Quello che penso ora dell’amore mi fa spavento come l’idea del suicidio. Quello che sono io oggi – e lo sono diventato, perché non ero affatto così – m’intristisce. È un procedere fino a un tempo e un luogo non chiari, da un preciso punto in cui s’è spento tutto, con la consapevolezza che non ci saranno fremiti come allora, più vivi, più o meno, almeno. Da quell’istante in poi non è esistito un più, un meno, neanche quando pensavo di aver trovato uno specchio d’acqua limpida, proprio al limite della sete. Questo è il passato e appena un attimo di presente, e quel momento, che ha fatto da spartiacque, non è rilevante né so identificarlo se non con un poco definito prima. È come quando piove fino a un certo punto della città, o della provincia e dopo il cavalcavia non piove più. In corrispondenza di quale colonna o passo di cemento o ramo di salice piangente l’aria ha ripreso ad asciugarsi? Ecco, non lo so, però so che è tutto troppo asciutto ora che avrei bisogno di piangere un po’. La mancanza di lacrime mi preoccupa, è come se si fosse asciugata pure la mia personalissima e un tempo zampillante, sorgente di emozioni. Nel futuro non vedo cambiamenti e, se al tempo dei sussulti del cuore avevo la forza di proiettarmi in convincenti buoni propositi sempre pronti a salvare la storia della mia vita, con nuove promesse a me stesso, adesso neanche più quelli. Questo garantisce la paralisi. Già gli eventi fanno una gran fatica a trasformarsi quando i protagonisti sarebbero persino pronti a rinunciare a tutta la loro libertà, dedicare ore ed ore e talvolta tutte le ore, a fatiche per niente gratificanti pur di poter un giorno strappare i copioni e reinventarli da zero, figuriamoci se la rassegnazione possa aiutare a scrivere un altro, più luminoso finale. Un finale che preveda la voce amata, per chi ce l’ha almeno avuta, e quella voce non l’ha più scordata. Un finale che prenda spunto da un sorriso, per chi non ride da un po’, ma che prima rideva ogni minuto. Io l’amore lo ricordo, perché certe immagini passate sono più vive delle foglie secche di questi giorni, che neanche fanno rumore schiacciate dalla suola delle scarpe di chi mi passa sopra indifferente A ridere rido ancora e spesso, ma sono risa sintetiche, risa divertite, ma che non possono dimenticare come ridevo prima, e grazie a chi. Non sia mai, dimenticare. Ecco, grazie a chi. Intanto mi sgretolo.
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