In questi giorni sulla home page di Splinder troneggiano ben 2 banner pubblicitari, uno più grande, ma dal medesimo contenuto che recita così: vinci una macchina fotogarphica Sony e un viaggio per due presone a Parigi. Chi l’ha ideato e trascritto il testo, un teppistello di Io speriamo che me la cavo? Che poi neanche a dire: sa, è un romanzo di 1038 pagine scritte fitte (Anna Karénina e il conte Vronski si stanno dando alla pazza gioia mentre Kitty sta morendo di dolore per il rifiuto del conte, e l’alto funzionario zarista, marito della Karénina, indossa con eleganza 2 corna ramificate. Il bello è che lo sa, ma per ora tende a far finta di niente per salvare la faccia. Stefano, fratello di Anna e marito di Dolly (sorella di Kitty) ha appena beccato una sòla pazzesca vendendo un grosso appezzamento di terreno a molto meno di quanto realmente valesse. Levin, innamorato perso di Ktty e amico di Stefano glielo fa notare ma a lui poco frega, l’importante è che ci fa 4 soldi, sporchi maledetti e subito) e allora qualche errore ci può scappare, ma sono 2 righe, cosa ci voleva a rileggerlo prima di pubblicarlo? Comunque io non lo clicco perché, considerata la professionalità che trasuda da ogni pixel, come minimo m’acchiappo un virus al solo sfioramento di mouse e, se poi vinco il viaggio a Parigi (che tanto ci vado lo stesso), sicuro il loro aereo precipita con me a bordo e a quel punto di una macchina fotogarphica non saprei che farmene.
Ieri sera ho mangiato il primo kebab (e non certo l’ultimo) della mia vita. Una delizia. “Che ci mettiamo?” “Eh, non lo so. Mettiamoci quello che va in un kebab, no?” “Quello che vuoi!” Davanti a me ci sono 4 vasche. In una riconosco l’insalata, in un’altra i pomodori, in un’altra forse so cosa c’è, se è cipolla quella massa di schegge umide incollate in matrimonio. Il contenuto dell’ultima mi è ignoto; non mi viene in mente nulla di fisicamente affine a quella roba bianchina che dà sul verde. “Insalata, pomodori, poi cipolla?” chiedo dubbioso. “Sì, la vuoi?” “No, per carità!” “La verza la vuoi?” “Oddio è verza quella?” “Sì!” “No, mi fa schifo, scusa” e poi aggiungo: “Questa che salsa è?” “Piccante” “Ok, un po’ di quella e a posto così” “Che altro ci vuoi?” Ho detto a posto così, e poi sono finite le opzioni, mi pare, a meno che non sia concesso ficcarci un supplì o uno di quei dolcetti collosi che non mi ricordo mai come si chiamano; perché mi chiedi che altro ci voglio? “Va bene così grazie.” Avrei potuto gustare, pagare e andare via, il fatto è che io sono curioso e pochi spruzzi di quella salsa avevano trasformato il mio kebab in un vulcano e a me il piccante fa impazzire, lo metto dappertutto pure sui tortellini con la panna (nel latte no, ma la cioccolata al peperoncino è fantastica). E allora ho sentito un bisogno fisico di approfondire l’argomento. “Come la fate questa salsa?” “Con questo” e mi mette sotto il naso un barattolo che sembra di pomodoro e invece è un composto rosso piccantissimo. “Lo voglio, dove si compra?” “Io lo prendo a Roma” “E io lo posso prendere da te?” Rimane in silenzio in bilico. “Dai, solo un barattolo!” e faccio gli occhioni del gatto con gli stivali. Ancora in silenzio finché: “Sì, anche se io non lo vendo di solito eh!” Me l’ha fatto pagare 5 euro; secondo me ho fatto un affare peggio di Stefano coi suoi terreni, se consideriamo il viaggio L’Aquila-Roma già sono 20 euro di autobus andata e ritorno. Non vi pare? Evviva domani un paio di cucchiaini di Sauce Piquante de Tunisie nel sugo e passa la paura; spero di non mettermi a eruttare lava. Se non dovessi riuscire a consumarla entro il 26 ottobre 2010 che scade, invito la vicina di casa a pranzo, quella che prende a calci il suo cane per intenderci, e l’avveleno.
Ieri sera mi arriva questo PVT: Ciao, scusa l’intrusione ma questo vuole essere il mio ultimo tentativo per tornare a vivere. Ti prego, passa nel mio blog, prova anche tu ad aiutarci. Se puoi e non hai pregiudizi, spargi la voce della mia esistenza. Spero qualcuno possa realmente tirarmi fuori da questo incubo. Sono andato a dare un’occhiata e ho deciso di assecondare nel mio piccolo la richiesta disperata di questa famiglia provando a diffondere la storia di Nicholas, bambino bellissimo sottratto ai genitori da un sistema sociale che forse pensa così di fare il suo bene. Il blog è Aiutiamo Nicholas. Aiutarlo a tornare a casa si può, intanto parlandone.
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