Sono vivo. Lo dico per rassicurare chi si stava preoccupando per la mia lunga assenza dal blog.
In questo mese e mezzo di sparizione – mio Dio che sei nei cieli (sempre se ci sei) perdonami, se puoi! – ho scritto come un pazzo. Se tutte le mattine all’alba la gazzella si domanda se correrà o no più veloce del leone, col cuore le auguro di sì, io mi svegliavo con l’interrogativo: Oggi scriverò la tesi oppure il romanzo?
Dopo aver passato dalle sei alle dieci ore davanti al monitor del computer, e considerando come aggravante la comparsa, fastidiosa alla vista, di gruppi di pixel bruciati, che pare una campagna inglese degli anni ottanta disseminata di cerchi nel grano di origine extraterrestre, spero che comprenderete la scelta di seppellirmi nel letto a leggere “I miserabili”, invece che restare ancora al computer, ancora a scrivere, però sul blog. Proprio non ce l’ho fatta.
Ebbene, ho finito di scrivere il romanzo. E’ stato un lavoro lungo (troppo) e appassionante.
Non sono mancati i momenti di abbattimento, quelli che ti fanno venir voglia di gettare tutto nel cestino di Windows e iscriverti a un corso per parrucchieri fai da te. Al di là del risultato finale, di cui sono molto soddisfatto, per me conta più di ogni altra cosa la sensazione di aver appreso come una spugna, di essere cresciuto come autore, di essermi messo in gioco e a servizio del mio romanzo in un percorso di riscrittura non sempre facile.
E’ ancora presto per tutto. Per parlarvi del libro, della storia, dei personaggi, per sapere se e quando uscirà e con quale editore, ma l’entusiasmo che sento mi fa ben sperare. Insomma, oggi sono felice, e volevo dirvelo.
E’ riuscito il sole su L’Aquila e questa è un’altra bella notizia per ripartire.
Il 6 aprile è passato anche quest’anno riaccendendo le luci sul dolore della mia città. Io ho spento la tivù e scritto un piccolo pensiero che ho condiviso su Facebook.
E’ il 5 aprile. Sta calando l’oscurità. Non è possibile impedire alla mente di tornare indietro. Era una serata normalissima. Ero tranquillo. La notte fra il 5 e il 6 aprile del 2009 è un buco nero cristallino e limpido. Ogni fotogramma resta impresso, marchiato a fuoco da una violenza senza paragoni. Ogni momento, movimento, procedeva lentissimo, a rallentatore, per meglio godere della brutalità del boato, degli sbalzi, del tremore fuori e dentro la pelle.
Ricordare per gli aquilani è naturale, come se si potesse dimenticare. Ricordare per gli altri un po’ meno.
Ho scelto come immagine del profilo un’aquila pronta a volare. Le immagini che ritraggono le bare, i numeri di morte, i crolli, le fiaccolate, sono giuste, importanti, toccanti, necessarie. Ma dimenticano la vita che pulsa ancora, il desiderio e la necessità di una rinascita che non sia fatta soltanto di parole, ma di ricostruzione.
Bisogna risollevarsi da terra, togliersi di dosso questi benedetti calcinacci del ricordo e vestirsi di nuova energia, vita, progettualità. Stare in piedi con gli occhi all’orizzonte, e poi guardare in alto e provare a fare un salto.
Perché a noi aquilani mancano i buoni regnanti, ma non certo le ali.
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