Non mi sono suicidato e non ho intenzione di farlo, almeno non prima di aver portato a termine quei 2 o 3 progettini ai quali sto dedicando la mia esistenza. Uno è diventare milionario senza vincere Chi vuol esser milionario che io in persona uscirei alla terza domanda quando mi chiedono che mare bagna la Liguria o quanti anni aveva Gesù Cristo quando è schiattato o chi si trombava Cleopatra prima che l’aspide la crepasse, e anche fosse, poi i soldi te li danno in gettoni d’oro 2 anni dopo e io li voglio subito, in contanti, e ne voglio di più (con un milione che ci faccio?). Gli altri progetti (sempre se escludiamo la conquista delle Americhe) ancora non li so. Lancio un messaggio a chi dopo gli ultimi post s’è lasciato prendere dall’ansia della mia possibile dipartita. Sono vivo e sono ancora io che scrivo. Pensate che l’avida produzione che sta dietro La stanza del Matto mi avrebbe sostituito con uno squilibrato depresso visionario che, da quello che scrive, sembra passare le giornate sull’orlo di un crepaccio ciondolando continuamente tra i 2 estremi di un enigmatico: mi butto o non mi butto? e intanto conta le onde e i pesci saltellanti per passare il tempo? Ma no! Avrebbe senz’altro scelto una penna frizzante e divertente per ben emulare l’allegria che siete abituati a respirare nella Stanza grazie a moi (pronuncia: muà). Sono ancora io e sto bene. Comunque chiariamo una cosa. La stanza del Matto non è mai stato un blog a tema, né un blog che avesse una sorta di politica editoriale diversa dal: è il mio, ci scrivo quello che mi pare, se non vi piace di blog è (fin troppo) pieno il www, quindi libertà a tutti, siempre. Né il blog di un personaggio da mantenere sempre e comunque (e l’espressione sempre e comunque non mi garba) o cose così. Poi, che mi diverta a scrivere boiate e a sparlare del mondo (e di Anna Tatangelo) è risaputo. L’ironia mi piace e mi mette di buonumore, ma questo non vuol dire che un giorno il buonumore possa non interessarmi e che anche il giorno dopo sia così e che per i 3 mesi successivi pure. Quindi niente panico per un po’ di saggia e riflessiva depressione da fine anno e altre cose tutte insieme. Per il resto, il mio dito medio si è infiammato attorno all’unghia perché pare che abbia un po’ esagerato con la mia irrefrenabile smania di mordicchiare e staccare pellicine, e s’è trasformato in una piccola sacca gonfia di spu (l’ho anagrammato per chi inorridisce alla parola pus). Una m’ha detto che risolvo in un attimo cospargendolo di grasso di maiale, risorsa di cui al momento non dispongo e che sinceramente non ho la più pallida idea di come reperire. Un altro, di inzupparlo in acqua e sale, e questo mi sembra più semplice. Intanto drizzo orgoglioso la mia sacca in faccia a chiunque mi stia sul cazzo senza più preoccuparmi del gesto dagli intrinsechi retro-significati, che però il mio sorrisetto palesa, e che non sono altro che un cordiale invito a trasferirsi in paesi più in linea con la cerebro-demenza manifesta della persona a cui lo mostro.
Ah, ma quanti sono i Take That? Io mi ricordavo che erano 4 visto che Robbie Williams ha detto ciao ciao, e invece pare che siano 8. No perché ieri la De Filippi: “C’è Gary, c’è Barlow, c’è Mark, c’è Owen, c’è Howard, c’è Donald, c’è Jason e c’è Orange”. L’avrà moltiplicati, come i pani e i pesci. Io l’ho sempre detto che Maria De Filippi è la Madonna incarnata (il nome che porta e gli ascolti che fa sono elementi che dovevano indurre molti almeno a sospettarlo). Chissà che avrà pensato quando, dopo averne annunciati 8, ne ha visti entrare 4.
Aggiornamento lampissimo: ho appena letto che è morto l’ispettore Derrick. Oddio, e ora chi glielo dice a mia madre?
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