Oggi hanno chiamato, prima una ragazza e poi un ragazzo per sapere se c’era ancora qualche stanza libera nell’appartamento dell’annuncio. Sarà la decima telefonata che riceviamo in una settimana. È troppo lungo spiegare che quell’annuncio è di oltre un anno fa e che quell’appartamento sta al secondo piano di un palazzo che non è agibile ora, e probabilmente non lo sarà mai più. Sarebbe troppo lungo e soprattutto poco sensato farlo al telefono con uno sconosciuto, che non solo non sa come mi chiamo, ma non sa neanche cosa può voler dire tutta questa storia di rovine che si accumulano a terra. Perché bisognerebbe parlare della distruzione dei ricordi, di vent’anni di vita fra quelle mura, del portichetto col pavimento rosso, della cassetta della posta della vicina, che rompevamo mediamente ogni settimana col pallone, che finiva, non si sa bene perché, sempre sulla stessa, sempre su quella, forse per via della perfidia acida dei suoi capelli arancioni, che l’attraeva come una sorta di vendetta di noi piccoli. Spiegare per la centesima volta poi, neanche fosse previsto un premio per il tanto ripetere e ripetersi di parole di questi mesi. Ho risposto che le stanze erano state tutte affittate, per concludere in fretta la telefonata e per far finta di sentire, al posto di quel silenzio polveroso, ancora la voce delle ragazze che abitavano il mio appartamento fino al 6 aprile. Stanno tutte bene perché quel vecchio palazzo, costruito da mio nonno quasi quarant’anni fa, non è andato giù come una costruzione di lego. Le pareti si sono aperte, la scala si è staccata, i quattro garage sono diventati un’unica gigantesca stanza a piano zero, però è rimasto in piedi e i condomini sono potuti uscire terrorizzati, ma vivi.
Hanno deciso che entro fine settembre non dovrà più esistere alcuna tendopoli e allora, visto che le casette saranno completate e consegnate entro il venticinque dicembre – evviva, arriva Babbo Natale! – la gente verrà momentaneamente (sempre più lunghi questi momenti) riportata sulla costa, ora che la stagione estiva è andata, gli alberghi non hanno più richieste e sono ben felici di ospitare gli sfollati e i contributi che prendono per ognuno di loro. Nessuno si preoccupa di chi qua ci lavora, di chi si ritroverà a dover fare cento chilometri all’andata e cento al ritorno, di chi magari in tenda un altro mese ci sarebbe rimasto, nonostante tutto.
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