2 giorni consecutivi di riposo dal lavoro fanno parte di un disegno cosmico che trova realizzazione ogni 6 settimane, quando Venere entra in trigono penetrante con Marte. Dalla loro unione nascono tanti satelliti su ognuno dei quali sta un fiocco rosa o azzurro a seconda del sesso dei piccolini. In questi 2 brevissimi giorni ho riscoperto il piacere che si prova a scrivere con la mente libera dai pensieri di stupide routine, riposata dalla fatica fisica e dalle discussioni con nemici e parenti, magari pure all’aria aperta del parco a perdita d’occhio che abbraccia Villa Madre, sotto un baobab secolare o un pino marittimo pendente e piangente. Se vivo, morto o X non è dato ancora saperlo. Non riapriamo la ferita se no Madre irrompe con violenza sulla scena e nel post, armata di falce, alla ricerca del latitante e fantasioso giardiniere che le consigliò i pini marittimi per abbellire la sua tenuta, in una città che si stabilizza sui -15 nelle notti da novembre a gennaio, e pronta ad accogliere la poetica rogna di un metro di neve in un unico giorno di febbraio che ha dato ai pini la mazzata finale. E’ stato un inverno speciale a L’Aquila, che ricorderò perché io quella neve tutta assieme non l’avevo vista mai. Me ne parlavano di questa incredibile nevicata del 1956, quando la gente passeggiava sui tetti e da lì si tuffava nel mare bianco alto più di 2 metri, come le Macine del Mulino Bianco fanno nel fiume di latte. Avete mai letto gli strazianti micro-racconti sulle confezioni dei biscotti? Quello delle Macine mi ha tagliato il cuore a metà. Finisce così:
E la Macina diede un’ultima occhiata al bianco fiume di latte sotto di sé, e si tuffò.
Poi non chiediamoci come mai il tasso dei suicidi fra i minori è in vertiginoso aumento.
Ho guardato le fotografie nella rete; ho immaginato quanto una nevicata possa aver trasformato il mondo conosciuto in un altro certamente più allegro, in mezzo a tanto stupore proveniente dal cielo. Ho visto la gente ridere, con gli abiti appesantiti dall’acqua, mentre scavava un varco per liberare la porta di casa; condividere modi e maniere domestiche di arrangiarsi per numerosi pranzi e cene senza poter fare la spesa, cedendo all’amico uova, scatolette di tonno o invitandosi a vicenda, con la promessa di un: A buon rendere! a quando ce ne sarà bisogno. Una calamità comune e condivisa è capace di legare più di un sentimento. Mi capita di pensare alla fortuna di essere nato e di crescere in un tempo e in uno spazio in continuo e talvolta brusco mutamento, nel quale si susseguono, inaspettati come una sberla in pieno viso, dolori che lasciano il posto alla riflessione e poi all’apprezzamento dell’emozione provata, quando a primavera un brillante sole vince sul freddo e torna la tanto attesa puzza di meXXa. Ecco, questo è il punto focale. I pochi allevatori rimasti nel circondario madrino di questi tempi usano il letame per concimare i loro terreni. E mica lo fanno a palate, no. Loro utilizzano delle elegantissime macchine spargiletame che percorrono le strade di campagna, ma anche le principali e, prima di arrivare ai fondi interessati dall’operazione, si perdono per la via tanti di quei residui di letame in pezzi grossi come blocchi di pietra che poi chi fa footing o i pensionati a passeggio – specie animale in via d’estinzione ormai, e Licia Colò stavolta non potrà far nulla per salvarla – sbadatamente calpestano e, nei casi drammatici, scivolano e ci cadono sopra improfumandosi, come fanno i cani quando si rotolano sugli escrementi di qualche animale simpatico a pelo. Madre vive reclusa a Villa Madre e in costante apnea. Pure le maledizioni per le gomme della madre-car impastate di cacca le manda in apnea. In attesa di una copiosa pioggia purificatrice che non sembra voler arrivare, ci tappiamo il naso consolandoci con le parole di De Andrè, capace di trovare del buono e bello ovunque, e di cantare che dal letame nascono i fiori.
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