del Grande Fratello o su Ping Ping che è l’uomo più basso del mondo.
Mio padre è tornato a lavorare. La banca ha allestito delle postazioni sparse per la città e ha offerto ai suoi dipendenti e alle famiglie un camper per potersi sistemare al meglio. I rilievi hanno stabilito che la casa dove stavano in affitto le ragazze è inagibile, nulla di sorprendente considerato che erano crollati alcuni tramezzi. La casa dove vivevamo ancora non la visionano. Manca il gas, che è stato tolto il 6 aprile subito dopo la scossa. Tutta la rete di condutture ha subito dei danni gravissimi e, perché si torni a un’erogazione normale, passerà almeno un mese. Mia madre, che mi chiama per informarmi di tutte le sciagure sismiche che le arrivano, narrate da molteplici e mai attendibili canali di pettegolezzi (oggi mi ha detto che hanno fatto evacuare Sulmona perché avrebbero previsto una botta pazzesca pure lì, e non è vero, anche se a Sulmona un po’ paura ce l’hanno), conclude sempre le sue telefonate con un: “Tu… tu… vedi quello che vuoi fare, ma… non spendere troppo!” e io stamattina, dal terzo piano di Zara vicino a piazza della Signoria, con fra le mani un pantalone nero, una camicia bianca, una cintura nera, sul lucido, e una giacchetta che l’ho vista e non me ne importava niente che costava 119 euro perché io la volevo, ho risposto: “Mamma, che dici? Io vado avanti con la roba che mi prestano Luca e Niccolò”. Dev’essere stata molto orgogliosa di me che intanto delapido il mio già esiguo patrimonio in attesa di una telefonata fortunata, che mi regali un lavoro. Le buone sensazioni ci sono, pure quelle brutte. Certo è che chiacchierate così mi mancavano tanto.
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