Oggi Irvine Welsh, l’autore di Trainspotting, compie 53 anni.
Fare trainspotting significa guardare i treni in stazione, che arrivano e che partono. Lo fanno i disoccupati per ammazzare il tempo. Renton e Begbie vengono avvicinati da un vecchio barbone mentre stanno urinando nell’ormai dismessa stazione centrale di Leith: costui chiede loro se stanno facendo del trainspotting. Da qua viene il titolo del romanzo d’esordio di Irvine Welsh, nonché il più fortunato. Ne venne realizzato il film omonimo, diretto da Danny Boyle e presentato al Festival di Cannes.
Trainspotting è la vita ai limiti della legalità di un gruppo di ragazzi edimburghesi di periferia, ognuno con la propria dipendenza. Spud, Sick Boy e Renton si fanno di eroina, Begbie sembra posseduto dal demone della violenza insensata. Il protagonista è Renton che dopo aver provato più volte a uscirne fuori invano, e aver visto i suoi amici più cari morire di AIDS, fugge da Leith nel tentativo di ricominciare tutto a Londra dove mette su un giro di affari di truffe. Torna a Leith soltanto per il funerale del suo amico Matty. A Londra vive con Kelly, per poco tempo però, perché la monotonia lo stringe in una morsa soffocante, così torna a casa dai suoi amici di un tempo.
È il momento della grande occasione e del tradimento. Vendere 2 kg di eroina a Londra. Tutto va a buon fine, Renton incassa le 16000 sterline pattuite, ma al momento di dividere i soldi con i suoi amici si allontana verso l’Olanda. L’amicizia tradita, l’amicizia che da carnale diventa inutile di fronte al denaro, al sangue che ha bisogno di sostanze più che di legami.
L’incredibile successo seguito alla pubblicazione del libro portò a Irvine Welsh una candidatura al premio Booker. Pareva una vittoria sicura e invece arriva la cacciata. La motivazione è “l’aver offeso la sensibilità femminile di 2 dei giudici”.
Quanto vi fa ridere la cosa?
Trainspotting inizia così:
Sick Boy era coperto di sudore; tremava tutto. Io me ne stavo lì schiaffato davanti alla tele, cercando di non dargli retta, a quel coglione. Mi buttava giù. Provai a concentrarmi sulla cassetta di Jean-Claude Van Damme. Come in tutti i film del genere, l’inizio era drammatico: era quasi obbligatorio. Poi, nel pezzo che veniva dopo c’era un grande sforzo per creare atmosfera, facendo tra l’altro entrare in scena il cattivo, e per far stare in piedi una trama proprio scacata. Comunque, Jean-Claude sembrava pronto a menare le mani da un momento all’altro.
Questo è un post di auguri, ma soprattutto di ringraziamento a Irvine Welsh, se non si era capito. Per averlo scritto, per aver arricchito la mia sensibilità con un grande dono. Non sarà femminile, né quella di un giudice del premio Booker, ma è pur sempre sensibilità.
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