• Colazione con Radio Italia TV. Madre lava qualche tazzina. Chiude l’acqua. Risuona nell’aria: Non te ne andareee prima che faccia maleeee…
    Madre si volta.
    – Chi è, quella pazza di Gianna Nannini?
    …E in un attimo, in quest’attimo…
    – Questa l’ha dedicata al figlio – continua lei.
    – E da cosa lo intuisci?
    Madre si asciuga le mani e inforca i suoi occhialetti rossi presi in parafarmacia per 12 euro, ai quali ha agganciato una comoda catenella in metallo di bassa lega.
    – Beh, il ritornello è chiarissimo. Non te ne andare prima che faccia male. C’ha paura che l’abbandona dentro qualche clinica di recupero.
    -…

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  • Ero uno sprovveduto e ansimante apprendista opinionista scrivente letterario. Presi 4 o 5 frasi da una recensione scritta da una fanciulla non conosciuta ai più e le infilai nella mia recensione nuova di zecca dello stesso romanzo che, grazie alle di lei osservazioni stilose, scintillava. Tutto filò liscio, io mi presi i complimenti di quei 4 lettori e una banana della mia recensione, e bon. Un giorno di qualche mese dopo, mi arriva un’email dall’autrice della recensione originale. Non aveva gradito, e lo manifestò liberando il demonio che la possedeva. Aveva ragione, pure se io in quell’occasione pensai: Mammasaura, quante storie per 4 frasi! Quelle frasi erano state partorite dalla sua testa, dalla sua parte emozionale di lettrice. Sarebbe stato giusto citarla. Questa è la mia ammissione di colpa. Per comprendere il fastidio nello scoprire altrui bocche riempite di parole non a loro appartenenti, dovevo viverlo sulla mia pelle. Ed è capitato. Qualche anno fa, un geniale e neanche tanto giovane autore ha letto il mio libro Non farmi male, e mi ha scritto facendomi molti complimenti riferiti soprattutto ad alcune scene che l’avevano colpito. Poi che ha fatto, questo qui. Ha scritto 7 racconti dalla tematica vicina (come 7 ce ne sono nel mio) sul cui valore letterario non sto a spendere troppe parole, se non un consiglio all’autore: Fatti regalare un dizionario della lingua italiana degli anni 2000, e paga un bravo editor. Ci ha infilato le scene di Non farmi male che tanto gli erano piaciute, modificate a parole sue, quindi imbruttite, ma evidentemente riconoscibili nella sostanza. Ha dato alla sua opera un titolo che sarebbe il mio con una parola cambiata. E se l’è autoprodotto.
    Ah-ah-ah!
    Quando ci ripenso, mi scappa sempre una risata con rigurgitino. Prima plagi e poi ti paghi la pubblicazione? Dritto dritto da uno psichiatra di un certo livello. Avanti, marsch! Nonostante avessi il sostegno morale ed economico del mio editore, non ho seguito l’iniziale intenzione di entrambi di denunciarlo per vederlo brancolare nell’oscurità, a chiedere un piatto caldo senza neanche più le mutande. Cosa che avrei fatto se mi avesse copiato Ammaniti, per dire. Ma, visto che si trattava di un poveraccio che si era pure indebitato per pubblicare un libro plagiato, ho avuto compassione del caso umano e non gli ho neanche scritto un’email. L’ho trattato come tratto abitualmente i lettori di Moccia: non l’ho trattato.
    Il discorso sarebbe cambiato se mi avesse plagiato Ammaniti, dicevo. Figuriamoci poi se Saviano avesse riempito i suoi celebri monologhi mafiosi di paragrafi di Supermarket24 – cosa che ci sarebbe stata tutta, visti i personaggi – e avesse dimenticato di citare la fonte davanti a milioni di telespettatori. Non ci crederete, ma l’ha fatto. Non con me, ma con Giampiero Rossi, autore di La lana della salamandra e Amianto, libri dai quali Saviano ha pescato aneddoti, circostanze, retroscena che l’autore aveva raccolto in mesi di frequentazione della gente di Casale, li ha imparati a memoria e ha fatto il figheiro recitandoli a pappardella davanti alle telecamere, fra una grattata di culo e una di testa, come se quelle informazioni appartenessero a lui. Il Fatto Quotidiano ha pubblicato una tabella che mette in relazione le precise frasi pronunciate in diretta da Saviano con quelle presenti nei libri di Rossi. Segue.

     

    Mi pare che ci sia poco da stare a riflettere. Giampiero Rossi vive la spiacevole avventura di seguire Saviano in tivù che s’impolpetta la bocca con i suoi libri, e che fa? Afferra un giavellotto olimpico e glielo infila su per il culo? No, gli scrive una lettera che Il Fatto Quotidiano pubblica e che vi consiglio di leggere, se siete arrivati qua e non l’avete fatto. Reazioni dal più ricercato scrittore italiano non pervenute. Se è vero che il lupo perde il pelo, ma non il vizio, e Saviano c’ha proprio la faccia di un vecchio lupo di mare spelacchiato, torna alla carica dello scopiazzo con la prefazione commissionatagli da Legambiente per la pubblicazione annuale di Ecomafie, edizione 2012. Il libro contiene, fra gli altri, l’intervento di Giovanni Tizian dal titolo Il Sacco del Nord, nel quale – magia! – compaiono gli stessi concetti, espressi con le stesse identiche parole utilizzate da Saviano nella presentazione, non immaginando – voglio sperare per la sua sanità mentale – che quel testo se lo sarebbe ritrovato nel libro poche pagine più in là. I Segreti della Casta ha pubblicato l’immagine che affianca i passaggi quasi identici. Quasi però, perché lui ci vuol mettere sempre del suo. Divertitevi a fonfrontarli.

     

    Quelli di Legambiente si sono presi la colpa, poveretti, scusandosi per un problema di editing francamente dalla credibilità fantascientifica. Lo dimostrano proprio i piccoli cambiamenti stilistici operati da Saviano prima di consegnare la sua prefazione, che rendono gli spezzoni diversi quanto basta per gridare al plagio. Questa ennesima brutta faccenda instilla nelle maliziose menti dei più (compresa la mia) il dubbio che Gomorra sia il risultato di un intelligente collage di materiale raccolto da altri sul campo, che Saviano avrebbe abbellito e romanzato, aggiungendoci il solito suo. All’epoca del boom, più che le minacce della Camorra, mi colpì la protesta di molti cronisti locali che affermarono che erano stati utilizzati da Saviano, per il libro, brani dei loro articoli senza citare la fonte, ma la sentenza del tribunale di Napoli stabilì il contrario, e cioè che erano stati loro a scopiazzare Gomorra. Comunque.
    Caro Giampiero, non ci conosciamo, ma permettimi di regalarti un consiglio spassionato. La lettera, la prossima volta, invece che dal Fatto Quotidiano, fagliela recapitare dal tuo avvocato. Vedrai che ti risponderà di certo. Come risarcimento, pretendi di pubblicare anche tu con Mondadori e vendere 3 milioni di copie, e fare i monologhi su La7.

    Scrivi un commento →: Roberto copia-incolla Saviano. Come diventare un idolo con la roba d’altri
  • Giusto per confermare l’annunciata latitanza, eccomi ancora qua. Perdonatemi se non me ne vado proprio subito. Prima devo parlarvi di Giulietta prega senza nome, di Elena Torresani. L’ha pubblicato Voltalacarta, realtà editoriale appassionata e certificata da me medesimo. Silvia Sanna, editrice assieme a Luana Scanu, mi ha conquistato nel preciso momento in cui ho capito che nel suo cuore porta L’Aquila ovunque vada. Ce l’ha con sé, su una maglietta, dentro una parola, un appello davanti a una telecamera. Dopo il terremoto, ha passato molto tempo a L’Aquila, a sostenere, aiutare come poteva. Pur appartenente a una cultura e a una regione lontanissima, qual è quella sarda, il mare non ha fermato la sua passione per la vita, l’istinto alla vicinanza, e l’ha portata alla mia montagna. Torna spesso a L’Aquila, e mezza aquilana ci si sente pure lei. Perciò, quando ho letto che aveva deciso di metter su una casa editrice, ho sorriso e ho pensato: Che grande! Ho iniziato a seguirla in disparte, in attesa del romanzo giusto per me, finché non è arrivata Giulietta.
    Le 2 editrici stavolta hanno osato, percorrendo la strada col divieto d’accesso editoriale, a meno che non si abbia a che fare con nomi grossi: pubblicare un libro già edito. Giulietta prega senza nome era già uscito su Ilmiolibro.it, ed era finito nella rosa dei 30 finalisti della prima edizione del concorso Il Mio Esordio. A spuntarla, Miradar di Ilaria Mavilla, che uscirà a settembre per Feltrinelli. A testimonianza del fatto che, quando ci si imbatte in una storia di qualità, chissenefrega delle logiche di mercato, Elena Torresani si gode la gioia di questi giorni a presentare la sua Giulietta a partire dalla Sardegna e poi per tutta l’Italia.
    Elena ha la non-comune capacità di trasformare le parole in una voce chiara e caratterizzata, consentendo a Giulietta di presentarsi al lettore e parlare di sé senza l’intermediazione dell’autore. Non è un diario, e direi neppure un’autobiografia. Ho avuto l’impressione di ascoltare Giulietta raccontarsi con tale sincerità che mi sono sentito un moscerino che spiava le sue confessioni allo specchio. La vita di Giulietta non è strordinaria per eventi. Non è andata sulla Luna, ma se avesse camminato tutti i chilometri dei suoi viaggi in una volta sola, probabilmente avrebbe raggiunto un’altra galassia, tanta è la sua voglia di assorbire il mondo. Non ha scoperto il Bosone di Giulietta, lei che non ha bisogno di sapere se la particella di Dio esiste oppure no. Non ne è sicura, o almeno non del suo nome. Però pregarlo è inevitabile, soprattutto quando si ha il privilegio di sapere quando finiranno i giochi e sarà tempo di morire. E’ una scrittrice, ma non ha ottenuto il successo che consacra in tutto il mondo. Ed è bene così. Non ce la vedo Giulietta a scrivere romanzi porno per signore, lei che di sfumature, all’interno della sua vita ordinaria, ne dimostra 50milioni, altro che 50. E’ circondata da persone che le vogliono bene, ma che non riescono a restare. La colpa non è tutta loro, perché Giulietta non si ferma mai, alla continua ricerca di quello che le manca. E le manca sempre qualcosa. Intanto il tempo passa, e passa la vita. Elena Torresani lascia il lettore solo con Giulietta. Prima incuriosito, poi appassionato, poi immalinconito, poi commosso, poi dispiaciuto, e poi felice per averla conosciuta.

    Chiudo il post con 2 citazioni che ho sottolineato sul libro e condiviso su Facebook.

    “Certe affinità sono tangibili come la carne, e ci sono attrazioni inspiegabili talmente spesse e palesi da avere la consistenza di un oggetto fisico presente e ingombrante.”

    “Lavoravo come un mulo e non risparmiavo nulla. Rimasi in questo limbo sterile per cinque inutili anni, senza ambizioni né aspirazioni, senza crescita personale né professionale, ancorata alla catena dell’appagamento quotidiano: ero una CO.CO.CO. della vita. Improvvisavo.”

    Se volete acquistarlo, scrivete alle editrici all’indirizzo email luanaesilvia@yahoo.it. Il libro costa 13 euro. A me è arrivato a casa 3 giorni dopo averle contattate.

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  • Va bene. Per dirvi che il blog, per un po’ di tempo, seguirà l’andazzo di questo mese: qualche apparizione di tanto in tanto e molto silenzio. Le motivazioni sono diverse, ma tutte racchiudibili nell’insieme Decisione. Devo mettere un punto grande come una casa. Grande come una casa è una di quelle espressioni che ho amato, e amo sempre più. Per riuscire in quella che, in questo momento – momento è inteso come grande pezzo della mia vita, i miei primi 31 anni, diciamo – è senza dubbio la cosa che più conta per me, devo spazzar via tutto il resto. Dicono che posso fare l’uno e l’altro e l’altro ancora, e pure lavorare. Forse è vero, ma non per me. Tanti riescono a nutrire la propria forza di volontà fino a vederla camminare e correre, e spallare montagne fino alla meta. La mia è debole e fa spallucce assieme alla pigrizia. Si drizza e urla soltanto per abbracciare le missioni che la stuzzicano, che hanno a che fare con romanzi letti e scritti. Quando si tratta di torture psicologiche pur di uscirne, preferisce marcire nella melma. E’ fatta così. Io c’ho provato a tenere le redini di 1000 cose contemporaneamente. Il risultato è stato un megalitico fallimento su tutti i fronti. Perciò ricomincio da capo, prendendo per le corna un toro alla volta.
    Non puoi continuare a mettere la testa dentro allo struzzo! ha esclamato Madre rovinandomi la colazione.
    Il fatto è che ha ragione, a parte che non ho capito da quale buco dello struzzo sarei entrato con la testa. Quindi mi do da fare fuori di qui. Sarò latitante anche dai vostri blog, che mi mancano, ma le decisioni sono decisioni. E, come sopra, non è detto che non mi vediate fare capolino nella notte, sempre perché conosco i miei polli, la mia forza, anzi, debolezza di volontà in particolare.
    Detto questo, ho le verruche. Quelle che supponevo 2 insignificanti bollicine comuni, di quelle che spuntano così, tanto per, come i moscerini, e poi se ne vanno. Che non ti stai mica a preoccupare di capirne l’origine, di curarle, voglio dire. Sono diventate, nell’arco di un paio di settimane, 300mila sulla faccia e sul collo, principalmente concentrate nell’area attorno alla bocca. Hanno la forma di palline trasparenti e dure, e non c’è modo di schiacciarle, semmai di staccarle, come ho fatto io quando non sospettavo fossero contagiose. Quando ho provato a prendere un appuntamento con la dermatologia ospedaliera, mi hanno risposto che il primo giorno utile sarebbe stato il 16 ottobre, martedì. Il 16 ottobre avrò la faccia di Nightmare. Ricorda Nightmare, il mostro che ha terrorizzato i sogni di milioni di bambini degli anni 80? Sì, me lo ricordo. La voce della telefonista trema. Dopo un momento di pausa e paura, aggiunge: Forse è il caso di rivolgersi a un dermatologo privato. Così ho chiamato il mio medico, il dottor Santouomo che, dopo avermi rassicurato: Non ti preoccupare, se ne andranno con una cremina, mi ha dato il numero di una dottoressa. Buon giorno dottoressa Baby, la chiamo a nome del dottor Santouomo. Ho la faccia piena di bolle strane, che si moltiplicano e io non so più che fare. Lei tossisce un paio di volte: Guardi, io sono al nono mese di gravidanza. Ho ricevuto fino alla settimana scorsa, ma queste 2 settimane vorrei riposarmi. Se è una cosa urgente, la indirizzo dal dottor SfuXXXoiu, il mio sostituto. Altrimenti, io riprenderò a lavorare a settembre. Sì dottoressa, è piuttosto urgente, mi potrebbe dare il contatto del dottor… (com’è che ha detto che si chiama? Va be’, ci provo) del dottor… Sfulisoiucoff. Ci attacco un colpo di tosse per mascherare tutte le lettere del cognome che ho toppato. Chiami il centro Blabla a questo numero, e fissi un appuntamento.
    Al centro Blabla mi danno appuntamento per il giorno dopo, alle 18.30. Quando si dice il potere dei soldi. Prelevo 150 euro e arrivo alle 18. Il dottore mi riceve con mezz’ora d’anticipo. SfuXXoiu è un giovane uomo sui 35/38 che, dal momento in cui mi presento all’istante in cui mi saluta, quando vado via, non smette un attimo di indirizzare sulla mia persona uno sguardo di commiserazione. Mi guarda come se avesse davanti un esemplare di marcio patologico da tenere alla larga, e contemporaneamente sentisse vibrare l’emozione di una nuova avvincente avventura fantascientifica. Mi studia con una lente luminosa. La sua diagnosi è devastante: Sono centinaia di verruche. Bisogna bombardarle immediatamente! Io mi drizzo dal lettino, dando pure una mezza craniata contro la porcellana del lavandino, ed esclamo: Alt! Bombardare cosa? Lui mi fa cenno con la mano, tipo Scialla! (stai sereno amico!): Bombardare non nel senso letterale, chiaramente. Dottore mi scusi, come hanno fatto a diventare così… così… centinaia? Con la lametta. Ti sei fatto la barba incurante e le hai sparse su tutto il viso e il collo. Questo vuol dire che non potrai più farti la barba fino a data da destinarsi. Intanto dobbiamo rinforzare le difese immunitarie della pelle con Immunoskin, 2 bustine al giorno per 3 mesi. Ah, una cosa veloce insomma! Lui tossisce, come se l’avessi interrotto quando non dovevo, e non mi permetterò più. Prosegue: Ti passi Verunec su tutta la faccia, la sera. Tieni la maschera fino al mattino. E 2 volte al giorno la Tintura Madre di Thuya… Quando dice Madre mi scappa una risata. Unita alla certezza che, con quel nome, non può che essere il giusto rimedio. Lui riprende a illustrarmi gli effetti: Che non è altro che uno stimolante di difese immunitarie superficiali. E poi vorrei fare una biopsia della verruca. Questa ve la racconto la prossima volta, fra non si sa quanti mesi, magari pure domani. Intanto segue un breve specchietto riassuntivo delle spese mediche sostenute in 10 giorni di cura.
    Partiamo con gli acquisti del giorno:
    – Secondo tubetto di Verunec, 11,10 euro.
    – Unguento Altargo, antibiotico per lenire le lacerazioni provocate dal Verunec, maledetto a lui, 18,90 euro.
    – Secondo tubetto di Tintura Madre di Thuya, 12,90 euro.
    – Pennellino per applicare le lozioni acide sul viso, perché quello incluso mi si è spezzato in mano, 3,49 euro.
    TOTALE
    (ancora) PROVVISORIO: 217,35 + 46.39 = 263,74 euro.
    Riepilogo spese precedenti
    :
    – Visita dermatologica, 80 euro.
    – Totale medicinali acquistati, sufficienti per 10 giorni dei 3 mesi di cura, euro 57.
    – Costo complessivo delle 2 impegnative necessarie per la biopsia di una verruca, esame che il dermatologo sente di dover fare, pur avendo la certezza che siano verruche: 42,35 euro, ai quali vanno sommati i 10 euro per ogni impegnativa. Totale ticket: 62 euro e 35 centesimi.
    – Aloe Vera in gel, onde evitare che le abrasioni causate dagli acidi mi trasformino in una patata da spellare, confezione famiglia da 500 ml, euro 18. (Una mano santa)
    TOTALE PROVVISORIO
    : 217,35 euro.
    Se io non li avessi avuti, quei soldi. Se fosse stato qualcosa di più delicato. Se capiterà, un giorno, e non avrò la possibilità di curarmi. Insomma, la leggenda della sanità americana non mi sembra poi così lontana.

    Scrivi un commento →: La forza di volontà di una verruca
  • La attacco all’improvviso.
    – Madre, hai visto che incredibile nuova scoperta dell’Umanità?!
    Madre ha sentito qualcosa.
    – Sì, la roba del COSONE.
    – Hanno fatto la conferenza di presentazione della scoperta, e Higgs si è commosso.
    – Poverino! C’avrà 100 anni – esclama Madre intenerita. – È pure pericoloso a quell’età!
    – Pensa che prima di questa scoperta era stato deriso e sbeffeggiato da tutti i più grandi scienziati del mondo.
    A quel punto Madre si irrigidisce e stizzita: – Pure da quella vecchiazza di MANDARINA DUCK?!
    – …

    Scrivi un commento →: [Madre Bosonica]
  • Quasi fuori tempo massimo, vi segnalo un evento speciale che andrà in scena stasera. L’associazione Abruzzo in Lettere prova a bissare il successo della performance dedicata a Mia madre è un fiume, splendido romanzo di Donatella Di Pietrantonio, pubblicato da Elliot e vincitore del Premio Tropea 2011. Lo fa con un apericena con delitto, giusta ambientazione di lancio per il nuovo thriller di Stefano Vignaroli, I Misteri di Villa Brandi. La particolarità delle performance di Abruzzo in Lettere sta proprio nel significato di performance. Infatti non si tratta di comuni presentazioni, ma di momenti di vero spettacolo, che celebrano l’opera artistica facendo dell’autore un performer. Ogni performance è studiata nei minimi dettagli per l’opera a cui è dedicata, come un vestito cucito addosso. L’opera diventa performatrice di se stessa. Lucia, uno dei membri fondatori dell’associazione, mi ha dato qualche anticipazione su stasera. Sarà un evento di letture, musica e una strizzatina d’occhio al teatro. Insomma una serata sul filo rosso della tensione per raccontare il ritorno del commissario Caterina Ruggeri, già protagonista dell’esordio di Vignaroli, Delitti Esoterici. Ne I Misteri di Villa Brandi, Caterina viene promossa al grado di vice questore aggiunto e trasferita ai suoi luoghi di origine, nelle Marche, come responsabile della sezione omicidi della questura di Ancona. Stavolta dovrà vedersela con personaggi legati alla massoneria e ai servizi segreti. L’indagine, a seguito di un attentato, si svolgerà tra ville e laboratori sotterranei, il tutto immerso in un’atmosfera noir. Per chi non lo conosce, Stefano Vignaroli è un medico veterinario. Ha sempre lavorato nel settore dei piccoli animali, nella provincia di Ancona. Si è trovato spesso a collaborare con polizia e carabinieri in operazioni riguardanti traffici illeciti di animali. Grande appassionato di cani, ma anche di montagna e di musica jazz, ha esordito nella primavera 2011 con Delitti Esoterici.
    La location dell’evento è bellissima. Si tratta dello chalet Sniper, nella pineta del lungomare nord di Giulianova, a pochi metri, forse meno, dal mare. Letture sceniche di Lucia Potacqui e Roberto Cricca, interventi scenici di Giusy Gianfrancesco e Matteo Maria Dragoni, direzione musicale di Aldomarino Minosse Malatesta. Sarà presente l’autore. Ingresso gratuito alle 19. Apericena di pesce a cura di Sniper (€ 7), all’interno del quale avrà luogo la performance. E poi tutti insieme a tifare Italia. Abruzzesi soprattutto, non perdetevi questa serata.

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  • Noi, la curva

    La Papi mi ha trovato fuori Villa Madre al buio delle 5 del mattino. Ero riverso sul trolley. Appisolato, con le gambe sull’asfalto. Mi ha caricato sulla sua vomitevole Ka turchese, e si è diretta verso il luogo dell’appuntamento con la Francesca. Nel frattempo, enumerava tutto ciò che aveva dimenticato. Mentre io avevo ripreso già il mio sonno interrotto dai suoi fari lampeggianti: Pure l’accappatoio, mannaggia! E gli asciugamani, lo spazzolino, il dentifricio, il bagnoschiuma, la pinza a forma di occhiali da sole. Ah, gli occhiali da sole. Cazzo! Ho buttato tutto dentro al trolley senza pensare. Va be’, mo’ che lo apro, scopro cosa c’è. Andiamo con la macchina della Francesca, sua amica e adesso anche amica mia. La verità è che l’automobile è di una nota azienda che si è fatta carico del nostro viaggio. La Francesca doveva andare a Firenze per lavoro, e il gioco è fatto. La Papi, qualche centinaia di metri prima dell’imbocco autostradale, si ricorda che fra le cose dimenticate c’è anche il caricabatterie del cellulare. Non abbiamo scelta: senza cellulare muore. E’ una forma di vita evoluta. Per sopravvivere ha bisogno di aria, acqua, sostanze nutritive e Whatsapp. Torniamo a casa sua, dall’altra parte della città. Torna in macchina con in mano il caricabatterie e il pigiama, tanto che c’era. Arriviamo a Firenze e dintorni alle 9 e mezza, che pare ora di pranzo. Alle 14, ora di cena. Alle 17, di andare a dormire, posticipata però alle 3 del mattino.
    La prima giornata la rinominerei Survivor. Francesca doveva recuperare delle carte importanti per la sua generosa azienda. Il nostro ruolo stava nell’aiutarla a districarsi fra un Comune e un altro, dove il navigatore nulla poteva: fra sensi vietati e parcheggi strampalati. Il momento più brutto si è consumato quando è dovuta passare in sede, e restarci un paio d’ore. Ha raggiunto il parcheggio travolgendo 4 o 5 volte i piccoli cordoli separatori, e una volta il muretto, causa di un’onda sul cerchione tutto storto: Ma questo mica l’ho fatto io! Io e la Papi abbiamo avuto la brillantissima idea di sfruttare l’attesa per recuperare parte del sonno perduto. Così, abbiamo allungato i sedili e ci siamo addormentati alla ridicola ombra di un alberello spelacchiato. Meno di un quarto d’ora dopo, ci ritroviamo in una condizione di pre-morte. Avevamo consumato tutto l’ossigeno, lei più di me. La temperatura si aggirava attorno ai 600 gradi. La bocca era incollata, che io non sono riuscito a dire nemmeno: Aiuto! Quello che ho potuto fare è stato colpire un paio di volte il finestrino con la mano. Qualcuno fuori ci guardava commentando con gli occhi: I soliti zingari barboni. Ci ha salvato Francesca, di ritorno dalla sede con un paccone di fogli e una bottiglia di acqua gelata. A casa di Luca e Linda baci e abbracci, e docce. A cena siamo stati da Pizzaman. Io devo andarci, altrimenti potrei diventare violento. E loro lo sanno. Se capitate in zona, andateci e chiedete un panuozzo. Il panuozzo di Pizzaman è l’estasi. Poi abbiamo festeggiato i 26 anni di Niccolò fuori al caffè letterario Le Murate. Seduto a terra, in quello spiazzo circondato da mura antiche illuminate, tavolini, gente, e dai miei amici, mi è salito il brividino della felicità. Quello che torna di rado, quello sincero.

    Mancata insolazione

    Sabato era il Madonna Day, che rinominerei Sbagliare è umano. Se perseveri, però, sei scemo. Quando ho spinto il portoncino del palazzo di Luca e Linda, dopo aver recuperato le 36 ore di sonno perso, mi sono scottato la mano sulla maniglia rovente, prima di venire investito da una botta d’aria infuocata, che mi ha bruciato i peletti della barba. Per le strade si respirava un odore di pollo bruciacchiato. Non proveniva da una rosticceria ambulante, ma dalla gente, che stava ardendo viva. Il sudore fuoriusciva dai pori e tentava una vana fuga prima di arrendersi all’evaporazione. E io, in queste condizioni da allarme rosso, a fare la fila fuori allo stadio ci vado col mio testone all’aria, parzialmente mancante di protezione pelifera. Come accadde nel lontano 2006 sempre da Madonna, però a Roma. Quanto mi sono pentito di aver scacciato decine di venditori del MDNA-cappellino, con la scritta fatta a mano. Oserei dire a penna. Col senno di poi, avrei dovuto comprarlo a qualsiasi cifra. Per fortuna che c’è la Papi, pronta a spogliarsi nuda pur di proteggermi da una terribile insolazione. Di tanto in tanto passava qualcuno a bagnarci con gli idranti, come i carcerati. Avrei voluto strangolare le ragazze davanti che godevano sotto il vapore ghiacciato, mentre a me arrivavano 2 schizzetti. Che senso di impotenza! Hanno aperto i cancelli alle 18 passate, mentre lei, la mamma di Gesù, faceva shopping in bicicletta per Firenze. Ci siamo appropriati di un ottimo posto in curva, a 60 chilometri dal palco, ed è cominciata la trafila della Papi e della Francesca direzione bagni. Anzi, bar: Vado a fare pipì! E tornavano con un paio di birre ghiacciate a testa. Alla terza volta, ho pensato che quella nel bicchiere non fosse birra. Scusate! Ci vuole poco ad entusiasmare l’intera curva di uno stadio, e l’Artemio Franchi non è piccolissimo.

    Le birre

    Bastano due ragazzi magri, con la t-shirt dozzinale del MDNA-tour, scatenatissimi in una coreografia studiata con tanto di playback, che neanche a Non è la Rai. La curva li acclamava in applausi e ole, e quelli continuavano a concedersi ai loro fan. Alle 20 inizia lo show di Martin Solveig, che fa ballare lo stadio con i suoi remix. Io non lo conoscevo prima e non lo conosco dopo. Alle 21, il cielo è ancora chiaro. E’ normale che Madonna aspetti ancora, penso. E poi penso pure che i giornalisti, invece che gridare e scrivere allo scandalo per il ritardo di Madonna, potrebbero prendersela con gli organizzatori che lasciano migliaia di persone ammassate sotto il sole ben oltre l’orario di apertura stampato sul biglietto. Madonna entra e dice: Salute! Io penso che il suo ballerino abbia starnutito, e invece no. Mi è piaciuta. Uno show stupefacente, che noi abbiamo potuto seguire passandoci il binocolo di Luca del quale, dopo la serata, si sono perse le tracce. Del binocolo, non di Luca. Mi sono piaciute le scenografie, gli effetti speciali, le provocazioni contro la parte più squallida della nostra Chiesa. La sua voce, che non sarà quella di Leona Lewis, ma conta poco, se la riconosceresti fra milioni. Tutto tranne la versione che ha fatto di Like a Virgin. Ho dato disposizioni di mandarla durante la mia sepoltura, quando sarà. Naturalmente a palla. Per il resto, ho avuto l’impressione di una star senza tempo, con ancora miliardi di cose da dire e da fare. Capace di reinventarsi, di cantare e ballare e fare capriole a 54 anni. E io che, dopo una mezz’oretta in montagna, soccombo per un enfisema polmonare. Non credevo, e invece mi ha stupito ancora. Grande rispetto, grande soddisfazione. Siamo ripartiti con in corpo 200 grammi di pasta, e un gelato che ci è rimasto qua, visto che di domenica alle 15 erano chiusi tutti i bar di Firenze, Gelatando in particolare. Io e la Papi siamo arrivati a lavoro con un’onesta ora di ritardo. L’autostrada è piena di traffico e inconvenienti, si sa. Madonna è rimasta a Firenze qualche giorno in più per girare il video del nuovo singolo. Avrà gradito la permanenza presso l’Hotel St. Regis. Io sarei rimasto a Firenze per sempre, per far diventare vita mia quella vita parallela nella quale posso tuffarmi per brevissimi bagni di amicizia e felicità. Amici miei, vi adoro.

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  • Riorganizzavo le idee, le immagini e le sensazioni dei 3 giorni fiorentini. Non sapevo ancora che, prima di poterveli raccontare, avrei dovuto attraversare il buco nero: la mia giornataccia del mese, che se la batterà alla grande per aggiudicarsi il titolo finale de La Giornata di Cacca Lenta 2012. Perciò rimando il resoconto madonnaro, anche in attesa di recuperare qualche fotografia, e mi dedico all’esposizione delle catastrofi che si sono abbattute sulla mia persona lunedì 18 giugno 2012. Dopo lunghe e tortuose ricerche, mi sono imbattuto in un veterinario ortopedico al quale ho raccontato le tristi vicissitudini di Zion-cane, bruttissima esperienza col dottor Macello inclusa. Lui mi ha invitato a prendere un appuntamento presso la clinica dove lavora, a Pescara stavolta. Il 18 alle 18, che è anche facile da ricordare. Sebbene conosca la strada, imposto l’indirizzo sul nuovo navigatore Waze, per provarlo. Me l’ha fatto scaricare la Papi dallo shop del cellulare. Lo trova meraviglioso perché interagisce con lei offrendole, di tanto in tanto, caramelline virtuali e bonus, come premio per non aver ancora saltato alcuna indicazione. Si è così specializzata, che i viaggiatori sparsi per l’Italia chiedono a lei, via chat, notizie sul traffico, ingorghi, autovelox, posti di blocco. Quando la Papi si imbatte in un fenomeno stradale degno di nota, lo fotografa e condivide l’immagine sul suo social Waze. E’ diventata la migliore amica dei camionisti, dopo Manuela Arcuri e Stefania Orlando coi loro calendari sexy. Mancano un paio di chilometri alla clinica, e una tacca allo spegnimento del telefono. Waze ha assorbito la batteria come una spugna. Devo acquistare un caricabatteria da auto, penso. Siamo quasi arrivati. Un numero di cellulare che non ho in rubrica, ma che riconosco, perché aveva provato a chiamarmi anche in mattinata, lampeggia sul monitor. Ricordo di aver pensato: Non sarà niente di importante. Nel caso, richiamerà. Non riesco a rispondere neanche in macchina. Alla guida non si dovrebbero fare 100 cose, nemmeno 2, così ho preferito aspettare di parcheggiare, per richiamare. Non sapevo che era il cellulare della clinica, e che una fanciulla bionda stava tentando di mettersi in contatto con me. Il dottore aveva deciso di rinviare tutte le visite per un malore.
    Ho provato 100 volte, credimi, ma era sempre spento, oppure non hai risposto, mi ha detto una volta dentro. Conclude: So che venite da lontano. Mi spiace davvero tanto di avervi fatto fare un viaggio a vuoto.
    Dispiace anche a me, ma non così tanto come mi dispiacerà fra un’oretta. Però ancora non lo posso sapere. Prendo appuntamento per il lunedì successivo, 25. Nel frattempo Zion-cane fa la cacca su un marciapiede residenziale. Non riesco a intravedere, in un orizzonte di chilometri, una carta appallottolata, o una cicca di sigaretta, e quella cacca è un cazzotto in un occhio. Secondogenita non ha con sé il kit di rimozione degli escrementi canini. Entro in un bar e chiedo un sacchetto vuoto: Uno di quelli per portare via i cornetti dolci andrà benissimo.
    Dopo un’ora e mezza di inutile viaggio, ci rimettiamo in viaggio. In macchina regna il silenzio disarmato di due poveri disgraziati che non sanno veramente più che dire. Gira proprio tutto storto attorno alla piccola Zion-cane, che non ha potuto neanche essere visitata. Comincia a girare tutto storto pure attorno a me in piena autostrada. Secondogenita si è appisolata. Zion-cane se ne sta zitta zitta, accucciata dietro. Uno sbattere di pezzi di metallo, simile a una mitragliatrice, raggiunge le mie orecchie durante il sorpasso di un gigante veicolo lento. Penso che arrivi da quello, e che dopo averlo distanziato non lo sentirò più. Invece il frastuono aumenta. Quando capisco che il problema sta nella nostra automobile, sveglio Secondogenita con quest’intelligentissima domanda: Secondo te questo casino è normale?
    Non era normale. Non c’è la corsia d’emergenza, né una torretta di quelle dove chiedere aiuto premendo un pulsante. Fermo la macchina in piena corsia autostradale. Abbiamo forato. Non un buchino di spillo, ma uno squarcio grande quanto una mano. Come se la gomma fosse esplosa. Non ho con me il giubbino catarifrangente. Penso che avrei dovuto procurarmene uno in 12 anni di patente. Io le penso sempre dopo queste cose qui. Ho una minuscola tacca di batteria che è diventata rossa. Quando diventa rossa significa che potrebbe, ma non è certo, reggere una chiamata di 2 o 3 minuti al massimo. E io a chi la faccio? Al madre-marito, la persona sbagliata: Trova un gommista! Ma sono in autostrada. Allora esci dall’autostrada e trova un gommista. Ma mancano 45 chilometri al casello, e la macchina si sta distruggendo. Dietro c’è il ruotino. Metti il ruotino! Ma io non ho mai cambiato una gomma, non so neanche dove va fissato il crick.
    Cade la linea. Il telefono si spegne. Secondogenita si mette a ridere. Sta pure calando la luminosità. A momenti sfreccerà un camion Bofrost e mi travolgerà. Mi siedo sul guard rail, e chiudo gli occhi. Ora scoppio a piangere, penso. Mi ripeto: Non posso cambiare una gomma io. Io… non so come si fa! Poi mi faccio forza. Apro il portabagagli. Scopro il vano segreto che custodisce il ruotino e una borsetta. Dentro ci trovo una chiave per i bulloni, un cacciavite, una stecca di ferro con una manopola di gomma che gira, un triangolo di metallo: Sarà questo il crick!? Secondogenita risponde: Boh, ma sbrigati che fra un po’ farà notte. Insomma, il crick si sganciava continuamente. I bulloni parevano incollati. Per svitarli incastro la chiave e ci salgo sopra col piede, pregando la Madonna (non quella che ha cantato a Firenze, ma quella che sta in alto, nei cieli) che la direzione giusta sia l’antioraria. Con la sola forza della disperazione, i consigli di un automobilista, che si ferma in autostrada a soccorrermi, e seguendo meticolosamente le immagini stampate su un adesivo incollato al crick, con le scritte in giapponese, riesco a smontare la gomma, a mettere il ruotino e a ripartire all’imbrunire. Arriviamo a L’Aquila che sono quasi le 8 e 30. Il gommista più vicino ha già chiuso le saracinesche dell’officina. Sorride alla moglie che l’aspetta in macchina. Attiro la sua attenzione invocando una leggera lacrimazione dell’occhio destro: Ho forato in autostrada. Ho messo il ruotino fra 1000 fatiche disumane. E’ davvero difficile fare una cosa pure non così complicata, per chi non l’ha fatta mai. Non è che potrebbe ripararmi la gomma o, in alternativa, cambiarmela? Lui mi guarda impietosito, non so se da me e dalla mia storia, oppure dall’immagine di Secondogenita con le treccine giallo-nere e molteplici tatuaggi di morte sul corpo. Saluta la moglie: Ci vediamo a casa. Mi cambia le 2 gomme posteriori. Devono essere uguali, se no la macchina non è in equilibrio. Sbuffa un paio di volte, ma lo capisco. Mi chiede 116 euro per 2 gomme nuove, mi aspettavo di più. Sarei stato pronto a pagare di più, pur di tornare a casa col lieto fine. 116 euro di gomme più 30 di benzina e 12 di caselli per non aver concluso niente, in questa tempesta di caldo soffocante. Madre, alla finestra, ride di me e annuncia ai commensali il mio ritorno: Ecco Matteo, che sta incazzato.
    Ho imparato almeno due cose da quest’esperienza.
    – Ora so cambiare una gomma.
    – C’è chi infrange la legge per aiutare qualcun altro in difficoltà, sulla cui strada s’è imbattuto, e che prima d’allora non conosceva. Questo è per me una grande lezione di vita, oltre che un esempio per il futuro.
    Alla sera resto a casa a guardare la partita, e a soffrire per quest’Italia che raddrizza la Giornata di Cacca Lenta 2012. E che adesso se la vedrà con l’Inghilterra.

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  • Oggi ho indossato il mio paio di scarpe rosse di tela da passeggiata, pagate 9 euro al Decathlon, ed erano ispiegabilmente strettissime. Ma io ci sono andato a lavoro lo stesso.
    Tornato a casa, mi sentivo come una bambina dell’antica Cina alla quale hanno fasciato i piedi per mantenerli piccoli.
    – Ma ti sei messo le scarpe di tuo padre?
    – No, le mie. Quelle rosse!
    Lei comincia a ridere, ma ride senza fiato, tipo asma.
    – No, ti sei messo quelle di tuo padre, che gliele ho fatte comprare uguali alle tue, che costavano poco. Solo che sono 2 numeri più piccole!
    -…

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  • Stanotte alle 5, o domattina, che dir si voglia, comunque alle 5, stacco la spina e la riattacco a Firenze. Quanto mi piacciono i ritorni! Rivedrò Palazzo Vecchio, la giostrina di Piazza della Repubblica con la libreria Edison sotto i portici. Se solo potessi, traslocherei al reparto narrativa, e andrei avanti a pane, acqua, libri e presentazioni. L’Arno con tutti i suoi ponticelli. Mai abbastanza lontano da me è nato proprio su uno di quelli, prima che a L’Aquila, e poi è andato a finire dentro Una valigia tutta sbagliata. E i miei amici, che certi giorni mi mancano da starci male. Ogni volta che li sento al telefono, penso a quanto tempo insieme stiamo perdendo, forse sprecando. Sento il bisogno fisico di riabbracciarli. Tanto che ci siamo, andiamo pure a gustarci il buon brodo di quella gallina vecchia di Madonna. Ho sempre pensato che non sia ‘sto granché, e non ho cambiato idea nel 2006, quando ho assistito al suo show a Roma. Se penso a Madonna, mi viene in mente uno speciale televisivo dedicato a com’era/com’è: come e cosa sono diventati i VIP invecchiando. La bambola Barbie è diventata Madonna, appunto. Allo stadio Olimpico di Roma, il 6 agosto del 2006, ho vissuto la giornata più asfissiante della mia vita. Dovrebbe esserci qualche resoconto su queste pagine ma, al solo ripensarci, mi mancano le forze per cercarlo. Dopo le prime 5 ore di attesa, in piedi, sotto il sole, circondato da corpi parcheggiati a una distanza massima di 6 millimetri dal mio, ho iniziato a vedere milioni di pallini neri su fondo bianco. Non so se avete una vaga idea di quanti gradi possa raggiungere l’aria in un 6 agosto qualsiasi nella Capitale. Io non ce l’avevo prima di allora, e l’ombrellino si è rivelato il classico inutile rimedio disperato del vacanziero inesperto. I raggi bollenti sbucavano dall’altra parte geneticamente modificati dalla tela sintetica, e trasformavano la poca aria respirabile in vapore acqueo, tipo effetto serra. No Alpitour? Ahi ahi ahi ahi!  Per evitare il crollo di pressione, con conseguente intervento delle ambulanze, ricovero ospedaliero e figura di merda internazionale, ho cominciato a ingurgitare salatini, patatine, sandwich con la mortadella, quanto di commestibile avevo ficcato nello zainetto, senza bere nulla; l’acqua era finita da un pezzo. Ecco spiegato l’asfissiante di poco fa. Pure i fan, ahiloro, invecchiano. Ci avete fatto caso? Siete lì, fanciulli saltellanti e fanciulle svestite, con la testa bagnata di acqua e sudore, le scarpe di tela ai piedi e una chitarra che dà il la per ore di canzoni, in attesa che aprano i cancelli, sperando che la vostra artista possa sentirvi. L’ennesima tortura che ho dovuto sopportare, in religioso silenzio, se no questi qui ti conficcano una emme di perline di plastica al centro del cuore. Nelle foto che ho visto del concerto di Roma di martedì, ho riconosciuto gli stessi di 6 anni fa. Però con la pelata, la panzetta, la gobba e le tette calate. Non siamo più quelli di una volta, esclusi i presenti, naturalmente, e questo fa un po’ tristezza. Come non è la stessa la plurilaureata in Intonazione alla Harvard University. Ne ho lette e sentite di ogni sulla sua data romana. Va bene che la stampa italiana si dimostra il solito manipolo di caconi, però del parere spassionato degli amici mi fido. Un’amica mi ha chiamato per dirmi: Premetto che non voglio rovinarti la sorpresa, ma sono rimasta molto delusa. Ha cantato un’ora e mezza, e tutte canzoni nuove, delle quali pochissime carine. Una bambina dietro di me si è addormentata, e la gente alle 11 ha cominciato a lasciare lo stadio. Un’ora prima! Intanto grazie per la premessa. Poi ho pensato che avesse sbagliato concerto, che fosse andata a quello di Ivana Spagna alla sagra della pizza fritta. Così le ho chiesto: Sei sicura di essere andata al concerto di Madonna e non a quello di Ivana Spagna? Lei: Un concerto di Ivana Spagna costa 80 euro? Sì che l’euro precipita, però…
    Almeno un paio di circostanze si sono mosse a favore della tesi che niente è casuale, e tutto va interpretato come segno di qualcosa. In questo caso, segno che non potevo mancare.
    – Firenze, intanto. Per quanto detto sopra, e per tanto altro non-detto che porto dentro. Madonna non poteva scegliere città migliore per convincermi. Sì, credo che l’abbia scelta per questo. Ci tiene molto alla mia partecipazione.
    – Il 16 giugno, che non è un giorno comune. Niccolò festeggia 26 anni, e difficilmente saltiamo i nostri compleanni, nonostante i quasi 400 km che ci separano.
    – Io e Papi non ci siamo mai fatti 3 giorni insieme. Andare con lei mi fa felice e mi preoccupa in egual misura. Più la seconda.
    Piccolo PS lampo: Mi scuso con i miei responsabili per aver loro causato attacchi di panico a raffica e crisi d’ansia per tutti gli intrecci di orari e turni e riposi e permessi a cui li sto costringendo per i miei comodi. Dopo 5 mesi senza farmi manco un’ora di ferie, avrò diritto a 3 santissimi giorni di vita mia?

    Scrivi un commento →: Madonna sarà invecchiata, ma pure i fan mica scherzano

sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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