Vomitare è la moda del momento e Madre non disdegna certo le nuove tendenze. Lei le mode non le segue, le lancia. Così, ha aperto le porte di Villa Madre a un virus intestinale persino peggiore di quello che si è abbattuto sulla mia persona nella Parigi grande grande grande. Ho trascorso 2 dei 4 giorni di villeggiatura in albergo, a seguire Ballando sul Ghiaccio sul satellite. Il terzo giorno, che credevo di star meglio, al contrario di Gesù Cristo non sono resuscitato secondo le scritture, ma l’ho passato ad ammirare le piastrelle decorate dei cessi del museo d’Orsay, mentre i miei compagni di viaggio ammiravano Monet, Manet, Renoir, Degas, Cèzanne, Millet, insomma le più belle collezioni d’arte del mondo. Anche fossero state le più belle piastrelle del mondo, converrete con me che non è proprio la stessa cosa. Se il virus d’allora si limitava a moderate espulsioni rapide di materiale gastrointestinale dalla bocca, alimentare o no che fosse – molto dipende dalle abitudini della vittima – questo attuale ha subito un’evoluzione e al vomito associa un disturbo della defecazione, caratterizzato da un aumento dell’emissione della quantità giornaliera di feci, con diminuzione della loro consistenza, altrimenti detta cacca lenta.
Ho visto Madre:
– Non riuscire a sollevarsi dalla madre-poltrona per poter assumere una compressa di Imodium e un flaconcino di Enterogermina, neanche con me che tentavo di issarla con notevole sforzo e nessun apprezzabile risultato. Il gesto mi ha ricordato un giorno di un’estate lontanissima, su una barca in mare aperto con cugini, padre, Madre e zii. Tutti si sono buttati a farsi una nuotata al largo, nei paraggi della barchetta. Io ero ancora troppo piccolo per vedermi riconoscere il permesso di fare lo stesso. Tutti sono risaliti agevolmente, tranne Madre che proprio non ce la faceva: si spingeva con le braccia e ricadeva in mare senza forze. Allora mio padre, dal bordo della prua o della poppa, mo’ non so bene, l’ha afferrata per i polsi e ha puntato i piedi; i cugini grandi e lo zio, aggrappati ai fianchi di mio padre, hanno cominciato a tirare con tanto di ooohhh issa! in coro. Madre si lamentava per il dolore che le provocava lo strusciare della pancia sulla superficie della barca, finché si sono dovuti arrendere tutti all’umiliante conclusione di trainarla a riva come si fa coi cetacei feriti.
– Passare una notte intera seduta sul divano del salotto a luce spenta, perché allungata a letto le facevano male le ossa, senza lamentarsi né chiamarmi mai. Quando sono andato da lei, alle 2 di notte, sperando di convincerla ad andare a dormire, mi ha risposto: “Domani mi sarà passato tutto, tu vai a dormire”.
Quando il virus ha traslocato nel corpo di mio padre, le scene si sono fatte ben più spettacolari, da effetti speciali cinematografici, direi.
Ho visto mio padre:
– Fare scatti da centometrista. Partire dalla taverna, salire a una velocità record a 4 a 4 le scale, arricchendo la scena con tonfi e urla di sofferenza, che non ho udito neppure quando gli hanno tolto la vena safena dalla gamba, con un’anestesia blanda che si è rivelata ahilui insufficiente.
– Sfondare quasi la porta del bagno e rimettere l’impossibile imprecando al cielo, chiedendo aiuto pure alla Madonna e a Dio, prima di tornare barcollando giù in taverna e seppellirsi sotto quintali di vecchie coperte, per poi, qualche minuto dopo, ripartire verso il bagno fra strepiti e ululati tarzaneschi che risuonavano per tutte le stanze di Villa Madre e, temo, anche nel vicinato, francamente un pochino esagerati per ciò che gli stava accadendo. E che sarà mai un po’ di vomito!
– Telefonarmi dalla taverna 8 volte in un’ora per chiedermi aiuto. Scendevo, lo trovavo sepolto come sopra descritto, gli domandavo cosa potessi fare e lui rispondeva con frasi del tipo: “Lasciatemi pure morire qua”, “Siete degli insensibili!”, “Aiutatemi, aiutatemi… aiutatemi!”, “Oh Dio mio, perché mi stai facendo questo!”. Al che io mandavo gli occhi al cielo rassegnato, quasi a chiedere perdono per lui, chiudevo la porta e tornavo a ridere di lui in cucinetta, in compagnia di una Madre perfettamente ristabilita sulla sua madre-poltrona rossa.
Stamane mio padre si sveglia presto come al solito, si veste, si improfuma e va al lavoro. Madre, al pomeriggio, lo aspetta con la paletta di legno per il sugo in una mano, che il mio culo ben si ricorda, quando mi beccava che non ero andato a scuola, e il coltellaccio per il pane nell’altra.
Al suo ritorno lo accoglie così: “Siamo guariti di botto, eh?!” Mio padre, a quel punto, torna nel personaggio, imposta la voce in modalità moribondo now e sussurra: “Mi reggo in piedi con le mani e coi piedi. Lasciatemi stare!”, si toglie la giacca e avanza a passi trascinati verso il divano. Madre non resiste ed esplode: “Io sono stata male 2 giorni. Ho dormito una notte seduta sul divano, immobile come una statua. Ho vomitato per ore. Mi hai forse sentito? Te ne sei accorto?” poi si gira a guardarmi: “Ho forse fatto come questo attore consumato?” e indica mio padre. “Hai forse sentito dalla mia bocca quei ridicoli versi da orso trafitto da una lancia, che ha emesso tuo padre per tutto il giorno?” poi di nuovo a lui: “Tu dovresti recarti immediatamente a Milano, salire sul palcoscenico del teatro alla Scala, e interpretare la parte del protagonista nello spettacolo dell’uccello straziato. Com’è che si chiamava… ah sì! La morte della cicogna!”
E io, quante speranze ho di uscirne sano e salvo?
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