Ebbene sì! O almeno, non mi viene in mente, e spero non esista, alcun motivo per cui le cose dovrebbero andare a finire in un modo diverso. Non sento ancora i morsi dell’ansia. Mi distraggo telefonando al mondo intero e parlando del più e del meno, ma non di domani, come se non ci fosse un domani, appunto.
Ho ritirato le copie della tesi in copisteria e fanno la loro porca figura. Con quello che le ho pagate vorrei anche vedere. Mi sono appena voltato a guardarle, ora mentre scrivo, e mi è venuto da ridere. Ogni tanto vado alla ricerca di prove tangibili che, senza ombra di dubbio, confermino che ciò che penso accadrà veramente, che non mi trovo in uno dei miei sogni della notte, in cui sono sempre lì lì per laurearmi e poi mi sveglio con la delusione ai massimi storici. E quindi le guardo, lì sul tavolo, blu e argento.
Voglio, non vorrei, ma proprio voglio, che questo giorno resti nella memoria dei miei ricordi più belli e di quelli di coloro che ne faranno parte, come hanno fatto parte di tutte le sfumature dei momenti della mia vita. Hanno gioito con me, hanno pianto con me, si sono incacchiati con me, mi hanno detto bravo. E quindi dev’essere tutto perfetto. Più che perfetto direi bello. Un bella giornata, ecco. Poi dicono che domani esploderà l’estate quella vera, potrei interpretarlo come un segnale di qualcosa del tipo: scatena l’inferno Matte’!
Sarò il primo, alle 9.30. Un quarto d’ora e poi non lo so come mi sentirò. Ho provato a immaginarlo, ma non ci sono riuscito fino in fondo. Scoppiavo a piangere prima. Queste settimane sono state intensissime dal punto di vista emotivo. Una specie di preparazione alla bomba di gioia che mi esploderà dentro domani, e alla quale, in verità, non c’è modo di prepararsi efficacemente. Mi è capitato di piangere senza motivo davanti alla tivù, davanti alla pentola che bolliva, davanti alle tartarughe acquatiche basite, davanti al computer, davanti al niente, ma che nella mia testa aveva forma e colori di quello che sarà domani. Le presentazioni letterarie mi hanno insegnato a dominare l’ansia e a scegliere le parole giuste nelle occasioni pubbliche. Ma stavolta quello che quel quarto d’ora significa nell’arco di una vita, la mia vita, è troppo forte per le mie orecchie, troppo veloce per i miei occhi, troppo faticoso per il mio cuore perché io riesca a controllarlo, e a controllare gli stati d’animo saltellanti dei quali sarò pubblica vittima. Anche questo post è un modo per distrarmi, telefonare a qualcuno e chiacchierare. Io sto chiacchierando con voi, pure se voi non mi rispondete. Io sto chiacchierando, infatti!
Sarà una giornata avventurosa. Non so cosa devo fare, cosa mi devo portare dietro, se la tesi o soltanto le slide, e il computer che non si sa bene se potrò accendere. Madre mi ha chiesto se devo portarmi la Carta d’Identità, a me prima è venuto da ridere, poi ci ho pensato su e mi è venuto pure il dubbio. Non conosco il rituale. Questo fa dell’essere il primo dei laureandi un dramma dalle potenzialità suicide probabilissime. Io sono bravissimo a fare quello che fanno gli altri. In questo caso consiglio agli altri di non fare quello che farò io. E non ho capito bene nemmeno l’aula, di aule 1.6 ce ne sono due. Questo succede nelle città dove arriva un terremoto forte, le cose che funzionavano non funzionano più, vengono costruite alternative alle quali si dà lo stesso nome, e poi ristrutturate e rimesse in moto le originali. E ora esistono due 1.6, in due luoghi sensibilmente lontani, però.
E sarà una giornata di festa, passata per intero con le persone più importanti della mia vita, come non ci capita spesso in questa vita degli adulti in cui abbiamo dovuto abituarci a stare bene lontani, ad accontentarci di sentirci quasi tutti i giorni e vederci poche volte l’anno. Capite che una giornata così è preziosa, poi metteteci che è il giorno della mia laurea…
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