In quel luogo le conversazioni sono tutt’altro che creative. Generano qualcosa sì, ma che è ripetizione di se stessa. Nessuno è interessato a sapere come ti chiami, quanti anni hai, cosa fai nella vita: se studi, lavori, rubi o ti prostituisci, quanto grande è il peso dei tuoi sogni, come sei fatto: se sei alto, magro, muscoloso, obeso, se hai gli occhi azzurri o neri, se ti manca un braccio oppure sei campione nazionale di lancio del disco. Te lo chiedono, ma non è di te che si interessano. Conoscerti è solo un modo per arrivare alla pace dei senssi scalpitanti. Alterno silenzi a sproloqui per emergere dal mucchio ed essere giudicato un fuoriditesta e quando mi va, dopo che sia passato qualche tempo, torno a criticare chi fa lo stesso, in un momento dei tanti in cui la mia luna è spenta. Meravigliosa luna che nel buio non si arrende, che da sola lo vince bagnando il mare nero della paura. Su quel tappeto d’argento vorrei camminare, da solo, nella speranza che non mi porti da nessuna parte. Che sia un infinito moltiplicarsi di chilometri dalla terraferma. Guardo in alto accecato dalla luce fedele a illuminarmi i piedi sull’acqua come Cristo, peccatore come nessuno io.
Non mi preoccupa il giudizio quando è arte di pecore che si seguono fino al dirupo, che una dopo l’altra sperimentano saltando. Quando cala la giusta notte, su tutto tranne che sulla luna, eviterei pure una risata sconveniente, nonostante il bel suono e la luminosità degli occhi ridenti. Non mi cambio ora che vesto abiti d’acciaio. Mi capisco quasi sempre e non mi piaccio quando cammino con nonchalance su un corpo martoriato dalle parole. Questo non mi impedisce di evitare il massacro né mi porta pentimento, sta tutto qua il perché. Guardo la luna e mi sento bene con lei. Ancora una volta ho scelto per me che voglio al mio fianco chi mi assomiglia, chi non mi sfida, non mette il dito nella piaga. Voglio al mio fianco solo coloro che non perdo mai, che mi salvano pure da lontano, che sorridono e mi stimolano a crescere. Voglio al mio fianco chi crede in me, non nella mia disfatta, chi ce la mette tutta per vedermi sul punto più alto del mondo, non chi scava sotto i miei piedi e mi fa franare nel fondo.
State lontani voi che mi provocate per ferire, per destare fastidio e sentirvi vincitori di almeno un premio: una caramella gommosa che rilascia in bocca l’amaro dell’ennesima sconfitta, in una non-vita che conducete e che continua a vincere contro.
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