Non credevo che il primo ostacolo da superare sarebbe stato all’ingresso e non per le immaginate code chilometriche che non abbiamo trovato. Sarà che non eravamo al concerto di Lady Gaga, ma a Roma, alla fiera della piccola e media editoria ‘Più libri più liberi’, e in Italia sono di gran lunga più i fan di Lady Gaga che i lettori dell’infinito leggibile. La biglietteria è separata dal portone del Palazzo dei Congressi da una scalinata che abbiamo salito prendendo a gomitate gli uomini dalle mani cariche di decine di libri su toccanti storie d’Africa, nera come la pelle. Io non nutro pensieri cattivi, non nei loro confronti e non a prescindere, però, se non sono interessato, tu non mi puoi prendere per un braccio e impedirmi di ignorarti. Restano poche libertà riconosciute in questa vita, non toglietemi pure quella di far finta che chi voglio non esista. A gomitate presunte, in certi casi reali, raggiungiamo l’ingresso. Sono due piani di stand dedicati alle piccole e medie realtà editoriali, come suggerisce il nome della fiera, tipo Sellerio, Voland, Il Saggiatore, Castelvecchi, Fanucci, Minimum Fax… Questa cosa non mi è mai piaciuta e sembrerebbe che stiano lavorando proprio in tal senso. Lo dimostra l’esclusione della Fazi e l’autoesclusione della Newton che, per voce dello stesso direttore editoriale Vittorio Avanzini, in un’intervista su Affari Italiani fa sapere che la sua casa editrice non è né piccola né media (l’unico a far finta di non capirlo era lui, mi sa). La Newton in effetti è la sesta realtà editoriale italiana con un fatturato di milioni di euro l’anno. Pertanto la decisione di lasciare la fiera ai piccoli, quelli veri, è stata buona e giusta. Mi arrabbio non perché non sia emozionante scorrere gli stand e scambiare qualche chiacchiera con chi manda avanti i colossi editoriali. Mi arrabbio perché lo spazio fisico è limitato, nonostante sia vastissimo è pur sempre un palazzo, mica una landa sconfinata, e questi qui hanno le porte spalancate a qualunque fiera. Uno stand di mezzo metro quadrato, pur perdendosi nell’oceano di tutti gli altri, è uno spazietto fondamentale e preziosissimo e non fa al caso di chi ha già dalla sua una sovraesposizione libraria in grandi e piccoli store, catene e librerie indipendenti, supermercati, bazar, mentre tanti piccoli editori appassionati si ritrovano a fare cin cin, al tavolo degli adorabili sconosciuti, per una libreria in più conquistata da un proprio titolo o per una recensione su un blog che tocca picchi di dodici visite giornaliere, e a vantarsi pure.
“Sai che ‘Leggolibridallamattinaallaseratrannequandofacciopipì’ ha recensito la nostra ultima uscita ‘Lo chiamavano Dentone’?” “Che invidia! Invece la nostra autrice Barbaria Pestaerba sarà ospite dell’ultima puntata di ‘A me mi piace’ la trasmissione di culto di La 140 TV, non è pazzesco?”
Sono contento per Fabio Geda e per il suo romanzo ‘Nel mare ci sono i coccodrilli’ che si è aggiudicato il “Libro dell’Anno” di Fahrenheit proclamato e premiato nell’ultima giornata di fiera al caffè letterario al primo piano, in diretta su Radio 3. Niente da dire su un libro che non ho letto, ma pare valga la pena farlo, però ci risiamo. Baldini & Castoldi Dalai non è proprio un piccolo o medio sgomitante editore (attualmente secondo in classifica col nuovo libro di Faletti, per dire). Mi domando se non sarebbe stato più carino (o giusto) assegnarlo a Cristiano Cavina o a Paolo Piccirillo e al suo ‘Zoo col semaforo’ pubblicato da Nutrimenti, ma è la gente attraverso internet a votare e quindi non mi sorprende la vittoria del più noto e più letto (ovvio!) dei dodici libri del mese. È come Sanremo, che lo vince Marco Carta e l’anno dopo Valerio Scanu. Il televoto, questo è il tarlo.
C’è di buono che quando meno te l’aspetti arriva l’amore, ma non quello che passa e va, quello di una toccata e fuga, quello del bacio rubato e chi s’è visto s’è visto. L’Amore con la a maiuscola, quello della vita che lo sai dal primo istante che durerà tanto, pure se lo conosci da più di dieci secondi e meno di un minuto. Io l’ho trovato al piano terra del Palazzo dei Congressi. Ve lo presento, si chiama Racing Green ed è il nuovo eReader della Simplicissimus. Io che mai avrei detto di poter leggere un libro senza sentire la familiare sensazione del contatto e del profumo della pagina, non riuscivo a staccarmi da QUESTO gioiellino verde acido che mi regalerò più prima che poi. Non è retroilluminato e la lettura non solo non stanca, ma le dimensioni, l’impaginazione e il carattere che puoi scegliere e ingrandire come vuoi, la rendono addirittura piacevole. Lo amo. Racing, vuoi sposarmi e venire via con me in viaggio di nozze con duemila libri dietro al peso complessivo di centosettantotto grammi? Sì, sì, sììì!
A chiudere la manifestazione diversi incontri. Sara Saorin, la mia editrice, è stata invitata a parlare della doppia esperienza di traduttrice ed editrice assieme. Si è confrontata con altri due editori di nicchia oltre che sul fascino della scoperta di storie lontanissime da portare in Italia, anche sulle difficoltà della piccola editoria e su quanto ci si possa ritenere fortunati intanto a mantenere la casa editrice prima ancora che a guadagnarci qualcosina. La sala Ametista era piena zeppa e io, il suo autore preferito (me lo dico da solo) costretto a stare in piedi, in fondo, con la schiena contro il muro e il giaccone in mano.
Oltre alla maschera di fiera per la piccola editoria a camuffare i grandi gruppi che ci magnano sempre, due altri sono stati gli aspetti un po’ fastidiosi. Il caldo, dio mio l’anno prossimo fate qualcosa, perché non si sopravvive lì dentro a quella temperatura e con tutti quei fiati che appesantiscono l’aria. E poi la tendenza alla svendita da bancarella. Cartelli di Tutto a Cinque Euro capeggiavano su molti stand; appena ti avvicini, l’essere umano preposto alla vendita ti risucchia nel suo mondo e non ti libera finché non sei tu a liberare dieci, quindici euro. Non mi piace il paragone dei libri alle mutande di terza scelta, in virtù di una crisi di cui ci hanno fatto le palle piene e grosse come mongolfiere. Ci mancava solo un megafono urlante: “Accattateville! Faciteme ‘stu piacere ia!”. Se un libro costa quattordici euro, vendilo a quattordici euro, vendilo a dodici, a dieci tiè, non a cinque, neanche fosse l’ultimo pomodoro molle avanzato nella cassetta del mercato a fine giornata. I libri meritano rispetto e mi aspetto che gli editori siano i primi a riconoscerglielo.
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