Un bambino comune, con la mano nella mano di sua madre, passa davanti a un grande complesso di MAP (moduli abitativi provvisori, una cinquantina almeno) chiusi, disabitati. Manca solo il cellophane. La tira per la mano e le domanda: “Mamma, come mai queste case sono quasi tutte vuote?” (E tanta gente, 5000 persone ancora, a distanza di 2 anni e 2 mesi – per non contare i giorni nonostante ogni singolo giorno vissuto in queste condizioni si faccia inferno – non ha un tetto sicuro, suo, sotto cui stare per non sentirsi più ospite di qualcuno). Chi gli risponde?
Non certo il Signor Sindaco dell’Aquila Massimo Cialente che ha sempre buoni motivi per piagnucolare. Quando incappo in qualche sua intervista sono 2 le reazioni possibili.
1: Mi viene voglia di dargli una pacca sulle spalle e rassicurarlo: “Dai Ciale, vedrai che tutto questo passerà”.
2: Al posto della pacca gli darei un calcio in culo.
Sentimenti contrastanti, comuni a molti miei concittadini che però in fondo (in fondo proprio) sperano e spero anch’io. Neanche mezz’ora fa, per dire, ha detto in radio: “Vi giuro che a fine mese (-10) verrà presentato il piano di ricostruzione della città, ve lo posso giurare!” (Non ci sono riusciti in 2 anni e 2 mesi. Non la ricostruzione, di quella per carità, non ne parliamo neanche. Ma uno straccio di piano, giusto per dire: Ehi, ci stiamo provando sul serio!) Voi, a un Signor Sindaco implorante non glielo dareste un cioccolatino pur di farlo tacere?
Mi dispiace. Per chi crede che le cose si stiano sistemando, per chi non riesce a spiegare che le cose vanno a rotoli. Non ce la facciamo così. Intere famiglie vengono trasportate da una residenza provvisoria all’altra come sgraditi pacchi postali dei quali non vuole occuparsi nessuno. Talvolta non è grazie al progetto C.A.S.E. che si ritrovano una casa, ma a un amico, un parente, un conoscente che gliela offre, per il “momento”. Ci sono centinaia di alloggi che per motivi non ben chiari, tutti ricollocabili nel vasto insieme delle inadeguatezze aquilane, non sono stati assegnati. Pensateci, è assurdo. 2 anni e mezzo senza una vita. Senza un comodino che sia il tuo comodino dentro cui lasciare i tuoi libri o il tuo diario. Senza un letto che sia il tuo letto. Senza un progetto che non sia il progetto C.A.S.E. ma abbia a che fare con la parola futuro. Quando ho visto tutti quei MAP chiusi mi sono fermato a osservarli meglio. Ero uscito a fare una passeggiata, non un’indagine. Non potevo crederci. Forse sono via, forse le donne sono a far la spesa e gli uomini al lavoro, o magari il contrario, che fa più parità. Allora perché tutte quelle finestre sprangate, con questo sole? L’ho chiesto a una donna che in vestaglia innaffiava alcuni vasi di gerani rossi nell’ “atrio” di uno dei pochi MAP con qualche segno di vita. Cerchi di abbellirlo come puoi, personalizzarlo, farlo sembrare diverso dagli altri, diverso dal provvisorio, dal non-tuo. Qualcosa d’altro da un MAP, sostanzialmente. Lei l’ha riempito di fiori che il nuovo sole d’estate fa brillare.
“Questi non sono stati ancora assegnati. Non sanno a chi darli e secondo me non sanno neanche di averli a disposizione” mi ha detto.
Mentre la gente, non 2 o 3 o 5, ma 5000 persone (provate a contare fino a 5000, ci vuole un po’) non ha una casa. Mentre gli anni passano e si portano via il meglio e il peggio intrecciati in questo brutto presente.
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