L’ultima risata di questo Capodanno memorabile me la sono fatta al ritorno, sull’autobus Roma-L’Aquila. Il controllore si è sollevato a fatica dal sedile accanto al guidatore, si è schiarito la voce e ha domandato a megafono:
– Aho! Ceeavete tutti er bietto?
I passeggeri, me compreso, hanno risposto in un coro unanime: – Sììì!
Lui fantasticamente si è riaccomodato, e a posto così. Duro lavoro quello dei controllori romani.
Di solito la malinconia del post-felicità la modero bene. La classica sensazione da fine vacanza. Come quando sei in viaggio, di ritorno a casa dopo una bella estate. L’ingresso del villaggio turistico è appena sparito dallo specchietto e tu vorresti fare inversione e tornare indietro per prendere quello che hai lasciato lì. Il bungalow, il bazar, la piazzetta, la sala giochi (esistono ancora?), la piscina, il bar, il gioco aperitivo, la spiaggia, l’arena e le sigarette nascosti dagli alberelli di olive, gli scogli, i tuoi amici, quelli che aspetti un anno per rivedere e poi qualcuno non viene e non lo rivedi più, e quelli nuovi.
Io pensavo di essere diventato grande per queste cose, e invece no. L’altro ieri avrei voluto prendere i miei amici e le loro case fiorentine e portarli con me. Seguivo la corsa del paesaggio sul finestrino del treno. I campi e le nuvole e la pioggerellina e le stazioni. A ogni stazione ero più lontano. Ho capito che, se è un po’ complicato far entrare Firenze e tutti loro in una tasca, forse ce la faccio a mettermi in un valigione assieme a poche altre cose e a traslocare la mia vita dove si può essere felici davvero.
Vediamo se riesco a sintetizzare il resoconto del mio Capodanno in meno di mille caratteri spazi inclusi.
Nella tarda mattinata del 31 siamo andati a fare la spesa. Alla Coop di Firenze (e probabilmente anche in altre città vere, ma concedetemi la faccia da gran meraviglia tipica degli aquilani “all’estero”) funziona che i soci hanno la possibilità di pagare la spesa in automatico evitando le file in cassa. Basta munirsi di una pistola-scanner (avrà di certo un nome tecnico che io ignoro) e sparare sul codice a barre di ogni prodotto prima di buttarlo nel carrello. Poi paghi il totale a una macchinetta. Non pensate di andar lì a fregare ché sarete di certo i fortunati selezionati per un breve controllo.
Nel primo pomeriggio abbiamo iniziato ad avvantaggiarci qualcosa per la cena. Per essere più precisi, i miei amici hanno iniziato ad avvantaggiarsi qualcosa per la cena mentre io leggiucchiavo e facevo battute e cambiavo canale. Insomma, mi rendevo utile. Molto, sì.
Menù della casa
Antipasti:
– Crostini funghi, prosciutto e fegatini
– Croissant salati con ripieno di Philadelphia e zucchine
Poi è stata la volta della vellutata zucca e lenticchie. Era un’estasi al palato. Cremosa, dolce… come sono bravi i miei amici a cucinare!
Primo:
– Pizzoccheri alla valtellinese con taleggio e verza, una bomba atomica di bontà e pesantezza. Ho mandato giù a fatica l’ultimo pizzocchero e mi sono accasciato sul tavolo con la faccia nel piatto unto.
Secondo e contorno (una torta rustica con patate, zucchine e formaggio, e un’insalata freschissima con rucola, pere, noci e grana) li abbiamo lasciati per la colazione del giorno dopo, tenutasi alle ore 16.30 quando ci siamo svegliati più o meno in sincrono. Idem per il dolce, un panettone artigianale così buono che mi piacevano pure i canditi, riempito di gelato fiordilatte e cioccolato.
Agili come tacchini ripieni, ed equipaggiati con tre bottiglie di spumante in offerta, abbiamo raggiunto il piazzale della stazione di Santa Maria Novella per il countdown prima del concerto dei Subsonica. C’erano solamente 50mila persone equipaggiate allo stesso modo con in più razzi, bombe carta, e armi scoppiettanti di simile genere e pericolosità tutti pronti a scatenare l’inferno. Ho vissuto dieci secondi di estremo terrore.
10… 9… 8… (oddio, mo’ mi tirano una bottiglia in testa, lo so) 7… 6… 5… (guarda che facce da terroristi che hanno questi vicino) 4… 3… 2… (devo escogitare un piano per salvarmi, e ho… un secondo! Addio!) 1… 0!!! Mi accovaccio sotto le gambe dei miei amici. Non mi viene in mente nient’altro di intelligente, come se questa fosse un’idea intelligente poi.
Pim, pum, pam, bum, byebye, splash, sbam (un tappo di sughero vagante a 400 chilometri orari mi colpisce la tempia pelata). Mi rialzo fresco fresco di doccia sgocciolante di frizzantino di terza scelta.
Tagliamo la corda a metà del concerto in direttissima verso la fase dance. Lo sanno tutti che io non so ballare. Per fortuna che lo so pure io; essere consapevoli della propria malattia è il primo passo verso la guarigione. E mi facevano male pure i piedi. Avrei dovuto forse addossarmi a una colonna e fare il ragazzo da tappezzeria? Ma manco per niente. Datemi un Long Island e vi solleverò il mondo. Al quinto non c’ho capito più niente. Ho rimosso gran parte della nottata. Mi ricordo soltanto il divano letto del salotto di Luca che nasconde ipnotici segreti. Dovrebbero studiarlo in qualche laboratorio del sonno. Appoggi la testa e crolli in uno stato di pre-morte. Non senti più niente fino al suono della sveglia. Secondo me, se ti dimentichi di programmarla, non ti sveglierai mai più. Divino!
Il giorno dopo, cominciato per noi che il sole stava già quasi per tramontare, l’abbiamo passato a ciondolare per casa fino a sera, quando siamo andati al cinema a vedere “Vita di Pi”. Forse siete ancora in tempo per andarci anche voi. E’ un film straordinario, per storia e per effetti speciali. Riesce a raccontare un viaggio incredibile rimanendo fedele a tutte quelle regole che definiscono il mondo e le creature che lo popolano. Leggerò di certo l’omonimo libro da cui è tratto.
(La foto è una Firenze rubata dall’iPhone di Niccolò. Non ho ancora il suo permesso, ma la utilizzo lo stesso.)
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Capodanno di Mettiu
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Prendete (i miei soldi) e mangiatene tutti
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Scrivi un commento →: Prendete (i miei soldi) e mangiatene tuttiIeri mi sentivo strano, alla ricerca di forze esterne come di vitamine rinforzanti. Sarà la confusione che lascia questo sole, questo tepore e questo cielo azzurro scuro luminosissimo. Madre ha detto: – ‘Sto tempo non mi sconfinfera – e un po’ la capisco. Domattina affacciatevi alla finestra, mettete proprio la faccia fuori e guardate il panorama. E poi ditemi se un giorno così può essere la vigilia di Capodanno, che devi andare a ripescare la maglia da mezza stagione messa via col cambio dell’armadio.
Ho passato l’intera mattinata di ieri a onorare il mio dovere mensile, un appuntamento di quelli che non si scappa, che lasciano il segno. Voi donne disegnate tanti palloncini rossi sul calendario in corrispondenza della settimana X del mese, io ci disegno una cacca di tartaruga. La pulizia dell’acquario, con dentro due tartarughe di sette anni grosse come un pallone da calcio, è una pratica lunga e meticolosa che non sto qui a descrivervi nei dettagli. E’ capace di lavare l’anima dalle scorie della quotidianità tecnologica e riportarla al contatto col mio io più primordiale. E’ come fare un tuffo in un laghetto di me… lma. Ci siamo capiti. Ne esci cambiato, esausto, ma rinnovato. Pronto ad affrontare quanto di peggio ti possa capitare. Tanto per fare un esempio, pagare l’assicurazione 997 euro. Per la serie “Come fare secchi, bruciati, dissolti, au revoir 1000 euro in 1000 secondi”. Non era abbastanza. Avrei ancora dovuto capire cosa significa “quanto di peggio”.
La ragazza al desk mi ha augurato un buon anno, lei con 1000 euro in mano, io con due quadrati di carta colorata che non sono buoni neanche per l’igiene intima. Sono uscito dall’assicurazione, ho fatto presto presto – quando devi pagare non ti fanno aspettare – e sono andato a prendere un caffè al ginseng. Mi hanno insegnato che si dice così. Non basta “ginseng”. Bisogna specificare “caffè”, altrimenti rischi che ti servano la radice di ginseng in un bicchierino, oppure addirittura l’essenza. Nella vita bisogna essere precisi.
Fate attenzione perché ora viene il bello, o il drammatico.
Mi sono domandato a lungo se raccontarvi l’accanimento della mia deficienza cronica, oppure no. Ho deciso che sì, voi dovete sapere nonostante l’umiliazione dell’ammettere che il mio attuale stato cerebrale degenera a passi da gigante verso l’Alzheimer precoce. Tutto ha avuto inizio al bancomat della BNL accanto al bar. Ho prelevato 60 euro considerando qualcosa per la benzina, e ho raggiunto i miei amici al tavolino. Franco ha offerto perciò non mi sono subito accorto di quanto sono idiota.
Al distributore di benzina, un paio d’ore dopo, sono sceso, ho aperto il portafogli per prendere una banconota da 20 e ci ho trovato dentro soltanto un vecchio scontrino di Fruit Joy.
– Ho lasciato i soldi al bancomat – ho sussurrato piano alla macchinetta del benzinaio. Lei non ha risposto. Così ho ripetuto: – Nooo! Ho lasciato i soldi al bancomat! Non ci credo! – non riuscivo a capacitarmene.
Intanto ho inserito la tessera del bancomat, digitato il pin e scelto la pompa. In qualche modo dovevo pur pagarla la benzina. A 30 euro ho stoppato, ho rimesso la pompa al suo posto e sono partito per Teramo dove mi aspettavano Luca, Linda e Niccolò, a una cinquantina di minuti di autostrada da L’Aquila. Poco prima di prendere l’autostrada, diciamo l’ultima curva, rimuginavo sulla storia dei 60 euro regalati al signore dietro di me. Sperare che siano passati i 30 secondi, e quindi che se li sia ripresi la macchina, è troppo ottimistico pure per il periodo natalizio. Io me lo ricordo che c’era un tipo vicino all’obesità, col baffetto scalpitante e sbuffante, entranto in banca già stanco di aspettare. Non gli sarà parso vero. Ladro! Che tu possa spenderli in psicofarmaci dimagranti!
Tutto a un tratto un gigantesco punto interrogativo si è materializzato sospeso sulla mia testa come la spada di Damocle.
– Ho ripreso il bancomat dalla macchinetta del distributore, vero?! (Verooo-ooo?!)
Non vero, la tasca del portafogli era vuota. Ho fatto un’inversione che neanche al Gran Premio di Monza. Sono tornato al benzinaio. Mi sono avvicinato col passo felpato della Pantera Rosa, furtivo come un ladro. Ho spostato di peso la donna che aspettava una volce dall’Aldilà che le dicesse cosa premere, cosa fare.
Nada bancomat.
Ok, se mi hanno fregato pure quello, senza bancomat e senza portafogli dove vado a cena a Teramo, alla mensa dei poveri?
– Tieni, l’ho ritrovato io – mi dice il tipo in tuta rossa e blu.
– Ti ringrazio. Oggi è una giornatona. Prima lascio 60 euro al bancomat. Poi mi dimentico la tessera nella macchinetta vostra…
– Allora tu si scem in tutto!
Non aveva tutti i torti, anzi. Però… che modi! E io che cercavo solo un po’ di umanità mista a comprensione. Dopo Capodanno andrò in banca a fare l’ennesima figura di merda. Vi anticipo che a breve mi faranno Presidente Onorario delle Figure di Merda (P.O.F.M.) e avrò anch’io il mio vitalizio.
Domani si parte per Firenze. Capodanno è lì con i miei amici. Divertitevi come vi piace veramente! Ci risentiamo il 3, il 4. Sperando di avere ancora il bancomat con me e qualche spicciolo sul conto.
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Un madre-Natale da cronaca nera
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Scrivi un commento →: Un madre-Natale da cronaca neraNatale se n’è andato, ma tornerà. Non è come il Marco della Pausini, disperso vent’anni fa e mai più ritrovato. Manco a farlo apposta sono veramente venti. Dal Sanremo del 1993 al Sanremo (fra poco) del 2013. L’ultima volta è stato avvistato su un treno delle 7 e 30 che assomigliava a “un cuore di metallo senza l’anima”. Quel giorno a scuola il banco era vuoto, e addio Marco. Le indagini si concentrano sull’artista stessa. Gli inquirenti stanno facendo analizzare dai maggiori linguisti italiani il passaggio della sua celebre “La solitudine” che recita: “Marco è dentro me”.
Che Laura, disperata per il rifiuto di Marco e per l’ennesimo sgarro alla sua eterna dieta, e colpita da un folle attacco di fame, si sia vendicata su tutti e due i fronti nutrendosi del suo amore impossibile (nel senso che se l’è proprio magnato)? Tutto dipenderà dai rilievi fossili riscontrati nello stomaco della signora Pausini, sperando che i suoi succhi gastrici allenatissimi abbiano risparmiato anche solo un’unghia del corpo di Marco. Purtroppo le ultime parole del Commissario Rex poco prima di morire non lasciano spazio all’ottimismo: – Quella è in grado di digerire pure i sassi.
Dalle vostre parti com’è andata questa due giorni di abbuffate non stop?
A me benissimo, a parte che:
a) Devo ancora fare tutti i regali. Mi correggo; qualcuno l’avrei anche fatto, se il postino e il corriere non avessero preso lo stesso treno di Marco. Mi perdonino tutti, ma non me la sono sentita di uscire all’ultimo momento. Ho visto delle foto de L’Aquilone che “Entrapment” è nulla al confronto. L’Aquilone è un centro commerciale: (quasi) l’unico luogo a L’Aquila dove si può sperare di trovare un regalino di cui non doversi vergognare al momento della consegna. Su Facebook si susseguivano gli appelli di casalinghe disperate, imploranti di andarle a liberare con gli elicotteri. Erano paralizzate in un chilometrico serpentone di automobili, con la coda al parcheggio del CC e la testa oltre il ponte, dove si cominciava a respirare. Roba di due ore d’attesa; molto meglio Villa Madre.
b) Il Cenone della Vigilia è stato un successo clamoroso. Ne hanno parlato anche i giornali nelle pagine di cronaca nera. Madre ha seguito “pedes… pedessi… pedessiquamente” (come direbbe il Cavaliere) le istruzioni contenute nel manuale “Mangiare Benissimo”, scritto e prodotto da Rosanna Lambertucci. Peccato che la salsa allo yogurt nella quale intingere i molluschi fatti a pezzettini per l’insalata di mare, che uno immagina delicatissima, aveva un sapore di mostarda molto accentuato e pizzicava pure. Al termine di un lungo interrogatorio, Madre ha confessato che aveva letto “un cucchiaio” invece che “un cucchiaino” e comunque le era sembrato poco e allora di cucchiai di mostarda ce ne aveva messi tre. Madre ha sempre avuto il bisogno di personalizzare le ricette. Non so se dipenda da un estro creativo soffocato in tenera età, oppure dalla sua universale diffidenza.
Il pancarrè dei crostini al salmone riproduceva alla perfezione tutte le cinquanta sfumature di grigio fino al nero petrolio.
– L’ho fatto stare un po’ di più, ma è buono lo stesso – ha detto Madre.
La chitarrina era cruda. Lei continuava a dire che la chitarra va mangiata al dente, ma non è che ti possono cascare i denti per masticarla, penso. No?! Il sughetto non era sugoso e il pesce rimaneva sul fondo del piatto. Il sapore della chitarrina al pesce era quello della chitarrina cruda (senza pesce).
Abbiamo saltato i tranci di salmone al forno, chiedendo a Madre in coro di non offendersi. Sospetto fossero il piatto meglio riuscito. Lei ha compreso benissimo tanto che da quel momento, e per tutto il resto del tempo del convivio, a intervalli regolari ripeteva: – Ho sbagliato tutto come ogni anno. Mai più, mai più!
Quando è finalmente arrivato il momento di scartare la gigantesca torta colorata acquistata dal madre-marito, e per la quale Madre non smetterà mai di rimproverarlo a insulti pesanti, si è materializzato un poltergeist che evidentemente riposava nella panna. La torta doveva essere una tortina artigianale per 4 persone, invece il madre-marito si è ripresentato con una scatola di un metro per un metro che in frigorifero ci entrava solo lei. E sapete bene quali sono le condizioni di un frigorifero di medio ceto sociale dal giorno della Vigilia fino a Santo Stefano. Pareva una di quelle che gli americani dei telefilm si lanciano sulla faccia, pomposa di panna azzurra, bianca, gialla e traballante. A tutto lasciava pensare tranne che alla genuinità, insomma.
Madre l’ha presa fra le sue mani e si è resa protagonista di un fenomeno religioso straordinario: la liquefazione della torta. La nascita del Bambi (cerbiatto) Gesù, del quale stavano mandando il film in tivù, deve aver influito positivamente, fatto sta che nessuno di noi poteva crederci. La torta in pochissimi istanti si è trasformata in un liquame che fuoriusciva dai piattini. Dopo le festività verranno condotte le dovute indagini per dichiarare Villa Madre luogo sacro di culto e pellegrinaggio per i tantissimi fedeli di Madre. Questo ha di molto aggravato la condizione processuale del madre-marito riaccendendo su di lui la mitragliata di accuse. E pensare che il poveruomo aveva passato cinque ore a fare la spesa, e speso 30 euro in telefonate a Madre per fugare ogni dubbio e assicurarsi di non aver interpretato male i geroglifici sulla papirica lista madrestilata.
c) Il pranzo di Natale ha seguito le orme del cenone con in aggiunta il pericolo disumano dell’unica nonna ancora in vita, TheMadrefather, 83 anni: la donna visitata tutte le notti dai morti che le lasciano dei messaggi per noi, che lei poi non riferisce perché se no “ci rimanete male”. Ha salito a fatica le scale. Ogni passo corrispondeva nel mio apparato respiratorio a un micro attacco d’ansia. Ha varcato la soglia dicendo: – Il silenzio è d’oro – frase che mi ha dapprima rassicurato e poi inquietato. Cosa aveva da dire? Si è fatta la sua insulina a casaccio: – Tre dosi dovrebbero bastare, male che va me ne faccio altre tre – insistendo perché tutti la guardassimo mentre s’infilzava l’ago nella pancia. Io alla fine ho pure applaudito.
Il silenzio d’oro è durato fino al brodo con gli gnocchetti fritti, tosti quanto un asino. A discolpa di Madre va detto che quelli li ha ordinati alla Pasta all’Uovo di fiducia, che ringraziamo di cuore per averci fatto fare l’ennesima figura di merda. Per non dire che TheMadrefather ha qualche problema ad acciaccare. Capite che il buonumore iniziale è stato rimpiazzato da una furia violentissima che la vegliarda ha scaricato sulla mia persona.
– Quando ti laurei?
– Ma ti laurei, sì?
– Mo’ laureati e poi…
Buttandola infine sul pietoso: – Prima che mi moro (ha detto proprio “moro”) voglio vedere la tesi.
Questo suo punzecchiare insistente ha innescato le solite uscite alla pene di quadrupede del madre-marito, figlio fedele di TheMadrefather, e quindi la civilissima discussione natalizia annuale proprio quando mi stavo illudendo di essermela risparmiata.
Per fortuna le treccine fucsia sintetiche di Secondogenita hanno attratto l’attenzione di TheMadrefather, concedendomi preziosi minuti per ricaricare la perseveranza del silenzio.
Alle 5 del pomeriggio ho fatto una cosa senza pensare. L’ho fatta e basta. Mi sono messo sotto le coperte e ho spento la luce. Poi, mentre riguardavo lo spettacolo di David Copperfield in tivvù – sarà stata l’atmosfera magica – ho capito che le persone che ami, quando se ne vanno, ti lasciano pure le loro abitudini.
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Il mio regalo di Natale per voi
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Scrivi un commento →: Il mio regalo di Natale per voiFacciamo presto presto. Oggi è una giornata frenetica perciò andiamo subito al sodo.
I più attenti avranno notato che da qualche settimana nello slider in alto si è aggiunto un nuovo nato tutto blu, “La vita delle cose che amiamo”.
Anna Albano è un’editor indipendente nonché padrona di casa dello stupefacente Cose da libri. Io sono un bravo ragazzo, non ho vizi e tante virtù, ma pur’io mi drogo, e la mia dose quotidiana di “Cose da libri” non me la leva nessuno. Un giorno di primavera Anna mi ha chiesto un contributo per la sua collana di ebook “Le perline”, grani di editoria illustrata e gratuita. Io ho avuto un mancamento, ricovero in ospedale e tutta la procedura di primo intervento e pronto soccorso. Quando sono stato dichiarato fuori pericolo mi sono commosso e ho scritto “La vita delle cose che amiamo”. Anna l’ha editato aiutandomi a farlo diventare bello com’è, e Raffaella Valsecchi l’ha illustrato onorando al meglio il difficile compito di colorare un’atmosfera.
Nonostante il lavoro appassionato di tre persone, “Le Perline” sono tutte gratuite. E’ una precisa scelta di partenza legata alla convinzione che talvolta si può rompere la corrispondenza lavoro-denaro. Quando c’è di mezzo la passione ci si può permettere tutto (nel limite del lecito, sia chiaro).
Questo è il mio regalo di Natale per voi. E’ un racconto breve che per me ha un significato speciale, che sono sicuro individuerete e capirete leggendolo. Ringrazio Anna e Raffaella per avergli regalato una veste così elegante, e a me un’emozione così grande.
Per leggerlo vi basta cliccare qua e scaricare il pdf sul PC. Fatemi sapere! (Magari per gli insulti aspettate la fine delle feste che non è carino in concomitanza con la nascita del bambin Gesù.) C’è una rinascita anche nella mia storia. Se vi piace, condividetela con le vostre care e i vostri cari. Usatela come biglietto di auguri, allegatela alle email natalizie, fatene un po’ quello che volete. E’ vostra!
Allora buon Natale! Che sia bello, ma bello bello.
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“Splendidamente” un cazzo!
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Scrivi un commento →: “Splendidamente” un cazzo!Insomma siamo al 23. Chi l’avrebbe mai detto? Tutti. Ok, tranne Giacobbo, Bossari e i Maya che non possono spiegarci. C’è un Maya all’ascolto? Non si sa may(a). ah-ah
La puntata di Mistero, in diretta su Italia1 dall’Osservatorio La Torre del Sole, e dedicata all’attesa della fine del mondo, è stata sì catastrofica, ma da tutt’altri punti di vista. Non mi sono mai vergognato tanto per qualcuno come l’altra sera per Daniele Bossari. Mi ha fatto tanta tanta tenerezza. Gliene fosse andata bene una, poveretto! Non ha funzionato niente, ma niente niente.
I microfoni erano stati disattivati dagli alieni, presumo, visto che si sentiva soltanto la voce del “presentatore”. Quando veniva interpellato un ospite, la prima metà del discorso te la dovevi leggere sul labiale, prima che qualcuno si ricordasse di accenderlo.
Il jingle della pubblicità con la scritta “Mistero” tutta misteriosa fra le stelle s’inceppava due pause su tre. Quando poi, alle 23 e 30, è passato il promo della nuova stagione, mi sono dovuto dare una grattatina. Recitava più o meno così: “Se stai vedendo questo spot significa che la profezia dei Maya non si è avverata, e quindi ti aspetta un altro entusiasmante anno di misteri con Mistero”. Soprassediamo sulla straordinaria fantasia di chi l’ha ideato. Mi domando: non era un attimino presto per mandarlo, visto che mancava ancora mezz’ora più tutto il 21?
Bossari cercava disperatamente di movimentare l’atmosfera, quella del programma e quella terrestre, tenuta d’occhio sui monitor piazzati su tutti i lati dell’osservatorio. Dall’aria che tirava mi aspettavo che da un momento all’altro comparisse all’orizzonte una meteora grossa come 10 volte l’America, e si mettesse a correre verso la Terra, più precisamente l’Italia Pelbaese, che se fosse un formaggio sarebbe il marcetto. A quel punto Napolitano Cuor di Leone che fa? Be’, si dimette. Monti, prima di fare lo stesso come ha fatto, ordina a Equitalia di far pervenire alla signora meteora una sostanziosa cartella esattoriale per saldare subito l’occupazione del suolo pubblico. In allegato, come regalino di Natale a tradimento, pure una multarella per il futuro disastro ambientale e la distruzione di massa che si appresta a portare a compimento. La stessa multa per la futura distruzione di massa l’ha fatta recapitare ad Arcore. Per il momento, soltanto per conoscenza.
Visto che, non volendo, ho nominato Arcore, devo aprire una piccola parentesi su di Lui con la elle maiuscola. Il signor Silvio Berlusconi ha deciso di ri-ri-ri-ributtarsi (nell’indifferenziata? No) nella mischia politica. Mi viene il vomito. Per recuperare il terreno perduto sui suoi avversari ha deciso di traslocare in televisione e farsi riprendere da quando si sveglia, e va subito al bagno a fare la cacca, fino a quando va a dormire abbracciato stretto stretto alla bis-nipote Francesca. Ah no, è la fidanzata. Un po’ come se io mi fidanzassi con una ragazza che nascerà fra 17 anni. Anche su questo non voglio esprimere altro che vomito. Ma dell’esternazione a Porta a Porta: “A L’Aquila abbiamo risolto il problema in poche settimane splendidamente” ne vogliamo parlare?
No, mi sono detto. E ingoio e ingoio, ma a un certo punto, credetemi, un Vaffanculo a cuore aperto mi parte, scusate. Questo è veramente troppo, signori. C’è qualcuno all’altro lato del monitor che creda o abbia creduto che Silvio Berlusconi avesse risolto il problema L’Aquila? (Sì, da qualche tempo siamo diventati un problema.) Io non chiedo tanto, ma quello “splendidamente” bisognava mettercelo per forza? Non sarebbe bastato e avanzato l’insulto di dire che avete risolto il problema L’Aquila e fine, stop della frase? Doveva, signor Cavaliere, aggiungere quell’immondo “splendidamente”? Lo sentite il suono dell’offesa, della presa per il culo? Il suono dell’onnipotenza di questo robot dalla impunita licenza di mentire? Perché in quel momento non si è alzato nessuno armato di una mitragliatrice e gli ha svuotato un caricatore di bussolotti in bocca? Perché Bruno Vespa, aquilano che piange in tivù quando deve presentare i suoi libri natalizi e gli domandano de L’Aquila, la sua “più dolorosa ferita aperta”, le stesse lacrime di Elsa Fornero quando tenta ma non riesce a dire la parola “sacrifici”, non ha ribaltato Berlusconi con tutta la bianca poltrona? Servo dalla lingua felpata! Avresti dovuto rispondergli che solo ora stanno abbattendo le costruzioni di categoria E (tipo casa mia, proprio in questi giorni) altro che “splendidamente in poche settimane”.
Chissà se a questi punti interrogativi gli scienziati di Mistero avrebbero saputo dare una risposta. (Lo chiudo così il discorso di Berlusconi, con una stanchezza aquilana nelle membra e nelle orecchie e nella sopportazione. Non ci servi Silvio, ‘sta città ce la ricostruiamo noi. Ci impiegheremo una vita, anche due. Lo faremo male, ma sarà e potremo dire che sarà sempre stata la nostra città).
In studio hanno smentito tutte le teorie, tutte le profezie, tutti i teoremi, facendo sembrare Daniele Bossari un defiente. Una studiosa, stremata, a pochi minuti dalla presunta apocalisse, ha alzato la mano e ha detto: – Questa è pura disinformazione!
A inacidirli dev’essere stata la posizione. E come dargli torto? Col culo costretto per 3 ore di diretta su uno dei duri gradoni che componevano la scenografia, come neanche la peggiore Maria De Filippi. Li vedevi ondeggiare, prendersi le ginocchia, muovere il busto, spingersi con le mani per sollevarsi quel tantinello da riattivare la circolazione alle gambe, tirare la bocca in smorfie di dolore. Dei collegamenti ne fosse andato bene uno. Ce n’erano anche di interessanti tipo quello coi ragazzi di Skylive che non conoscevo (e non ho potuto apprezzare tramite Mistero, ma che poi mi sono andato a vedere e hanno messo su una roba pazzesca). La comunicazione si perdeva nell’aere.
Daniele chiamava: – Ragazzi, mi sentite? – che ho pensato si stesse collegando con la casa del Grande Fratello. Quelli si guardavano come a dire: “Boh!” e cacciavano un rutto. Neanche quando dalla base Nasa di Cape Canaveral tentavano di mettersi in contatto con l’equipaggio dello shuttle Discovery si sentiva e si vedeva così male. C’era un ritardo di due giorni e mezzo. Jane Alexander, spedita a Cisternino, riceverà fra una decina di minuti la domanda clou di Daniele Bossari: – Come vive quest’attesa la popolazione dell’unico paese che verrà risparmiato dalla profezia?
E per fortuna che c’è Jane, verrebbe da dire. Con la scusa che non sentiva le domande da studio, si è impossessata della linea e urlava e saltava come una pazza in discoteca, secondo me con in corpo 4 o 5 bicchierini di sangria. Perché a Cisternino si festeggiava. Che ci sarà mai da festeggiare nell’estinzione della specie umana tranne la loro, vallo a capire. A un certo punto il sindaco di Cisterino ha cominciato a fare discorsi sull’enorme responsabilità che in quelle ore e nei giorni futuri avrebbero gravato sulle sue spalle. Insomma, c’era da ripopolare un pianeta, da affrontare anni di buio cosmico, fame, difficoltà. Cioè, quello lì era entrato totalmente nella parte!
Daniele Bossari continuava a guardare l’orologio, come se i Maya, 1000 e passa anni fa, ragionassero col fuso orario italiano. Secondo me si stava rompendo talmente tanto le palle che non vedeva l’ora di porre fine a quel baraccone. Tanto che ho pensato. Sai le risate se a mezzanotte in punto casca una meteora piccola piccola, ma abbastanza grande da distruggere l’osservatorio con Bossari dentro?
Piccolo PS: collegatevi domani che ci facciamo gli auguri, e io ho un regalo per voi.
(Vignetta presa da eccesatira.blogspot.it)
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Scrivi un commento →: Andrea De Carlo ricoverato a Villa Metaphora coi suoi lettori
A molti di voi sarà capitato di recarvi in libreria e inciampare in una catasta di blocchi rosa che ostacolavano il passaggio. Spero non vi siate fatti male. Come avrete poi avuto modo di notare, si trattava delle copie del nuovo libro di Andrea De Carlo dal senile titolo di “Villa Metaphora”. La bellezza di 921 pagine, non tantissime se paragonato allo Zanichelli che ne ha appena il doppio. Vi lascio interpretare liberamente la parola “bellezza”.
Non lo leggerei nemmeno se mi ritrovassi sua maestà editrice di Bompiani Elisabetta Sgarbi in persona, fuori il portoncino blindato di Villa Madre, a supplicarmi di farlo con una copia in una mano e 5mila euro nell’altra. Ehm, forse in quell’unico caso lo leggerei. Però non si capisce per quale motivo dovrebbe accadere un evento simile, perciò possiamo considerare fantascientifica l’ipotesi e procedere.
Perché parlare di Andrea De Carlo visto che non ho neanche letto il tomo? Bella domanda. Comunque un motivo c’è ed è il seguente. In questi giorni un’interessante popolazione di curiosi sta colonizzando queste pagine alla ricerca googliana di news, aggiornamenti, trame, recensioni, provocazioni, svolte imprevedibili intrecciate nell’ultima opera dell’Andrea De Carlo perduto. E cosa trova? Va a finire in un post che ho scritto due anni fa dopo aver comprato (quindi pagato) e letto LEIELUI (tutto attaccato e maiuscolo), la sua precedente fatica letteraria appena uscita. Mi sono sentito in dovere di esprimere la mia opinione di ribrezzo provato nel corso e dopo la lettura. Il post, che molti dicono essere divertente, potete leggerlo cliccando qua.
Ora vorrei porre l’attenzione sul commento di un tal Carlo (dalla fantasia dimostrata nella scelta degli ultimi titoli direi che potrebbe trattarsi benissimo di Andrea De Carlo sotto mentite spoglie) che in disaccordo, diciamo così, col parere espresso nel post mi scrive (bambini, a letto!):De carlo è attualmente il più grande scrittore italiano in assoluto. Criticarlo è ammettere le proprie frustrazioni di chi non potrà mai esserlo.. oltretutto, ma chi ti chiede di leggerlo? orgasmo riuscito male in un mare di nulla.. i tuoi sogni di adolescente scrittore, come dici tu, sono rimasti tali e allora devi rompere i coglioni a chi di libri ne scrive da trent’anni, sei nato nel 1981 quando De Carlo pubblicava il suo primo libro e già vieni a fare il pierino della situazione? ma chi li vuole sentire i tuoi commenti di merda? Non nominare lettura e letteratura fai il favore, non scrivere libri pagando gli altri per scriverli…come sai benissimo di fare..raccontalo a tutti come li hai pubblicati! le pagine dei tuoi libri sono buone per pulirsi il culo, ma che razza di titoli idioti, ambigui e pieni di luoghi comuni, basta legger la trama e ti viene il vomito nero..leggiti qualche rivista rosa in meno piuttosto, che ti prende un crampo alla mano destra a forza di usarla, sempre meglio così comunque, che per scrivere cazzate!
Vi chiedo perdono per non essere intervenuto nell’editing del commento. Avrei potuto sistemare almeno maiuscole e punteggiatura per rendere la lettura un po’ più agevole. Ricevere questo commento mi ha fatto un grandissimo piacere. (Cosa sono quelle facce?) Come sapete io tengo molto in considerazione il parere dei miei lettori (e pure di quelli di Andrea De Carlo a ‘sto punto, “il più grande scrittore italiano in assoluto”. Pensa te come siamo messi in Italia, verrebbe da dire). Mi spiace solo che Carlo abbia dovuto patire in sequenza un orgasmo riuscito male – non preoccuparti, capita a tutti di fare cilecca – e il vomito nero. Tutto per colpa mia. Mi risulta che quando vomiti nero è perché nello stomaco è rimasta soltanto la bile, e cacci pure quella. Mio zio medico ti consiglierebbe di bere subito qualche bicchiere d’acqua. Dicevo che io dai commenti come quello di Carlo cerco di assorbire i preziosi consigli pur se celati dietro espressioni un po’ colorite e molto originali. (Quella del vomito nero me la sono già rivenduta, per dire). Perciò ho immediatamente convocato a riunione straordinaria i miei ghostwriter, sono più di uno e meno di dieci, cioè coloro che “io pago per farmi scrivere i libri”, e ho chiesto loro di concentrarsi sulle trame dei prossimi affinché, se proprio devono far vomitare, che sia di una tonalità più chiara, che so, una sfumatura di grigio che a livello di marketing funziona di più. I titoli “idioti, ambigui e pieni di luoghi comuni” io li creo su commissione. E’ la mia specialità. Carlo De Carlo pensa (se ci riesci), c’è gente che mi telefona e mi dice:
– Sparami un titolo idiota, ambiguo e pieno di luoghi comuni!
E io là TAC! “Villa Metaphora”, oppure… sì eccolo, “LEIELUI” e aggiungo: – Mettilo attaccato e maiuscolo, se no ti dicono che hai copiato a “Io e te” di Ammaniti.
Carlo, cerca di non arrabbiarti troppo, vendi cara la bile e sii felice.
(Voglio farmi una cultura, quella che mi manca e si vede, come tu e tanti altri quotidianamente notate. Che dici, meglio “Chi”, “Gente” o “Dipiu”?)
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Ci vediamo domenica
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Scrivi un commento →: Ci vediamo domenicaSono le 13, è ora di pranzo e fuori è notte. Piove da ieri, lampi e tuoni, e la temperatura è scesa in caduta libera. Come l’aereo che qualche giorno fa è finito in un vuoto d’aria, pure se i vuoti d’aria non esistono, e ha perso quota all’improvviso precipitando per 900 metri in 10 lunghissimi secondi. Avete idea di quanto possano essere lunghi 10 secondi? Io ho imparato la reale percezione del tempo drammatico col terremoto. E’ durato 30 secondi, almeno 100mila battiti di cuore concitato.
Immagino i passeggeri sbattuti sul soffitto dell’aereo che tentano di inviare sms ai loro cari per l’estremo saluto. L’aereo ha ripreso quota. Il capitano ha rassicurato l’equipaggio:
– La situazione è sempre stata sotto controllo.
– Sì, certo. Mortacci tua! – gli avrei risposto.
Questa sgradevole esperienza ha risolto uno dei miei interrogativi più antichi. A che servono le cinture di sicurezza sull’aereo? A non essere sbalanzati sul soffitto, per esempio. Ecco a che servono. Per la cronaca, io sarei morto in seguito a un attacco cardiaco fra il secondo 3 e il secondo 5.
In queste settimane mi leggete un po’ meno perché sto lavorando al nuovo romanzo. Detto così sembra che l’abbia scritto in 15 giorni, e invece ci lavoro da 3 anni. Sono a buon punto della terza stesura, quella definitiva prima di proporlo alle case editrici.
E’ cambiato un sacco di volte seguendo il percorso altalenante della mia vita. Questo romanzo conta molto per me. Per com’è stato pensato, per le emozioni che mi ha fatto vivere già prima ancora di diventare un libro. Non so quando uscirà, né se uscirà. Però che uscirà lo sento. Non parlo soltanto di sensazioni di lettura, ma di esperienze concrete, incontri, roba di vita da film. Lasciamo perdere com’è andata a finire, e ricominciamo. Un giorno vi racconterò pure questa, che è bella (a seconda dei punti di vista).
L’aria fredda e l’assenza di luce non mi aiutano. Non appartengo alla specie, un po’ mitizzata secondo me, di quegli scrittori cupi che dichiarano di vivere il massimo momento di creatività quotidiana fra le 3 e le 6 del mattino. Poi fanno colazione con un calice di sangue fresco prelevato dal corpo agonizzante di una vergine dalla carnagione lattea, e si rimettono a dormire nella bara parcheggiata nella cripta segreta del castello. Proprio no.
La mia condizione ideale di scrittura è il mattino assolato. Quando apro la finestra e accolgo nella stanza refoli d’aria di una freschezza rigenerante. Nei giorni così vado a scrivere in giardino, sull’erba con la schiena appoggiata a un albero. Spero di poterlo fare pure la prossima primavera. Dico “spero” perché Madre pare seriamente intenzionata a far cavare tutti gli alberi della tenuta. Temo che, stanca del giardino e del giardiniere, voglia adibire quello spazio a campo da tennis professionale, e affittarlo. In tal caso mi ritroverei improvvisamente catapultato fra gli italiani fortunati, con un’attività e una fonte di reddito anch’io, ma dovrei cercarmi altri alberi sotto i quali poter scrivere.
Pensando a un luogo dove passare le stagioni fosche dell’anno per scrivere meglio, e cercandolo – voi non ci credete, ma io ci conto veramente di andarci a vivere, quindi lo cerco e nei casi peggiori mi compro una casa – mi sono imbattuto in Kos, un’isola greca appartenente all’arcipelago del Dodecaneso. Non la conoscevo, e invece scopro che è meta di valanghe di turisti ogni anno. Non ci sarà il sole e il calore per 365 giorni su 365, però ha il mare ed è un’isola. Due aspetti che mi chiamano con lo stesso canto ammaliatore delle sirene di Odisseo. Perciò non è detto che la prossima estate non decida di farmi le vacanze a Kos. Magari in 7 giorni partorisco 4 romanzi che le sfumature di grigio, rosso, e bianco (?) (oddio qual era l’altro colore? Non mi viene voglia neanche di cercarlo, scusate tanto!) son roba da pivellini.
Vi anticipo che ho pensato a una sorpresa pre-natalizia tutta per voi. Diciamo un regalino che grazie al prezioso lavoro di due validissime collaboratrici potrò farvi, sperando di contribuire così alla magia del vostro Natale. Ve ne parlerò nel prossimo post, ché i regali mica si fanno un mese prima!
Procedo con l’ultima chiamata per l’ultimo evento live dell’anno che mi riguarda. Abruzzo In Lettere ha studiato e realizzato una performance tutta dedicata a Una valigia tutta sbagliata, alla quale parteciperò anch’io in veste di autore “attore” (e poi dicono che i giovani artisti d’oggi non sono abbastanza completi). Indosserò un lupetto nero che mi sta malissimo. Lo faccio solo per la performance, ci tengo a dirlo. Domenica (2 dicembre) alle 18.30 al Circolo culturale L’Officina, in Piazza Dante a Giulianova. A fare da cornice l’arte pittorica di Marco Iacobelli. Fossi in voi verrei a riempire testa e cuore prima, e pancia poi, visto che a seguire c’è l’aperipizza.
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[Madre Crush]
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Scrivi un commento →: [Madre Crush]Sono in cucina. Ad un tratto sento il rumore di un vetro in frantumi e Madre esclamare:
– Vaffanculo!
Datemi la forza per andare a vedere cosa è successo nel luogo del delitto: la mia camera.
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Guardare i volti dei miei nonni a lungo
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Scrivi un commento →: Guardare i volti dei miei nonni a lungoAl fioraio, fuori il grande cimitero de L’Aquila, abbiamo comprato soltanto una piantina di piccoli crisantemi gialli. Avremmo voluto prendere anche qualche margherita e qualche rosa colorata, ma Madre era certa di trovare i vasi accanto alle lapidi dei suoi genitori pieni di altri fiori. Temeva che non ci sarebbe stato posto per i suoi mazzolini.
– Con una piantina non sbaglio di certo, – ha detto.
A me i crisantemi piacciono molto, se non fosse per il nome che portano, che evoca morte, malinconia, disperazione. Però quelli erano diversi. Con i fiori piccoli piccoli e di un giallo che non c’entrava niente con sensazioni così cupe.
Ci siamo rimessi in viaggio verso Caporciano, a una mezz’oretta da L’Aquila. E’ il paese d’origine di Madre. Io al volante; Madre, al posto della passeggera, mi pregava in fa sovracuto di mantenere una distanza di sicurezza tale per cui, nella drammatica eventualità che l’automobile davanti inchiodasse, io avrei potuto scalare con estrema calma le marce, e portare l’autovettura ad arrestarsi come accompagnata da un vento di piume. Lunga vita ai freni! Secondogenita, dietro, ci illustrava molto orgogliosa l’andamento del suo lungo percorso interiore di “depiercizzazione” del viso. Trad: il processo che la porterà a liberarsi gradualmente di tutta la pesante ferraglia appesa a bocca, narici e orecchie. Non abbiamo capito se ha incluso anche le lance che le trapassano i lobi alle quali è particolarmente affezionata. Per quelle non promette niente.
Al cimitero del paese neanche un’automobile parcheggiata. Madre ha ripetuto ancora le storie dei seppelliti che s’incontrano prima di arrivare alle tombe dei nonni. Ce n’è una che le è rimasta a cuore e la racconta sempre con grande partecipazione, nonostante siano passati quasi quarant’anni dalla morte di questo bambino, investito da un camion mentre attraversava la strada. Lo conosceva e ora avrebbero avuto più o meno la stessa età. Quando siamo arrivati davanti alle lapidi dei nonni siamo rimasti in silenzio qualche istante. Non c’era nemmeno un fiore, fatta eccezione per un mazzolino di rose finte, rovinate nonostante la plastica. Ho appoggiato la piantina gialla a terra, ma non era abbastanza. Così ci siamo rimessi in macchina. Madre ricordava di un grosso negozio di fiori che si raggiunge da una strada secondaria e che raggruppa i paesi vicini. Abbiamo seguito i suoi ricordi fino a un cartello di legno con scritto FIORI.
– Io ho un terreno, ma non so più nemmeno qual è. Me ne hanno espropriato un pezzo per farci questa strada.
Quando siamo arrivati, il vivaio era chiuso. Sulla porta il cartello:
RIAPRIAMO ALLE 15.30, VI PREGHIAMO DI NON DARE DA MANGIARE AI GATTI!
Due gatti ciccioni dormivano su uno scaffale di metallo, al sole, e ne ho visto un altro nero che si grattava sotto un SUV. La tentazione di tornare a L’Aquila si scontrava con il pensiero delle lapidi vuote, con solo una piantina di piccoli crisantemi giallissimi. Così abbiamo deciso di cercare un posticino casereccio dove pranzare, e poi tornare al vivaio a prendere i fiori. Prima, abbiamo seguito un’indicazione verso un agriturismo che si è rivelato uno spettacolare casale, per carità, chiuso sbarrato, però. Poi mi sono ricordato che Anita, una mia ex-collega di lavoro, aveva aperto un paio di anni fa un bar/tabacchi/edicola/trattoria da quelle parti. Abbiamo mangiato bruschette al pomodoro, mezze maniche rucola e pomodorini io, risotto al radicchio con aggiunta di tartufo Secondogenita, e bistecchina di maiale Madre, con contorno di broccoli ripassati in padella e spinaci al burro. Mi ha fatto piacere rivedere Anita: i suoi modi carini e il sorriso, la gentilezza che si riserva a un amico, pure se non ci vediamo mai. Era tutto gustosissimo. Anzi andateci, si chiama Dolce e Salato e sta proprio ai piedi di San Pio delle Camere.
Alle 15 e 20 già c’erano un paio di macchine ferme ad aspettare l’apertura. Quando la signora Silvana ha aperto, ci ha accolto un altro gattone a pelo lungo che dormiva all’interno e si è dimostrato felice di ricevere carezze e grattini. Quando incontro un gatto coccolone non resisto. Siamo tornati al cimitero di Caporciano con un mazzolino di rose colorate e un altro di margherite arancio. Ho sciacquato i piccoli vasi di metallo e li ho riempiti di acqua gelida, presa dalla fontanella accanto al pesante cancello di ferro sempre accostato. I fiori avevano i gambi troppo lunghi. Li abbiamo spezzati e infilati nei vasetti, assieme a delle foglie verde scuro decorative e ai ramoscelli bianchi che la fioraia ci ha lasciato in regalo.
Sistemare i fiori con cura mi ha permesso di guardare i volti dei miei nonni a lungo, e tornare a vent’anni fa, nel loro salotto, la stanza più calda nei gelidi inverni aquilani, sulla poltrona di pelle bordeaux, davanti al camino.
Nei loro occhi in bianco e nero ci ho visto un infinito di amore. E poi dolcezza, protezione, domande, le mie, speranze, le mie, forza, quella che mi danno, preghiere, le mie, solitudine, la mia, vicinanza, la loro, fra loro e con me, sicurezza, quella che cerco, paura, quella che rifuggo, freddo e silenzio, in quel cimitero, buio, però insieme, e tutte le albe del mondo, ancora più insieme.
Amore.
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Come ci sono rimasto io, in casa, agitato e rassicurato
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Scrivi un commento →: Come ci sono rimasto io, in casa, agitato e rassicuratoNon riesco a mandar giù la faccenda di questi 3 puntini neri carbonizzati, che mi fissano dal centro alto del monitor. Ho tentato molteplici tecniche di pulizia, pure con gli sputazzi. Mi sono comprato ClearView Gel al MediaWorld, un liquido che va applicato con uno spruzzino sulla salvietta di Surface Cleaner (barattolo pagato caro pure questo) e passato con un certo vigore sul vetro, senza sfondarlo. Per la modica cifra complessiva di euro 13 e 99. Il monitor sbrilluccicava come un cristallo al sole ma, quei 3 puntini, neri erano e neri rimanevano. Poi l’esperto informatico mi ha detto che si trattava di 3 pixel bruciati, e mi son sentito morire all’idea della sofferenza che devono aver passato fra le fiamme. Il dolore si è trasformato in panico quando l’esperto ha aggiunto:
– Attento ché si allargano come una ragnatela!
Cioè, sono contagiosi? Non vi azzardate, eh! E poi il colpo di grazia:
– Comincia a pensare di cambiare computer.
Ma comincia a pensare un po’ a cazzini tuoi, va! Ogni notte dedico qualche minuto delle orazioni a tutti i pixel vivi del mio schermo.
– Fa che non muoiano; tieni lontane le fiamme degli inferi dal mio monitor, Signore Gesù Bambino, uno e trino!
La prima cosa da fare al mattino non è più la colazione coi cereali, ma contare i decessi. Per fortuna rimangono sempre in 3, è vero? Sì, 1, 2 e 3.
Un sospiro di sollievo, per quanto una condanna possa rientrare nel concetto di sollievo, l’ho tirato anche per la faccenda del processo alla Commissione Grandi Rischi, che tanto ha fatto parlare in questi giorni. Mi sento in dovere di fare una precisazione perché, almeno su queste pagine, non circolino facili e false notizie.
I pochi che mi leggono devono poter fare affidamento su di me per la limpidezza di informazione su quanto accadde, accade e accadrà a L’Aquila. Quello che i mass media hanno comunicato, perché di comunicazione di massa si tratta, è che gli imputati sono stati condannati “per non aver saputo prevedere il terremoto”. Se così fosse, si tratterebbe di una sentenza da tribunale della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Naturalmente è falso, pure se lo dicono i tiggì di mezzo mondo. La condanna è stata perché hanno stabilito che non ci sarebbe stato il terremoto. Capite la sottigliezza?
Sono tutti avviliti. Sono tutti sconvolti da questa strana giustizia. Ma in che mondo vivete, signori?! Pensate che si possano dire frottole, che causano la morte di 309 persone, e passarla liscia? Io m’inchino al giudice unico Marco Billi che ha alzato di 2 anni la pena richiesta dai pm infliggendo 6 anni di reclusione per tutti gli imputati: i 6 esperti e il vice direttore della Protezione Civile Bernardo De Bernardinis, per omicidio colposo, disastro e lesioni gravi. Questi signori, che compongono la Commissione Grandi Rischi, convocati a L’Aquila una settimana prima del sisma da Guido Bertolaso, allora capo della Protezione Civile, hanno scelto, prendendosene immagino le responsabilità, di raccontare agli aquilani che lo sciame sismico era normale, che il sottosuolo sfogava poco e spesso; questo avrebbe dovuto tranquillizzare tutti rispetto all’ipotesi di un’unica scossa molto forte. Con le loro eccessive rassicurazioni (infondate, basate su regole che non esistono, su logiche non-scientifiche. Se qualcuno può mostrarmi documenti scientifici in cui si sostengono queste tesi gliene sarei molto grato) hanno spinto tanta gente a non preoccuparsi troppo, a restare in casa la notte. Come ci sono rimasto io, in casa, agitato e rassicurato. La mia casa ha retto bene, tante altre no. Capite quanto le parole possono determinare il destino delle persone, fino a deciderne la vita o la morte? Quello che mi dispiace è che siamo soltanto al primo grado di giudizio, purtroppo. La loro difesa, durante il processo, ha puntato su un’unica affermazione: “i terremoti non si possono prevedere”. Non si è rivelata una mossa molto azzeccata alla luce del fatto che questi esperti una previsione l’hanno fatta, quando non possedevano gli strumenti per farla, spinti da una politica governatrice di pensieri. In questa inchiesta di Repubblica, la nota intercettazione fra Guido Bertolaso e Daniela Stati, allora Assessore Regionale alla Protezione Civile dell’Abruzzo, trovate tutte le risposte per capire come sono andate le cose.
Poi vi devo dire che domani sarò fra i giurati della seconda semifinale del Match d’Autore, organizzato dall’associazione culturale Montesilvano Scrive. Un bel concorso letterario che mette in palio una settimana a Torino in concomitanza col Salone del Libro, e la possibilità di partecipare alle attività della Scuola Holden. Cercherò di fare al meglio il mio dovere perché possa essere il più meritevole a godere di quest’esperienza. Trovate maggiori e migliori spiegazioni nell’articolo che vedete a sinistra, all’interno del quale il mio ego non ha saputo resistere dal sottolineare il mio nome e cognome. Ci vediamo domani a Montesilvano, Sala Di Giacomo a Palazzo Baldoni, ore 18.00. Vi do 2 ulteriori validissimi motivi per venire, se la mia presenza non dovesse bastare.
a)La degustazione di vini offerta dalla tenuta I Fauri.
b)Emanuele Trevi, secondo classificato all’ultimo Premio Strega.