Madre odia i topi e tutte le creature di qualunque specie, colore – non parliamo delle dimensioni – ad essi riconducibili, e quindi agisce di conseguenza e senza lasciare prove, come ha imparato da anni di fedele spettatrice di Quarto Grado, Chi l’ha visto? e Amori Criminali. Fra le stanze di Villa Madre aleggia ancora il mistero per l’inspiegabile morte del criceto, donato alla secondogenita per festeggiare il primo dentino caduto. Tutti i genitori convincono i figli della generosità dei topi, che elargirebbero soldini e gomme da masticare in cambio di denti da latte; Madre le ha fatto ingabbiare direttamente l’animale, ma non è un incontro a lieto fine il loro. Infatti la piccola secondogenita, dopo un iniziale prevedibile entusiasmo, che si manifestava in abbracci particolarmente passionali e gare alle macchinine da scontro, nelle quali il topo impersonificava la parte della macchinina, se n’è stancata, e della bestiola ha dovuto occuparsene il primogenito sotto l’occhio vigile di Madre. Finché non è accaduto il fattaccio. L’umore di Madre si faceva più irrequieto col passare dei giorni per colpa del fastidio che le dava il cigolio della rotella che il roditore, evidentemente dedito alla vita sana (in trappola sì, ma di corsa), manteneva in perenne movimento; non tanto da sveglia, quanto in veste di dormiente continuamente destata da quel ti-tiii di ingranaggi. Ebbene, il criceto è stato ritrovato senza vita una mattina di novembre di 24 anni fa. Non posso rilasciare ulteriori dichiarazioni, nonostante io sappia molto più di quanto sembri. C’è un particolare che ha insospettito il medico legale: la vaschetta dell’acqua, secca e ricoperta di uno strato di calcare, emanava sensazioni di dimenticanza. Se a tutte le altre donne del mondo è sufficiente percepire appena lo squittio in lontananza per arrampicarsi sulla sedia più vicina e mettersi a urlare come una sirena d’ambulanza, Madre la sedia più vicina l’afferra come una mazza da baseball e dà vita a una spietata caccia al ratto per tutta Villa Madre. La maledetta belva di Satanasso, come la chiama lei, riesce sempre a cavarsela, invece Madre si ritrova, affannata e con in mano un pugno di mosche, a dover riordinare Villa Madre messa a soqquadro dalla guerra in cui tutto è permesso, pure ribaltare il nuovo divano ad angolo Chateau d’Ax verde smeraldo sul quale nessun appartenente al ceppo sanguigno di Madre può rilassare le sue membra neppure per un attimo, se no si sgualcisce; le gambe pesanti si curano, una piega sul divano no. I continui fallimenti di trappole per topi e spicchi di formaggio avvelenati con polveri di creazione madrina, ai quali il fognante non si sarebbe avvicinato neppure se preventivamente ipnotizzato da Giucas Casella, avrebbero sconfortato chiunque, ma non Madre, che ha deciso di rivolgersi a un’equipe di esperti, da secoli alla ricerca di tecniche sempre più infallibili per stanare il nemico, e ha dato a me il compito di contattarli: Voglio almeno 2 gatti, ma non comuni gatti. Gatti-tigre! Sarà fatto! Dopo settimane a valutare annunci nella sezione regalasi a solo amanti gatti; a strappare numeri di telefono dai biglietti affissi nelle bacheche universitarie, all’ospedale, sulla porta del veterinario, pure nel cesso del cinema; a guardare fotografie su internet messe da chi ha urgenza di sbarazzarsi di intere cucciolate di felini; numerosi appuntamenti e casting, nei quali Madre era unica e insindacabile giudice e io suo non-ascoltato consigliere, è arrivato quello decisivo, in una rustica villa di periferia che Madre ha dimostrato di invidiare elencandone una interminabile lista di difetti: il giardino è poco curato, i mattoncini esterni sono di un colore che sbatte, il cancello è arrugginito, l’aria puzza… finché non ci hanno raggiunto i 2 amabili padroni ansiosi di presentarci i gattini definiamoli vivaci. L’uomo e la donna, anziani solo all’apparenza, ci hanno descritto le belvette come 2 tesori un po’ inselvatichiti, nel tentativo di far passare inosservata la loro aggressività. Madre l’ha colta e l’ha amata: Li prendiamo! La cattura è durata poco meno di ore 3. L’uno, marroncino e bianco con la punta delle orecchie nera, si è aggrappato alla faccia della donna che tentava di ficcarlo nel trasportino, e l’ha decorata con gli artigli; l’altro, classico grigio tigrato, ma non classica docilità europea, si è arrampicato sulla quercia, ma l’uomo non era da meno. L’ha afferrato per la coda e quello ha dapprima finto di cedere la presa, e poi si è accanito contro il vecchio padrone completando l’opera del fratellino. Se a qualcuno fosse venuto in mente di affiancare le immagini delle due facce violate, avrebbe intravisto una Gioconda coi baffi. La conclusione della storia vi lascerà l’amaro in bocca, ma la mia sincerità mi impedisce di modificare il reale svolgimento degli eventi. Giunti in Villa, prima di liberarli, Madre ha preparato al meglio il loro habitat: 2 scodelline di crocchette; 2 con del latte appena munto appartenente alla madre-mucca; un’enorme cesta riccamente decorata di fiocchetti rossi e blu come i colori dell’Aquila; una vasca di ceramica con ghirigori giapponesi della scuola del ceramista Shimaoka Tatsuzo, contenente sabbietta per defecare mescolata a pregiati cristalli cattura-odore; un largo e basso vaso, nel quale Madre ha fatto coltivare dal giardiniere di Villa una piantagione di Nepeta Cataria, conosciuta comunemente con il nome di erba gatta. I 2 mici-tigre, annusandone le foglioline, non sapranno resistere alla tentazione di masticarla e fare a Madre le fusa, pensavamo. Posiziono il trasportino in direzione del grazioso angolo; apro la gabbietta e già un sorriso ci colora il viso al pensiero di quanto bene staranno i nuovi arrivati a Villa Madre, che sbucano fuori come missili, travolgono le ciotole, sbattono sul cestino e lo capovolgono, e prendono a correre verso la siepe che divide Villa Madre dai vicini, la oltrepassano e, in un lasso di tempo durato pochi istanti, spariscono all’orizzonte. Da allora non li abbiamo più rivisiti.
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