Vorrei riuscire a tenere buona quella parte di me che invece non sa stare ferma, e soprattutto zitta. Non sa lasciarsi guidare dal vento a favore, coglierne la brezza, aspettare quando è tempo. Non sa sfruttare le circostanze, le persone, le occasioni. Potrei evitare di essere me, e potrei anche riuscirci visto che in molti si scoprono maestri nell’arte del trasformismo. Otterrei così il giusto pass per la soluzione migliore. La raggiungerei comportandomi come si comporterebbe qualcun altro, che non capisce il mio modo di fare, il mio modo di arrabbiarmi, il motivo che mi spinge a urlare, inveire contro, alzare aria, polvere. Faccio uso di tante parole che cadono pesanti, che si districano tra i rovi e trovano sotto alle pietre anime da colpire. Consumo un po’ di me sapendo già che tra poco sarà tutto uguale a prima. Intanto fuori tuona. Intanto, dentro, la pace soffia silenzio, e stanca la voglia di vedere e sentire. Di restarci di un male che non so raccontare, perché non so neanche spiegare le meccaniche della mia mente e non soltanto, che io per primo non comprendo, che sono mie, complicate, ma irremovibili, immodificabili e certe, come assiomi. Volto pagina e nessuno se ne accorgerà. Perché la nuova ha lo stesso sfondo, gli stessi personaggi, lo stesso fiume e le stesse montagne, gli stessi fuochi d’artificio e gli stessi intrecci. Diversi i colori, che stavolta sono splendenti.
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