Leggo spesso che in Italia di bravi autori giovani non ce n’è traccia, che i grandi editori mandano in stampa soltanto le biografie dei calciatori, i libri di racconti delle rockstar fra palco e realtà, e i romanzi di Barbara D’Urso e Pupo. E spesso lo dico anch’io. Che cacchio, se fossi Flavio Insinna, avrei pubblicato il mio nuovo romanzo da 2 anni. Ma non sono Flavio Insinna, non conduco Il Braccio e la Mente, né ho condotto La Corrida su Canale5. Ne consegue che Mondadori può aspettare. Io do parte della colpa di questa crisi culturale, editoriale e di lettura, in Italia, proprio agli addetti ai lavori. Non è difficile notare la virata verso una letteratura che rimbomba, perché rimbombano i nomi divenuti noti in ambiti che coi libri non c’entrano niente. Come dare torto a chi pubblica la biografia ufficiale di Del Piero se la settimana dopo è prima in classifica? Siamo al punto che uno che desidera raccontare storie deve inventarsi prima un modo per finire sulla bocca di tutti e, solo dopo, la storia da scrivere. Magari proprio quella che gli ha portato l’improvvisa notorietà dopo aver commesso un delitto. Ammazzare qualcuno è, oggi come oggi, in assoluto la strada più gettonata verso la celebrità. E dalla celebrità al libro è un attimo. Del Piero ancora no, Amanda Knox forse sì. Comunque una speranza resta. Se è vero che questi qui vendono diecimila volte più di quelli che non hanno vinto nessun campionato di calcio, al massimo quello del fantacalcio in terza liceo, non hanno mai presentato una trasmissione in tivvù, né ammazzato qualcuno diverso da qualche moscone appiccicoso con l’arrivo del caldo estivo, è vero anche che i narratori puri non si sono ancora estinti, e non sono tutti da geriatria ospedaliera. È il caso di Fabio Genovesi, che non sta fermo un attimo. Classe 1974, esordisce nel 2007 con la raccolta di racconti Il bricco dei vermi, uscito a tiratura limitata. L’anno successivo tocca al primo romanzo, Versilia Rock City (Transeuropa), più volte ristampato. Collabora con Vanity Fair, La Lettura del Corriere della Sera, La Repubblica, Il Tirreno e Satisfiction. Nel gennaio 2011 Mondadori pubblica il suo secondo romanzo, Esche vive, che lo porta all’attenzione del grande pubblico trovando il successo anche all’estero. E nel 2012 ristampa Versilia Rock City. Quando pensi che ci stia benissimo un momento di pausa, ti sorprende con Morte dei Marmi, uscito proprio oggi per la collana Contromano dell’editore Laterza. E allora quale giorno migliore per segnalarvi l’intervista che ho realizzato per 4 Chiacchiere (contate)! Ecco la prima chiacchiera.
Il tuo caso è emblematico della “prepotenza” della passione, che entra nelle storie condizionando, direi piacevolmente, l’autore. So che stai lavorando al nuovo romanzo e allora ti chiedo subito: con ‘Esche vive’ pensi di aver esaurito l’argomento pesca oppure hai in mente nuove catture?
L’argomento pesca è inesauribile, perché è grande quanto tutti i mari e i fiumi e i laghi e gli stagni e i fossi, e quanto l’umanità. Ma non mi piace scrivere libri su un argomento, preferisco raccontare storie, storie di posti e di persone che fanno cose. Dentro poi ci finiscono le mie passioni, che per fortuna sono tante, ma ci finiscono come i cassonetti nei fiumi in piena, che passano e raccattano tutto. È come i famosi “contenuti”, se parti a scrivere pensando a quelli ti ritrovi in mano pagine meccaniche e plasticose. Io racconto una storia, come uno racconta quel che gli è successo o ha visto succedere ad altri, come uno racconta un sogno o un incubo o una barzelletta. Se poi il contenuto ci si tuffa dentro è splendido, ma ci si deve tuffare da solo, non lo devi spingere te.
Le altre 3 le trovate nella pagina dell’intervista su Sololibri.net. Vi consiglio di salvare fra i preferiti il blog di Fabio, e di chiedergli l’amicizia su Facebook, ne sarà felice. Oltre a leggere i suoi libri; Esche vive innanzitutto, secondo me.
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