Da un giorno all’altro ho capito che bastano la mazzate della vita ad appendersi agli abiti come pesi che tirano verso il basso; non occorre aggiungerne altre di nostra fattura. Della vita poi… come se avesse vita, la vita; coscienza e volontà di far male. Sono le persone che lo fanno: metterti su un piedistallo e poi bombardarlo. So reagire alle delusioni, pure quelle che, al solo immaginarle, esclami: No, non ce la farei! Ecco, io da un giorno all’altro ho scoperto che ce la faccio. Non l’ho scritto subito, né detto a gran voce. Dovevo prima capirlo da me; le parole di nessuno riescono a convincere il mostro Inadeguatezza, che abita le nostre fragilità, a traslocare lontano. Solo una presa di coscienza propria può farlo. Avevo bisogno di qualche giorno per capire se la reazione di forza, coraggio e volontà era specchio dell’effettivo stato della mia natura sconfitta, ma sana e salva, con ancora i brividi addosso di rivoluzione, ritenta, rialzati, ricomincia. Pure se da capo, ricomincia. Oppure se si trattava dell’ennesimo tentativo di non mollare la presa, perché sotto c’è il burrone e cadere non è mai meglio. Realtà, o non volerla accettare la realtà. Il giorno di passaggio, verso l’altro delle consapevolezze, è datato 9 aprile, Pasquetta. Non è accaduto niente di straordinario, anzi sì. Dipende dal punto di vista dell’osservatore. Io me ne sono accorto tardi, comunque prima che accadesse. Non abbiamo fatto grandi programmi, ognuno preso dai propri impegni di lavoro e familiari, e poi sapevamo che non ce ne sarebbe stato bisogno. Ci siamo ritrovati in 4, e siamo partiti per Roccaspinalveti, un paesino dell’entroterra vastese dove vivono i nonni di Luca e Linda che, in occasione delle feste, si sono trasferiti per qualche giorno dai genitori. Un’oretta da Lanciano, di curve in salita che Luca ha affrontato con una certa grinta al volante che non ricordavo, e che ha messo a dura prova il mio stomaco sensibile. Chiedetelo ad Arisa che cosa si prova, che lei di vomito, che non arresta la corsa e non si vuole fermare, se ne intende. Mi ha salvato la sberla continua di aria gelida che mi arrivava in faccia dalla fessura del finestrino, aperto dal sottoscritto a tradimento. Roccaspinalveti è un comune della provincia di Chieti che esiste dal XIX secolo, e che oggi conta poco meno di 1500 abitanti, dei quali ho conosciuto i nonni di Luca, incontrati in altre occasioni, una signora gentile che, se non sbaglio, dovrebbe essere la zia Giulia, che ci ha fatto trovare il camino scoppiettante, e la barista che non m’è parsa felicissima di essere l’unica in tutto il paese a lavorare a Pasquetta. Ma chi lo sarebbe?! Mentre in moltissimi assalivano agriturismi e ristoranti, noi ci siamo organizzati vecchia maniera: ognuno porta qualcosa di pronto. Zappa la pasta fredda e le bibite analcoliche; ritenendo follemente che avessi ragione, su mio consiglio ha caricato in macchina una cassa d’acqua, un’altra d’aranciata e 3 cartoni di succhi di frutta gusto tropicale da 1.5 litri cadauno. Luca e Linda si sono occupati del secondo e contorni, e vino. Una gustosissima frittatona con peperoni; patate fritte non-fritte, così le ha chiamate lui prima di aggiungere: In effetti si vede. Non hanno proprio una consistenza croccantissima; dell’altra verdurina che non ho saputo identificare, forse agretti, ma non ho chiesto numi a riguardo. Qualcuno si starà chiedendo: Se tutti portano qualcosa, tu cos’hai portato? Domanda più che lecita alla quale risponderò dopo la pubblicità del Saccottino del Mulino Bianco. Nel suggerire a Clementina di darsi una svegliata, rispondo che io ho portato tutta la simpatia che la mia bella faccia irradia minuto dopo minuto e ora dopo ora! I giorni precedenti sono stato omaggiato di turni lavorativi leggermente castranti, Pasqua inclusa, quindi ho gentilmente chiesto ai miei compagni d’avventura di concedermi di non preparare nulla (il solito scansafatiche).
Dopo pranzo ci siamo recati a Pick Nick, proprio scritto così: con la doppia ck, che non è, come molti di voi staranno pensando, il tradizionale pasto in un contesto naturalistico, su una tovagliona a quadri bianchi e rossi, detto anche romanata, ma un luogo fisico in alta quota che gli autoctoni pronunciano Pìcnìc (non so come riescano a rendere questo doppio accento; io mi sono esercitato, ma no, non sono capace) e scrivono appunto Pick Nick. Quando ho aperto lo sportello l’ho dovuto immediatamente richiudere, lottando contro un’entità invisibile che tirava con una forza sovrannaturale: il vento, ma così forte che a un certo punto mi sono voltanto verso i miei amici magrissimi, timoroso di vederli spiccare il volo da un momento all’altro. Abbiamo raggiunto una chiesetta e poi abbiamo proseguito fino a un fontanile, e fino alla neve. Non era la solita neve, pareva sintetica; uno strato croccante e sottilissimo che ricopriva, non in modo uniforme, la collina, lasciando intravedere tracce di verde. Camminavamo ridendo e respirando l’aria di un’atmosfera surreale, con tutto quel vento che saltavi, e atterravi spostato di qualche centimetro. Là non c’era niente, ma c’era tutto, visto che quel niente mi ha fatto dimenticare tutto, cioè la botta d’impotenza subita poco prima di Pasqua con allegati gli auguri di chi può fare e non fa, e non farà. Perciò ho identificato il giorno di Pasquetta col momento della consapevolezza della mia forza, che mi dà l’avere certe vicinanze, che emanano energia e luce come lampadine inesauribili.
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