Non è colpa di Daria Bignardi se non è riuscita a presentare ‘Un karma pesante’, il suo ritorno in libreria dopo l’esordio di successo ‘Non vi lascerò orfani’ (a proposito, leggete la bella intervista realizzata da Raul Montanari su Donna Moderna). Era fra gli incontri più attesi di ‘Volta la carta’, la prima fiera dell’editoria indipendente a L’Aquila (la definizione non è mia). Nessuno ne parla, nemmeno lei sul suo Barbablog. La brutta figura, non sua, ma nostra, è bene nasconderla sotto quintali di sabbia, giusto? E lei è una donna troppo raffinata per mettersi a sparare sulla Croce Rossa. Le due cose messe assieme hanno dato vita a un dignitoso silenzio che io con questo post rompo, assieme alle uova marce confezionate nel bel paniere. Daria c’ha messo tutta la buona volontà, ma la ragazza che ha moderato l’incontro, tal Maria Silvia Cicconi, gliel’ha praticamente impedito. Inadeguata, come d’altronde L’Aquila (non soltanto) alla letteratura. Quando ho sentito dell’idea di lanciare una fiera dell’editoria mi è venuto da ridere. L’Aquila sta ai libri come Totti alla cultura generale, come Vladimir Luxuria al calcio, Maria De Filippi al rock acrobatico, io all’Inglese e/o all’orientamento, Berlusconi a un convento di suore, la Moratti a Milano… (andate avanti voi, se ve ne viene in mente qualcun’altra). Comunque grandi nomi annunciati: Camilleri, Dacia Maraini, Margherita Hack, Donato Carrisi, Paola Calvetti, Walter Siti, che poi non si è presentato “per sopraggiunti problemi personali”, speriamo niente di grave (se ce lo fa sapere stiamo più tranquilli) e Daria Bignardi, appunto. Quando sono arrivato, Paola Calvetti raccontava gli ultimi aneddoti sul suo ‘Noi due come un romanzo’ davanti a una numerosa platea di quasi tutte donne. Daria, seduta con posa plastica a un tavolinetto fuori, attendeva sorseggiando in compagnia, col vento fresco della sera che (non) le scompigliava i capelli. Paola Calvetti non rientra fra le mie letture appassionate così sono andato a dare un’occhiata al piano di sopra dove hanno sistemato gli stand degli editori partecipanti alla fiera. La condizione generale a prima (e ultima) vista mi ha provocato un senso di dispiacere. Una ventina di tavolacci con sopra i libri sistemati alla meno peggio e dietro omini e omine dalle facce rassegnate, e proprio nessuno a curiosare. Mi ha dato l’impressione di un vecchio mercato di libri usati, tipo quello sotto i portici di San Bernardino, quando ci si poteva camminare. È bene che chi ha organizzato ‘Volta la carta’ vada a farsi un giro al Salone del Libro di Torino o a ‘Più libri più liberi’ di Roma per rendersi conto che le fiere vere sono un po’ diverse. Io che di solito amo sfogliare la carta, conoscere le piccole pubblicazioni mi sono sentito inorridito e sono tornato subito giù. Paola Calvetti era sparita dalla circolazione (qualcuno l’ha vista venerdì 27 maggio dopo le ore 19?). Daria ha fatto il suo ingresso trionfale, attraversando la folla che si apriva come il Mar Rosso fino a raggiungere, con passo molleggiato, il tavolinetto in fondo alla sala. Al suo fianco questa Maria Silvia Cicconi che si sarebbe rivelata, di lì a poco, l’assassina delle sperate vendite post-presentazione del ‘Karma pesante’.
Non so se dare la colpa all’emozione, alla responsabilità di cui è stata investita, alla tanta gente presente, alla sua poca esperienza (non la conosco, quindi ripeto: non so) ma Maria Silvia Cicconi non mi è piaciuta e mi sa che non è tanto piaciuta neanche alla Daria. Dopo un’introduzione confusionaria fatta di informazioni tanto per su autrice, trama, protagonista, sorrisetti imbarazzati per la serie: E mo’ che dico?! e frasi partite male e lasciate a tre quarti, ha dato il via alla fase 2. Apriva il libro e leggeva pezzetti del romanzo (ho avuto l’impressione che li scegliesse) a casaccio per poi passare il microfono alla Bigna per la serie: Tiè, mo’ veditela tu! che provava ad argomentare. All’inizio Daria è stata al gioco, tentando collegamenti improbabili fra i passaggi scelti dalla moderatrice finché, da intervistata diligente, è tornata nei suoi panni di intervistatrice barbarica, e ha affilato un paio di frecciate passando da: “Se il libro lo leggi tutto, chi lo comprerà più?!” fino a rispondere a una Maria Silvia disperata che domandava quanto ci fosse di autobiografico nel romanzo: “Uh, finalmente una domanda che non mi ha mai fatto nessuno!” e poi, quando il discorso si è spostato sul terremoto, concludere frettolosamente con un “Chiudiamola qua!” che le ha fatto meritare il soprannome di Daria Bignami.
“Daria, il suo libro mi intrigava e volevo acquistarlo, ma ormai l’ha letto tutto lei quindi…” flop percepito perfettamente anche dal pubblico in sala.
Alla ciliegina sulla torta c’ha pensato l’immancabile Stefania Pezzopane, ex Presidente della Provincia e ora Assessore. S’è alzata in piedi e ha recitato il suo cavallo di battaglia dal titolo: Noi aquilani dobbiamo fare pena a tutti, mi raccomando! Avevo i nervi a fior di pelle. Io non mi sento rappresentato per nulla dalle parole della Pezzopane. Ho avuto più volte la tentazione di alzarmi e chiederle di sostituire quel noi, soggetto di tutte le sue proposizioni, con un io più giusto. Non può parlare per tutti, mica è la Madonna e neanche lei avrebbe questo diritto né, credo, lo farebbe. Avrei voluto replicare che non si può pensare di ricostruire una città continuando a piangere addosso ai VIP che per caso passano di qui. Recitare la parte dei reietti dimenticati da Dio, calpestati dagli uomini potenti, come se Daria Bignardi possa fare una magia. Sono rimasto seduto perché non ho voluto trasformare la presentazione del ‘Karma pesante’, già di per sé poco riuscita, in uno scontro pseudo-politico che togli pure il karma e lascia pesante.
Per una volta L’Aquila poteva tentare di sembrare una città. Una Roma, Milano, Firenze, Torino, Bologna scelta da Daria Bignardi o da Camilleri come tappa del proprio tour. E invece no. La Pezzopane ha voluto ribadire col suo lungo, stucchevole monologo piagnucolante che a portare Daria Bignardi e tutta quella bella gente a L’Aquila è la pena per i disgraziati colpiti dalla sventura. Dobbiamo continuare così per sperare in un paio di monetine in più lasciate nel cappello? Stare attenti che nulla venga toccato, nulla venga ricostruito perché la nostra distruzione conservata nel cellophane continui a produrre monetine? E che fine fanno queste monetine? Qualcuno me lo sa dire con prove alla mano? Magari molti aquilani la pensano come la Pezzopane, io non l’ho mica capito questo. Parlo per me e dico che mi sono rotto di far pena, e quindi volto la carta e la pagina.
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