• La peggiore delle ipotesi era che il dottore mi dicesse: Mi spiace, la neurologa mi conferma che il difetto nervoso di Zion-cane non è dipeso da me. Perciò dovrete sostenere di tasca vostra la spesa dell’operazione sul legamento crociato dell’altra zampa. Che non ammettesse le sue colpe, insomma. Mi aspettavo che chiamasse il nostro cane per nome almeno una volta, e che dicesse almeno una volta: Mi dispiace. Invece non l’ha chiamata per nome mai in questi lunghi mesi, più di un anno, di visite sbrigative e viaggi L’Aquila-Roma, e non l’ha fatto mercoledì, né gli è scappato un mi dispiace per sbaglio o circostanza. Quando pensi di essere capace di immaginare il peggio, è la volta che ti ritrovi a prendere atto che la vita sa fare di più. In questo post leggerete di particolari all’apparenza poco rilevanti e scollegati fra loro. Mi servono a descrivere l’aria, il filo conduttore che alla fine farà sì che tutto torni. La clinica, della quale non farò il nome neppure stavolta, come anche del dottore, nell’attesa di poterlo fare naturalmente, e non soltanto su queste pagine, si trova in una zona trafficatissima di Roma. Parcheggiare nelle vicinanze è impossibile. Al piano terra dell’edificio c’è un parcheggio a pagamento. Avanza verso di noi una ragazza che ci spiega: Il posteggio costa 4 euro la prima ora e 3 euro per ogni ora successiva. Io sto per dire qualcosa, lei interrompe la materializzazione del mio pensiero aggiungendo: Ah, è sufficiente un minuto a far scattare l’ora. Per esempio, se state 2 ore e un minuto, pagate 4 più 3 più 3 euro.
    Una serie di attese favoriscono la lievitazione del costo complessivo del parcheggio.
    – L’attesa in coda per segnalare alla signora dell’accettazione il nostro arrivo. (15 minuti)
    – La lunghissima attesa prima che il dottore decida di riceverci. (30 barra 40 minuti; ci è capitato anche di aspettare un’ora dal momento dell’appuntamento)
    – Il tempo effettivo della visita. (una mezz’ora, mediamente)
    – Quello per saldarla, la visita. Le visite costano dai 70 euro in su, e devi rifare la fila pure per pagare. (un altro quarto d’ora ad essere ottimisti)
    – Raggiungere nuovamente il parcheggio e guardare l’orologio. (dai 3 ai 5 minuti)
    Ecco fatto le 2 ore e un minuto. La nostra presenza viene annunciata al microfono: La visita delle 17 e 30 per il dottor ortopedico Macello e la dottoressa neurologa Chil’havistapiù è arrivata. Inizia la seconda lunghissima attesa. Secondogenita si siede con Zion-cane che fatica a trovare pace, con tutti quegli animali fasciati che piangono e vorrebbero trovarsi a migliaia di chilometri da lì, con la zampa destra operata che non controlla più a pieno, e l’altra col crociato rotto. Io vado a informarmi sul costo delle medicine che il dottor Macello aveva prescritto a Zion-cane per l’artrosi: Vi conviene la confezione grande, c’è un notevole risparmio. La donna legge il nome del medicinale sulla ricetta: Sì, lo vendiamo direttamente in clinica. La confezione piccola da 70 pasticche costa 80 euro. La confezione grande da 140 pasticche costa 150 euro. Non sono riuscito a evitare alla mia faccia di deformarsi. Lei se ne accorge e aggiunge: Sono molto efficaci. Io le rispondo: Immagino di sì. Volevo soltanto sapere il prezzo, e torno a sedermi domandandomi intanto dove fosse la convenienza, e poi se è possibile pagare una pasticca per l’artrosi più di un euro. Ci chiamano che sono le 18 passate. Un tirocinante in divisa verde scuro ci parcheggia in una piccola stanza interna, con un tavolino al centro e un banchetto con sopra carte e un computer acceso, rassicurandoci: Arriviamo subito, un pochino di pazienza! Quanta ancora ne avremmo dovuta dimostrare non lo sapevamo neppure noi. Da quel momento passano altri 20 minuti nei quali io e Secondogenita stiamo in silenzio. Ci rendiamo entrambi conto che ci aspetta un momento difficile. Arriva il dottor Macello e mi saluta sorridendomi e stringendomi la mano, lo stesso fa con Secondogenita, Zion-cane neppure la guarda. Poi si rivolge a me dandomi del lei: Allora, mi ricordi che succede! Non si ricorda chi siamo e perché siamo qui. Non è possibile. Mentre gli faccio il riassunto delle puntate precedenti, penso che questa sua recita non mi piace. Lui finge di ricordarsi improvvisamente e spiega i dettagli alla dottoressa neurologa Chil’havistapiù al suo fianco, concludendo: Il signore, la volta scorsa, mi ha chiesto di venire loro incontro economicamente per l’operazione che il cane dovrà subire all’altra zampa, alla luce del fatto che la responsabilità del danno neurologico potrebbe essere la mia, in seguito alla prima operazione. Io voglio da te un parere per capire se è davvero andata così. La neurologa fa un cenno di assenso col capo e ci invita a far camminare Zion-cane. Ci fa fermare in un corridoietto verdognolo dalla luminosità limitata, che puzza d’urina. Tira fuori dalla tasca del camice un martelletto. Si accovaccia e assesta qualche piccolo colpo su entrambe le zampe di Zion-cane. Questo è sufficiente per avere un quadro chiaro della situazione perché il dottor Macello la invita a un consulto privato. Ci dicono di aspettare lì, nel corridoietto buio che puzza di urina, il tempo di una discussione che verte sul parere della neurologa in merito al fatto che il dottore abbia o meno danneggiato i nervi della zampa di Zion-cane, ma alla quale noi non siamo chiamati a partecipare. Mentre si chiudono la porta alle spalle, mi volto verso mia sorella e le dico: La stanno facendo veramente losca, comunque aspettiamo che ci chiamino. Ricompare il dottor Macello che ci invita a seguirlo. Ci ritroviamo nella stessa stanza col tavolino, il banco e il computer acceso. Inizia dicendoci che la dottoressa conviene con lui sul fatto che in effetti sussistono alte probabilità che il danno neurologico alla zampa di Zion-cane sia dovuto all’operazione, ma che la certezza scientifica non esiste. Cerco la dottoressa con gli occhi, ma non c’è. L’avrà fatta andar via prima che io potessi chiedere spiegazioni direttamente a lei. O forse è lei ad aver voluto evitare di metterci la faccia. E’ la seconda evidente scorrettezza, ancor più losca della riunione segreta. Lui riprende: Arriviamo al sodo. L’operazione al crociato costa 1800 euro. Voi mi chiedete di fargliela gratis, io vi rispondo che sono disposto a farla per la metà, cioè 900 euro. Sento le forze scendere attraverso le braccia e suicidarsi a testa in giù per terra: Lei ritiene di aver causato un’invalidità permanente al nostro cane, nel corso di un’operazione per la quale è stato pagato quasi 2000 euro. E adesso mi sta dicendo che un’invalidità permanente ha un prezzo, e in questo caso sarebbe equivalente a 900 euro? No, io non ritengo di esserne il responsabile, e voi oggi siete venuti qua a svoltare un crociato gratis. Il sangue mi va in ebollizione anzitempo; mi sta trattando da pezzente. Mi ripeto: Matteo calma, e rispondo: Non si permetta. Del crociato rotto ce lo ha detto lei. Non lo sapevamo prima. Il dottor Macello prosegue con quella che poi si rivelerà la miccia dell’esplosione: Le faccio un esempio. Lei va dal carrozziere a far aggiustare la sua automobile tamponata. Ritira l’automobile, paga e torna a casa. Dopo un anno si ripresenta dal carrozziere perché ha notato della ruggine, e dà la colpa a lui. Visto che nel frattempo si è rotto il motore, lei è la classica persona che pretende dal carrozziere che le venga aggiustato il motore gratis. Queste sue parole mi fanno rinunciare al buono che è in me: Intanto complimenti per la similitudine fra un cane e un’automobile. E poi, anche fosse, il carrozziere mi restituisce la macchina fiammante. Lei mi ha restituito Zion zoppa. Ma quale zoppa che cammina benissimo, m’interrompe: L’operazione è perfettamente riuscita, l’anca è allineata. Sì, l’operazione è riuscita e il paziente è morto, ribatto. A quel punto interviene Secondogenita: Ma ci vede? Non appoggia la zampa come dovrebbe, si muove male, tutta storta, impiega tempo a sedersi e ad alzarsi, ha i polpastrelli sanguinanti… Mi dispiace vedere mia sorella con le lacrime agli occhi, che non riesce a capacitarsi. Non ci sto a farmi prendere per i fondelli ulteriormente. Stavolta mi rivolgo a lei: Tu stai cercando di spiegare a un dottore veterinario specializzato in chirurgia ortopedica che il cane cammina male? Ma lui (e lo indico) lo sa e lo vede molto bene. Ci sta prendendo in giro, il dottore. Calco sulla parola dottore, indicandolo. Lui nega: Io non sto prendendo in giro nessuno. Vi sto facendo un’offerta, un compromesso più che buono, mi pare, visto che non è neanche sicuro che il danno gliel’ho provocato io. La vita è fatta di compromessi! No, non è vero: Forse la vita sua è fatta di compromessi. Mi può spiegare quali altri fattori potrebbero essere intervenuti a causare il danneggiamento dei nervi, secondo lei che è un luminare? Calco sulla parola luminare. Il dottor Macello alza gli occhi al cielo: Uh, quante gliene potrei dire… beh per e-e-esempio… (sta balbettando?) beh… non le rispondo perché se no lei pensa che me le stia inventando. Questa conversazione sta toccando l’assurdo, penso mentre lui aggiunge: Comunque, se volete farvi 2 soldi potete anche denunciarmi, io ho un’assicurazione. Pensi che sono stato condannato a pagare 10000 euro a una signora che ha presentato in tribunale pure la lista delle visite dallo psicologo. (E lo dice pure?) Con questa storia dei soldi ha rotto, e glielo dico così: Io non sono venuto qui a elemosinare dei soldi. Se tanto lo vuole sapere avrei timore a far operare Zion da lei anche gratuitamente, perché sa qual è il fatto? Che per lei un automobile e un cane sono la stessa cosa. Forse nella vita avrebbe dovuto fare il carrozziere e non il veterinario. Il dottor Macello si agita e sbatte le braccia in aria: Benissimo! Ritiro la mia offerta. Prego prego, da quella parte, e ci indica la porta. Uscendo lo saluto: Forse non ha capito che la sua offerta non l’ho presa in considerazione neppure per un secondo. Buona giornata, e ci risentiremo presto. *Sì, era e rimane una minaccia.

    Scrivi un commento →: Il dottor Macello e la dottoressa Chil’havistapiù. Zion-cane avrà giustizia*
  • Mi godo la silenziosa pace ritrovata dopo il baccano di questi giorni causato dalle faccende Pierantozziane dell’ultimo post, che ha attirato su queste pagine centinaia di lettori. Al silenzio della stanza, nel mio giorno di riposo, con la luce del sole intiepidita dalla tenda verdina, poco dopo il pranzo, rifletto. Mi aspettavo una vagonata di insulti dagli amici di Pierantozzi, indirizzati sul blog dal link che lui stesso ha condiviso sulla sua bacheca. Sospetto l’abbia fatto allo scopo di infliggermi una punizione. Un precedente mi preparava al massacro mediatico. Qualche secolo fa pubblicai un’analisi molto seria, si fa per dire, del testo della canzone Essere una donna interpretata da Anna Tatangelo. Purtroppo, pure col pulsante di ricerca, non riesco a recuperarlo per lincarvelo. Voi che mi conoscete rileggete il testo, soprattutto quando Anna dichiara con convinzione, e non vedo motivo per dubitarne, di non essere una ciliegia, e immaginate il tono del mio post al riguardo. Una tatangiolesca ascoltatrice ebbe la fantasmagorica idea di condividerlo nel forum ufficiale della di D’Alessio compagna, e via il finimondo di offese dei nano-fan all’insegna del minimal: T nn cpsc 1 caX d music!! VFNCL!!!!!!!!!!!!!! (sui punti esclamativi non lesinano mica), molte delle quali manifestanti la mancanza della più intuitiva consecutio temporum. Stavolta conto con sorpresa la quasi totalità dei commenti di sostegno non a me, che non sono in discussione, perché la discussione non verteva sulla mia persona, ma alle mie impressioni, quelle sì. Questo mi convince dell’opportunità della mia riflessione. Esprimere un’opinione, che sia di complimento o delusione, di critica o di piacevole emozione da condividere, un commento o il post di un blog, deve restare intanto una libertà incondizionabile e insindacabile di chi scrive. E poi deve restare sempre ben visibile il muro di separazione fra la persona che scrive e la sua idea, pure se i muri nella Storia non hanno mai significato cose buone. Quello che voglio dire è che si può rispondere ed è sempre gradito un commento da chi legge, che sia di complimento o delusione, di critica o di piacevole emozione da condividere, come sopra. L’importante è che resti legato all’impressione manifestata, e non abbia niente a che fare con la persona autrice: nel caso specifico me medesimo. Per esempio, commentare le mie osservazioni sull’atteggiamento snob di Pierantozzi così: Tu sei invidioso perché Rizzoli non ti chiama, e se non ti chiama è perché non hai le qualità, significa debordare dal letto di discussione. Cosa c’entrano le mie qualità con l’atteggiamento snob di Pierantozzi? Cosa c’entra la mia invidia con l’incoerenza di Pierantozzi, che noto io, magari sbagliando, e della quale scrivo? Perché non mi correggete, se sbaglio, invece di parlare di me quando si sta parlando d’altro? Io, la mia invidia e le mie non-capacità non rientriamo nel discorso Scrittori che sputano nel piatto dove mangiano, e quindi chi ci tira in ballo dichiara a gran voce di avere grossi limiti nel confronto. Non sa mantenersi sullo stesso piano di discussione, e fa una brutta figura nel tentativo di farla fare a me che mi prendo gioco di lei/lui commentatore.
    Piccolo aggiornamento lampo: Pierantozzi mi ha offerto di nuovo la sua amicizia su Facebook per permettermi di leggere e rispondere ai commenti di chi è intervenuto sotto al link da lui condiviso. Io non c’entro niente con la sua bacheca, e la mia autostima non ci tiene a farsi una doccia sotto una cascata di attacchi sanguinari, né m’interessa alimentare il polverone mettendomi a battibeccare pubblicamente coi suoi lettori. Chi vuol parlare con me sa dove trovarmi. A quelli lì che gli risponda pure lui! Perciò ho rifiutato. Quello che mi dispiace, e di cui mi scuso, è di non essermi inginocchiato mentre lo facevo. Il confronto con l’autore è andato avanti per altri 2 o 3 lunghi messaggi privati che non riporto, perché Pierantozzi mi ha fatto notare che non è carino pubblicare su un blog una conversazione privata. Vista l’annotazione illuminante, sto seriamente valutando l’ipotesi di lasciare MatteoGrimaldi.com in gestione ad Alcide Pierantozzi, sarebbe in ottime mani.
    Piccolo aggiornamento lampo2: Domani, 6 giugno, sarà il giorno della nostra decisione difficile. Vi racconto tutto al ritorno o al massimo giovedì. Spero che prevalgano il buonsenso e l’umanità.

    Scrivi un commento →: Commentare è un’arte non da tutti. Riflessioni post-Pierantozzi
  • Non mi è piaciuta l’ultima di Alcide Pierantozzi. Ho nutrito l’ammirazione per lui fin dai suoi primi passi, perché è riuscito giovanissimo a imporsi al grande pubblico con Uno in diviso, uscito per Hacca Edizioni nel 2006 e ristampato quest’anno in una veste nuova che a me piace molto meno della precedente. Il libro vende benissimo per essere distribuito da una piccola realtà editoriale, e divide il pubblico. Pierantozzi viene osannato dalla critica e da certi rispettabili addetti ai lavori quali Fois e Genna. Rizzoli lo chiama anticipandogli 45mila euro per i successivi 2 libri. Leggete Vivere di libri, articolo comparso su D Repubblica nel quale Laura Piccinini mette a confronto gli anticipi superlusso che le major sborsano agli autori. Alla faccia di chi dice che di scrittura non si vive! L’uomo e il suo amore è il secondo, il primo pubblicato da Rizzoli, un’opera forse un po’ troppo ambiziosa vicina al saggio filosofico, che non porta ad Alcide e a Rizzoli i risultati sperati. Ivan il terribile, come lui stesso annuncia nell’articolo, ha tutte le caratteristiche per diventare un bestseller, ma, almeno per ora, così non è. Qualche giorno fa pubblica su Facebook la seguente nota.

    Mi pare una contraddizione evidente quando dice che vuol stare lontano da editori, giornalisti, scrittori e quant’altro, e poi aggiunge che il suo lavoro è scrivere. Quello che fa della sua scrittura un mestiere è intanto il denaro che il suo editore gli versa, in termini dell’anticipo prima e dei diritti d’autore poi, altrimenti di lavoro dovrebbe cercarsene un altro meno piacevole, e ritagliarsi del tempo per scrivere con la testa e il corpo stanchi davvero, e la luce della luna fuori. Le recensioni che i giornalisti, altra categoria da cui vuol tenersi alla larga, stanno regalando alla sua opera. Le parole che gli scrittori, terza categoria che nomina infastidito, hanno acconsentito a spiattellare sulle quarte di copertina. Sulla copertina dell’ultimo si legge:

    Un capolavoro sull’adolescenza. Tra le inquietudini di Dostoevskij e la magia di Stephen King. Giuseppe Genna

    Ecco, appunto. Questi sono gli elementi che consentono ad Alcide Pierantozzi di poter definire la sua scrittura un lavoro, e che lui sembra all’improvviso detestare. Alcide si cala nella parte del divo silenzioso che avvampa del sacro fuoco della scrittura, e schifa coloro i quali stanno facendo la sua fortuna. E’ stanco di sbattersi in giro a fare serate, così annulla tutte le prossime presentazioni, senza tenere per nulla conto di chi per quelle serate ha lavorato in termini di tempo, pubblicità, organizzazione; e l’ha fatto non per soldi, ma per la passione che andrebbe rispettata. E io che ho sempre considerato gli incontri col pubblico un’incredibile possibilità di confronto e crescita personale, oltre che di arrivare al cuore delle persone, farsi conoscere attraverso i propri libri. Ma tu guarda un po’ questo!
    Mi piace sempre meno Pierantozzi perché mi sento preso in giro. Questa dello scrittore puro e stanco dei riflettori, divo alla Isabella Santacroce, dalla quale sta attingendo le caratteristiche peggiori, non corrisponde alla sua reale natura. Ce lo vedete un Salgari, che ha vissuto la sua esistenza in isolamento totale a scrivere storie, a creare mondi, quello che Pierantozzi sente per lui stesso, che spende 7mila euro in pantaloni di Cavalli e giacche Armani (la fonte è sempre l’articolo sopra citato), e posa su Rolling Stone con Nina Zilli?
    Alcide, torna in te!
    Piccolo aggiornamento lampo: Ho avuto un breve confronto con l’autore che mi ha contattato su Facebook dispiaciuto “di questa improvvisa cattiveria”. E ha continuato: Non sai niente di me, della mia vita, di quelli che possono essere i miei problemi familiari in questo periodo e le ragioni per cui ho annullato le presentazioni. Giudicare così, dall’esterno, è molto ingiusto. Io ho risposto che la mia non era cattiveria, ma delusione e rabbia perché la felicità, la soddisfazione, la buona sorte non sono dovute nella vita: La condizione dello scrittore riconosciuto, quale sei tu, è rarissima da trovare per chi lo sogna, lo desidera, e anche per chi lo merita. Bisognerebbe sempre essere riconoscenti verso chi ci consente di vivere facendo quello che più desideriamo, senza doverci accontentare di un mestiere per tirare a campare. Tu ci sei riuscito, ma per come ti stai ponendo nei confronti dei tuoi lettori (mi ci metto pure io) sembri dimenticare quanto può essere sacrificata e sacrificante una vita. Te lo dice uno che alle 18 va a fare chiusura al Mc Donald’s dell’Aquila e torna a casa all’1 e mezza di notte che puzza di fritto e sudore. E, unto come una bruschetta, si mette a scrivere, pure se non c’è nessun signor Rizzoli disposto a pubblicarlo. Lui mi ha invitato a rileggere il titolo, troppo forte: Ecco, ti assicuro che non sono cose belle da leggere, svegliandosi la mattina. Anche perché uno scrittore non deve essere riconoscente a nessun editore, caso mai è il contrario. Ai lettori, sì. E io lo sono moltissimo (anche se certo non ho milioni di lettori). Non la penso così: Uno scrittore deve essere sì riconoscente al proprio editore. Altrimenti non potrebbe neanche definirsi tale. Allora lui ha tagliato corto: Va bene, chiudiamola qui. Se vuoi capire, capisci. Ciao. Quando ho provato a rispondergli, mi aveva già cancellato dalla lista degli amici.

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  • Intanto ben tornati! Per tutta la giornata di ieri il sito è caduto in catalessi, e beato lui! A chi tentava di accedervi diceva:

    Bandwidth Limit Exceeded. The server is temporarily unable to service your request due to the site owner reaching his/her bandwidth limit. Please try again later.

    Io mi sono fidato di quel try again later. Ogni tanto riprovavo dal cellulare nei luoghi più variegati, magari l’aria diversa poteva essergli d’aiuto: a Roma, nella sala d’aspetto di una clinica per animali; nella piazzola di un autogrill; nel bagno del Mc Donald’s, ma non cambiava niente. Ieri è stata una giornata fitta di pensieri, e il malfunzionamento del sito è andato a posizionarsi sul fondo. Mettiamoci pure che il sabato non è un giorno ideale per risolvere problemi. Comunque ora è tutto a posto. Il web-designer Divino Pino mi ha spiegato che il blackout è stato dovuto alla crescita di traffico che ha mandato fuori banda il server. Tutta colpa vostra. Quindi, insomma, molte grazie eh! Adesso che ci siamo attrezzati avete il mio permesso di scatenare l’inferno.
    Come state passando questa domenica? Io sono stato da più parti rimproverato perché ho deciso di trascorrerla a riprendermi da ieri. In che modo? Non facendo nulla di diverso dallo scrivere e leggere (mi piacerebbe buttar giù le basi per un racconto che la mia testa elabora da qualche settimana), senza uscire di casa, né dalla mia stanza se non per cibarmi. Ieri ho accompagnato Madre, Secondogenita e Zion-cane a Roma, presso la clinica per animali dove un anno fa è stata operata all’anca destra per una grave forma di displasia, male comune nei molossoidi. Nell’immagine è piccolissima. Adesso è 100 volte più pesante e minacciosa. Se la fate arrabbiare vi stacca l’orecchio con un morso, e non sarebbe la prima volta. L’operazione consiste nel tagliare un osso, riposizionarlo e fissarlo con una piccola piastra di metallo. La faccia di Zion-cane strappava il cuore. Non poteva capire perché aveva dovuto subire tutto ciò, allora lo chiedeva a noi. Il post-operatorio è lungo, doloroso e delicato. Abbiamo riservato a Zion-cane una stanza di Villa Madre. Il pavimento di cotto liscio può essere molto pericoloso. Sarebbe bastata una scivolata per compromettere definitivamente il recupero della zampa, così l’abbiamo rivestito di tappeti e cuscinotti recuperati da Madre in antichi bauli custoditi nella stanza della regina. Abbiamo passato notti insonni ad accarezzarla. Secondogenita non la lasciava un attimo da sola. Ci alternavamo per farle fare brevissime passeggiate in giardino, col guinzaglio corto per sorreggerla a ogni cedimento. Siamo stati molto attenti a osservare il protocollo riabilitativo che ci ha consegnato il dottore che l’ha operata, eppure qualcosa non è andato come doveva. Zion-cane non appoggia la zampa come dovrebbe; spesso trascina i polpastrelli sull’asfalto che le sanguinano. Il dottore, 15 giorni dopo l’operazione, ha detto che stava procedendo tutto molto bene. Anzi, che Zion-cane dimostrava una ripresa più veloce del normale. Non era vero. L’hanno visitata diversi veterinari aquilani che hanno confermato che si è trattato di un’operazione peggiorativa. Certo, quelli sono comuni veterinari, lui è specializzato in ortopedia. Ieri il faccia a faccia col dottore: Guardate la lastra! Ha l’anca perfettamente in linea. Il problema di questo cane è il nervo. La zampa di Zion-cane non reagisce agli stimoli nel modo giusto. Gliel’ha piegata all’ingiù e lei non la riportava sul piano, coi cuscinetti sul pavimento, ma rimaneva coi polpastrelli rivolti verso il basso. Io, pur non avendo nessuna competenza, ho sempre sospettato che gli avessero toccato qualche nervo. Più che un problema motorio il suo, mi pareva di azione e reazione, mancanza di comunicazione fra le parti. Il dottore ha ammesso la possibilità che durante l’operazione qualcosa sia andato storto: C’è un nervo molto vicino che certamente non è stato tranciato, altrimenti non avrebbe proprio camminato più, ma se fosse stato anche solo sfiorato le conseguenze sarebbero state queste, o molto simili a queste. Il 6 giugno ha fissato un appuntamento con la neurologa per approfondire assieme a lei le cause, individuare il punto di lesione e i rimedi possibili. Tutti sanno che i nervi non si recuperano. Trattenevo con estrema difficoltà prima la mia rabbia, al sentire con quanta naturalezza illustrava i danni irreversibili da lui stesso causati a pagamento sul nostro cane, e poi quella di Madre e Secondogenita, incapaci di mascherare tutte quelle sensazioni esplosive messe assieme. Visto che Zion-cane dovrà subire un secondo intervento sull’altra zampa, e visto che il primo l’abbiamo pagato 1800 euro, fra operazione e visite di controllo, visto pure che il dottore in questione gode di ottima reputazione nazionale, e visto che è vero che abitiamo a Villa Madre, ma non possiamo certo permetterci di accendere il camino con le banconote da 500 euro, mentre il dottore si arrampicava in spiegazioni ricche di termini incomprensibili e graffi sullo specchio che a fatica risaliva, l’ho interrotto: Nel caso in cui dovesse venir fuori che, seppur involontariamente, durante l’operazione, ha lesionato lei il nervo di Zion, mi sento di chiederle se sarebbe disposto a operare l’altra zampa gratuitamente. Dopo qualche istante di silenzio di imbarazzo da parte mia, che ho fatto un’indicibile fatica, e di riflessione da parte sua, che evidentemente non si aspettava una simile richiesta, il dottore ha risposto: Io non voglio prendermi colpe che non ho, però, se ce le ho, me le prendo tutte. Allora, prima parliamo con la neurologa. Se lei confermerà l’ipotesi del danno causato da me, io non mi tirerò certo indietro. Quindi potrei operarla senza farvi pagare ulteriori spese.
    Madre, durante il viaggio di ritorno, non faceva che elogiare il mio spirito d’iniziativa, capace di mettere il dottore in difficoltà e forse ottenere un minimo di risarcimento almeno morale, facendo comunque il bene di Zion-cane. Io continuavo a domandarmi se fosse opportuno mettere il proprio cane in mano alla persona che già una volta ha sbagliato, soltanto perché è molto accreditato e perché lo farà gratuitamente. L’errore umano ci sta, ma il perseverare in buona fede sarebbe davvero diabolico se la seconda operazione andasse come la prima, e non potrei perdonarmelo. Penso pure che Zion-cane va operata comunque, e chiunque lo farà potrebbe sbagliare.
    Voi cosa fareste se Zion-cane fosse il vostro cane?

    Scrivi un commento →: Una decisione difficile
  • L’Emilia reagirà al terremoto, non come l’Abruzzo che si piange addosso.

    Tutti mi avete scritto che paragonare 2 fenomeni sismici così diversi è sinonimo di ignoranza e desiderio di far scalpore. Eccone subito una plateale dimostrazione. Avevo deciso di non commentare le parole del professor Vittorio Sgarbi, ritenendole capaci di commentarsi da sole. Il pensiero alle persone che sono morte, 309, e a tutte quelle che vivranno nel dolore per la loro mancanza, migliaia, mi impone il silenzio, e zittisce anche la rabbia di reazione. Perciò ho lasciato agli altri il piacere di scagliarsi contro. In molti, su blog e social network, hanno espresso il loro disprezzo verso un’esternazione che deborda ignoranza più di quanto faccia la Cascata del Toce con l’acqua. Vi ho ammirato, e di aggiungere altro disprezzo non mi sarebbe dispiaciuto, però mi sono trattenuto. Ho preferito assistere all’arrovellamento del mio fegato zitto zitto, piuttosto che lanciarmi in una lunga invettiva contro Vittorio Sgarbi, che comunque anche oggi non leggerete su questo blog, almeno sotto forma di parole. Passeggiando nella rete ho trovato l’immagine che vedete, realizzata dai soliti giovani geni che questo mondo virtuale per fortuna popolano. Mi ha divertito, e penso che renda giustizia intanto al mio senso di impotenza. Io un microfono nazionale per rispondere alle minchiate di qualcuno non ce l’ho, come non ce l’hanno gli aquilani, ma non solo. Tutti quelli che avrebbero cose intelligenti da dire, capaci di dare spunti, idee, di fare largo a riflessioni che nessuno ascolterà. Invece il microfono ce l’ha chi, come Sgarbi, si atteggia a gran conoscitore del mondo, giudicatore di vite di fronte alle quali pure Dio farebbe un passo indietro prima di sentenziare. E poi trovo che renda giustizia pure alle caprette, che sono creature infinitamente più simpatiche di Vittorio Sgarbi e, mi azzardo a dire, più utili. Producono un latte digeribilissimo; a Sgarbi basta aprire bocca per farti cadere il latte fino alle ginocchia. Mi sarei risparmiato volentieri questo articolo, se solo il professore avesse colto la sua seconda occasione di stare zitto. E invece no.

    L’Aquila resta un teatro di fantasmi spopolato, e questo nessuno può negarlo.

    Voglio credere che lui non abbia pensato alla ferita nei cuori di migliaia di aquilani, rinchiusi nella propria sofferenza silenziosa. Io sì, e trovo la parola fantasma indelicata, tracotante, vergognosa, cattiva. Mi sono ricordato di un fatto recente. Poco più di un mese fa c’è stata la settimana della cultura. Il 15 aprile, il Prof. Vittorio Sgarbi, alla presenza del Mons. Giuseppe Molinari, ha inaugurato proprio qui a L’Aquila una mostra dell’artista Giovanni Gasparro, rimasta aperta fino al 19 aprile. All’interno dell’evento è stato allestito uno stand dell’Editore Cantagalli dove i fantasmi aquilani hanno potuto acquistare l’ultimo libro di Vittorio Sgarbi. Questo per dire che lui, a vendere i libri nel teatro dei fantasmi ci viene, però. Allora, pur sapendo che non servirà a niente, gli auguro con tutta la sincerità e la franchezza di cui sono capace che a leggere i suoi libri possano per sempre essere solo e soltanto i fantasmi. Prima di parlare bisogna capire, e per capire è necessario vivere. Kytril

    Scrivi un commento →: Vittorio Sgarbi e l’ennesima occasione mancata di stare zitto
  • Stamattina mi sono svegliato disposto a scendere a patti col Diavolo. Mi capita ciclicamente di pensare a cosa rinuncerei di ciò che posseggo adesso, in cambio di tutto quello che desidero da una vita e per la mia vita. Oggi poi questo cielo cupo aiuta pensieri simili. Come aiutano gli accadimenti dell’ultima settimana in particolare; direi più in generale l’aria che tira in Italia da qualche anno a questa parte. Non che prima proliferassero sensazioni di benessere e scintillanti prospettive per il futuro. I nostri ex governanti avevano dalla loro un’eccellente capacità di dissimulare la verità. Ci inducevano a credere che tutti i problemi erano risolvibili e riducibili alla dimensione di uno spillo, e che ci avrebbero pensato loro a farlo, attraverso l’operato politico. Il solo fatto che qualcuno ce lo dicesse, e che la nostra quotidianità procedesse senza il peso tangibile del cattivo momento, bastava a farci sentire quella speranza che oggi è disperazione. Fortunati quelli che non sanno cos’è la disperazione. Tirare un sospiro di sollievo per non essere ancora morti di fame evidentemente non basta. Bisognerà pur fermarsi un attimo di fronte all’ondata di suicidi per motivi economici degli ultimi mesi. Adesso pure la vendita di organi per saldare i debiti con l’agenzia di recupero crediti Equitalia. Bisognerà pur fermarsi un attimo di fronte al ritorno della devastazione che stavolta colpisce l’Emilia e alla tempestiva decisione del governo Monti di riformare la Protezione Civile col decreto legge 59, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale: da oggi in poi lo Stato non risarcirà più i cittadini per i danni da calamità naturali. Nel provvedimento si stabilisce – ancora solo in via transitoria e a fini sperimentali – la facoltà del privato di estendere ai rischi derivanti da calamità naturali le polizze assicurative contro qualsiasi tipo di danno a fabbricati di proprietà dei privati. Qualche post fa, vi ho raccontato la chiamata della squinzia sciacalla telefonica che voleva propormi una copertura assicurativa contro le calamità naturali. Ricordate? Mi era parso così ridicolo, manifestazione e conseguenza dell’assurdo precipitare del buonsenso, che ci ho scritto un post su. Non avrei mai immaginato che quella sarebbe stata la strada intrapresa dal governo.
    Ci sentiamo protagonisti di un mondo di cui, all’atto pratico, non possiamo disporre affatto. Ci avete mai pensato? Questo continuo parlare al plurale: Dobbiamo fare sacrifici perché ce lo chiede l’Europa, come se un luogo geografico avesse facoltà di porre delle domande. Dobbiamo fare un passo avanti verso la crescita. Dobbiamo uscire dalla crisi nella quale ci troviamo impantanati. Dobbiamo pagare la benzina 2 euro al litro per un tot tempo. Dobbiamo alzare l’iva al 21%, e se servirà al 23, così recupereremo fondi da destinare al meridione. Dobbiamo pagare la tassa sui cani e sui gatti; se servirà pure sui pesci rossi, sulle lumache che vengon fuori durante la stagione delle piogge, e sui lombrichi che i nostri ispettori troveranno appiccicati sulla parete di casa vostra al momento delle verifiche. A proposito di casa, dobbiamo pagare l’IMU che possiamo calcolare attraverso questo semplicissimo form a disposizione di tutti (non è fantastico tutto ciò?). Dobbiamo far abbassare lo spread sotto la soglia dei 300. Pure se per voi quello dello spread è un pensiero che viene dopo il lavoro che manca; il frigorifero che pare una bara illuminata a neon; i figli piccoli che vorrebbero, ma non possono; i figli grandi che provano a sentirsi forti, ma a un certo punto crollano, e lasciamoli anche un po’ in santa pace; le robe da pagare che si triplicano senza spiegazioni comprensibili. Noi ve lo spieghiamo perché sono aumentate, ma voi continuate a non capire. E voi continuate a mangiare e bere in abbondanza, a sprecare cibo e risorse, a far lavorare chi dite voi, a dare la colpa alle gestioni precedenti, pure se la gestione precedente eravate voi, a riempirvi la bocca di quel tutti noi insopportabile. Ditemi se a uno non gli deve venir voglia di fare un patto col Diavolo. Per capirci qualcosa di più su come contattare l’altissimo Re del male mi sono rivolto alla fonte informativa più attendibile della rete: Yahoo Answers. Un ragazzo, il cui nickname è Milledollarisulrosso, che la dice lunga, pone la domanda: Com’è redatto un patto col diavolo? Nemecsek gli risponde:

    Hai presente il contratto con gli italiani che Berlusconi ha firmato da Vespa qualche anno fa? Ecco, è una cosa del genere.

    Per dovere di cronaca devo precisare che quello ritratto nell’immagine, che ho prelevato dal blog Matite in libertà del disegnatore Federico Distefano, non è Silvio Berlusconi. O almeno, al momento non ci sono prove che dicano il contrario. Per la vicenda Mediatrade è stato prosciolto anche in Cassazione per non aver commesso il fatto. cvs Quibron-T

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  • Mi sono svegliato e ho sbattuto gli occhi contro le immagini del terremoto che stanotte ha colpito Modena e Ferrara in particolare. Il bilancio sembra contenuto: 6 morti e una cinquantina di feriti. Salva miracolosamente, invece, una bimba di 5 anni: sulla sua stanza è crollato il campanile di Finale Emilia, ma una trave l’ha protetta. Dopo due ore sotto le macerie, gli uomini della Protezione Civile l’hanno tratta in salvo. Scrivo questo articolo spinto dal dispiacere che la brutta notizia del giorno mi ha trasmesso, e dal dispiacere provocato da certe reazioni facili e veloci che ho letto, e che riassumo così:
    – A L’Aquila è stato uguale, però ha raso al suolo una città.
    – Per fortuna che qui non hanno costruito case di merda come a L’Aquila.
    Provo a spiegare perché a L’Aquila non è stato uguale, senza entrare in inutili tecnicismi. L’intensità del sisma misurata il 6 aprile 2009 è stata di 6.3 scala Richter, con picchi di 7 per pochi istanti. Per comprendere la differenza di energia fra un 5.9 e un 6.3, valori che a occhio sembrano molto vicini, bisogna sapere che la Richter è una scala logaritmica in cui tra un grado e il successivo c’è una differenza di 10 volte dell’ampiezza del movimento del terreno, e di circa 30 volte dell’energia liberata. Quindi non è un saltino fra un punto e l’altro, ma un’immensità di potenza che separa il 5.9 dal 6.3. La durata della scossa principale di stanotte è stata di 20 secondi, a L’Aquila fu di 30. Anche qui si potrebbe dire: Cosa vuoi che siano 10 secondi in più? Sono un’enormità: a L’Aquila sarebbero bastati 4 o 5 secondi in più per vedere triplicarsi le vittime. Un’altra differenza sta nella profondità. Il sisma di stanotte è stato rilevato a una profondità superiore ai 10 km, a L’Aquila fu a 9 km. Solo un km, sì, che attenua esponenzialmente l’energia. Quello che sto dicendo non significa che gli edifici crollati a L’Aquila erano stati costruiti in modo impeccabile. Tutt’altro, viste le decine di processi in corso. Voglio solo dire che mettere a paragone le 2 realtà, soltanto per una vicinanza di cifre nel nostro comune intendere i numeri, non è corretto dal punto di vista del significato scientifico che i numeri hanno in questo caso. I paragoni sono sempre facili, però bisogna avere i giusti elementi per poterli fare in modo sensato, prima di riportare alla gente inesattezze. Informarsi prima di informare, insomma. Per farvi un’idea leggete anche questo articolo pubblicato su Dita di Fulmine, nel quasi l’autore fa un confronto fra la potenza di un terremoto e quella di un ordigno nucleare. L’immagine che vedete nel post è ripresa da lì. Sono dati che io ignoravo, prima di vivere in prima persona il dramma del 6 aprile. E avrei preferito non doverli imparare sulla mia pelle, credetemi. Resta il fatto che il terremoto si dimostra sempre più una caratteristica del nostro territorio, più comune che eccezionale. Un incubo, mi ha detto un mio amico. Una cosa che esiste, rispondo io, nei confronti della quale, come Paese, siamo purtroppo molto indietro. Altrove hanno mezzi, misure e volontà diverse, e riescono quasi sempre a impedire stragi che da noi, ahimè, si verificano puntualmente con l’accadere di eventi cataclismatici anche di minore intensità.

    Scrivi un commento →: Informarsi prima di informare
  • Madre, fin da piccola, ha sempre dimostrato una naturale propensione all’educazione della specie, di qualunque specie si parli, a cominciare dal suo gatto. Che poi non era suo, ma lei aveva deciso così, prima di gettarlo nella cisterna per insegnargli che non si catturano i topi, anch’essi creaturine di Gesù Bambino. Poi è cresciuta e ne ha sterminati a centinaia, finché  ha messo al mondo 2 figli riuscitissimi. Il primogenito è diventato un promettente giovane scrittore, salvo poi, a quasi 31 anni, non riuscire ancora a mantenere le promesse. Per mantenersi lavora in una catena di fast food internazionale. Frigge patatine, assembla panini, e intrattiene non sempre facili rapporti con la clientela aliena. Sogna di vivere di scrittura, intanto scrive la tesi, una parola ogni novilunio. La secondogenita lavora presso il call center di un noto ente pubblico. Aiuta i disperati utenti a raccapezzarsi fra tasse, pensioni, contributi, redditi. Ha rischiato il licenziamento per un’assenza ingiustificata di 2 settimane che assomiglia più a una sparizione. La verità è che aveva altri appuntamenti di primaria importanza: 5 ore dal tatuatore, tutte le mattine per 13 giorni, e 4 ore dall’amica aborigena per farsi impiantare delle elegantissime treccine giallo-nere. Nel frattempo non ha dato notizie di sé a familiari, amici, né al datore di lavoro che, preoccupato, ha chiamato Chi l’ha visto?. Federica Sciarelli si è rifiutata di occuparsi del caso, troppo impegnata a sopravvivere dopo la telefonata di un esponente della Banda della Magliana, che mercoledì, in diretta, l’ha minacciata di entrarle in casa con un carro armato, qualora non avesse smesso di gettare merda sulla sua persona in tivvù. Dopo 16 giorni e 7 ore, la secondogenita è riemersa dal buio. Le è bastato scusarsi accarezzando, con abile movimento di lingua, le lucide scarpe del padrone per essere riammessa a lavorare con la sola penale di euro 400 risucchiate dalla prossima busta paga, pari allo stipendio dei giorni non lavorati e non giustificati. Dopo gli eccezionali risultati pedagogici ottenuti con la propria prole, Madre ha deciso di allargare il suo campo d’azione alla fauna che popola lo sconfinato parco naturale di Villa Madre, concentrandosi sull’ultima arrivata, la cagnolina Miho. Non sappiamo a chi sia appartenuta prima che decidesse di adottare la sua padrona, e fra tutte scegliesse proprio la secondogenita dalla quale mai si è separata. Per molto tempo abbiamo ignorato l’esistenza della cagnolina Miho. La secondogenita l’accudiva segretamente. Ogni volta che la incontravamo con lei al seguito, ci raccontava che stava badando al cane di una sua amica. Invece le aveva già fatto mettere il chip e comprato una scorta di prelibate scatolette nel più rinomato alimentari canino. Siamo venuti a conoscenza della verità da una donna animalista esasperata, che una mattina ha citofonato al campanello di Villa Madre, prima di tornare alla sera infuriata e tutta sudata. Aveva trovato Miho in giro e l’aveva portata dal veterinario. Costui, dopo aver letto dal chip i dati della proprietaria, le ha indicato l’indirizzo che la secondogenita aveva fatto registrare, cioè Villa Madre. Madre l’ha accolta con sospetto: Quella donna vuole imbrogliarci, farci credere di possedere un cane che non ho mai visto. Così, l’ha liquidata con il solito: Ci dev’essere un errore. Noi abbiamo sì dei cani, ma nessuno dei 2 è quello lì. Arrivederci!
    Quando all’imbrunire l’incallita benefattrice dei quadrupedi abbandonati è tornata, Madre si è insospettita e ha telefonato alla secondogenita che, dopo minuti di tentennamenti e arrampicate disperate sulla superficie scivolosa del suo specchio mentale, ha ammesso: La cagnolina è mia e si chiama Miho. Madre le ha riferito che l’aveva ritrovata una signora amante degli animali. La secondogenita ci ha raggiunto e di tutta risposta: Lei è una ladra! L’ha rapita! Ora la denuncio! La signora ha ribattuto che sarebbe stata lei a denunciarci per abbandono di animale, al termine di un’intera giornata trascorsa a ricercarne i padroni. Dopo averla placata promettendo una donazione di 30mila ossi a base di fluoro, destinati alla fondazione canina presieduta dalla donna, Madre ha stabilito con la secondogenita e con Miho le regole per una fruttuosa e pacifica convivenza. Le ha messo a disposizione lo sconfinato parco naturale di Villa Madre, ma Miho se n’è fregata, dimostrando una volontà di libertà superiore a qualunque grande giardino. Riusciva in quella che ritengo un’impresa impossibile e molto pericolosa. Prendeva la rincorsa e spiccava un salto, neanche fosse la figlia del trottatore Varenne, sfiorando gli spuntoni affilati sul bordo del cancelletto e ritrovandosi dall’altro lato, con tutta la città a sua disposizione. C’è voluto un po’ perché capisse che Villa Madre non è una prigione. Non è facile per nessuno modificare le proprie abitudini e convinzioni. Dopo settimane di corso di buone maniere, proprio ieri Madre vantava con me la sua ultima conquista pedagogica con Miho: L’ho addestrata. Non si azzarda più ad afferrare il rotolone di carta e a sparpagliarlo per tutto il giardino. Sì, è diventata bravissima grazie a me. Non pensare che ci voglia molto. Basta parlarci con gli animali, magari alzare un pochino la voce. Lasciarli liberi di sbagliare per poi spiegar loro i propri errori, e indicargli la strada giusta da percorrere. Dargli un premio quando si comportano bene, e una sculacciata quando si comportano male. Lo diceva pure Maria Montessori!
    Qualcosa nello sguardo della cagnolina non mi convinceva, ma Madre era così fiera di sé che non ho approfondito l’origine delle miei strane sensazioni. Stamattina esco per una breve commissione all’Ufficio Postale e lo scenario che mi trovo davanti si posiziona a metà fra l’esilarante e il drammatico. La faccia di Miho dice chiaramente: Sono pronta a fare qualsiasi cosa ma, ti prego, non dirlo a Madre!

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  • Leggo spesso che in Italia di bravi autori giovani non ce n’è traccia, che i grandi editori mandano in stampa soltanto le biografie dei calciatori, i libri di racconti delle rockstar fra palco e realtà, e i romanzi di Barbara D’Urso e Pupo. E spesso lo dico anch’io. Che cacchio, se fossi Flavio Insinna, avrei pubblicato il mio nuovo romanzo da 2 anni. Ma non sono Flavio Insinna, non conduco Il Braccio e la Mente, né ho condotto La Corrida su Canale5. Ne consegue che Mondadori può aspettare. Io do parte della colpa di questa crisi culturale, editoriale e di lettura, in Italia, proprio agli addetti ai lavori. Non è difficile notare la virata verso una letteratura che rimbomba, perché rimbombano i nomi divenuti noti in ambiti che coi libri non c’entrano niente. Come dare torto a chi pubblica la biografia ufficiale di Del Piero se la settimana dopo è prima in classifica? Siamo al punto che uno che desidera raccontare storie deve inventarsi prima un modo per finire sulla bocca di tutti e, solo dopo, la storia da scrivere. Magari proprio quella che gli ha portato l’improvvisa notorietà dopo aver commesso un delitto. Ammazzare qualcuno è, oggi come oggi, in assoluto la strada più gettonata verso la celebrità. E dalla celebrità al libro è un attimo. Del Piero ancora no, Amanda Knox forse sì. Comunque una speranza resta. Se è vero che questi qui vendono diecimila volte più di quelli che non hanno vinto nessun campionato di calcio, al massimo quello del fantacalcio in terza liceo, non hanno mai presentato una trasmissione in tivvù, né ammazzato qualcuno diverso da qualche moscone appiccicoso con l’arrivo del caldo estivo, è vero anche che i narratori puri non si sono ancora estinti, e non sono tutti da geriatria ospedaliera. È il caso di Fabio Genovesi, che non sta fermo un attimo. Classe 1974, esordisce nel 2007 con la raccolta di racconti Il bricco dei vermi, uscito a tiratura limitata. L’anno successivo tocca al primo romanzo, Versilia Rock City (Transeuropa), più volte ristampato. Collabora con Vanity Fair, La Lettura del Corriere della Sera, La Repubblica, Il Tirreno e Satisfiction. Nel gennaio 2011 Mondadori pubblica il suo secondo romanzo, Esche vive, che lo porta all’attenzione del grande pubblico trovando il successo anche all’estero. E nel 2012 ristampa Versilia Rock City. Quando pensi che ci stia benissimo un momento di pausa, ti sorprende con Morte dei Marmi, uscito proprio oggi per la collana Contromano dell’editore Laterza. E allora quale giorno migliore per segnalarvi l’intervista che ho realizzato per 4 Chiacchiere (contate)! Ecco la prima chiacchiera.

    Il tuo caso è emblematico della “prepotenza” della passione, che entra nelle storie condizionando, direi piacevolmente, l’autore. So che stai lavorando al nuovo romanzo e allora ti chiedo subito: con ‘Esche vive’ pensi di aver esaurito l’argomento pesca oppure hai in mente nuove catture?

    L’argomento pesca è inesauribile, perché è grande quanto tutti i mari e i fiumi e i laghi e gli stagni e i fossi, e quanto l’umanità. Ma non mi piace scrivere libri su un argomento, preferisco raccontare storie, storie di posti e di persone che fanno cose. Dentro poi ci finiscono le mie passioni, che per fortuna sono tante, ma ci finiscono come i cassonetti nei fiumi in piena, che passano e raccattano tutto. È come i famosi “contenuti”, se parti a scrivere pensando a quelli ti ritrovi in mano pagine meccaniche e plasticose. Io racconto una storia, come uno racconta quel che gli è successo o ha visto succedere ad altri, come uno racconta un sogno o un incubo o una barzelletta. Se poi il contenuto ci si tuffa dentro è splendido, ma ci si deve tuffare da solo, non lo devi spingere te.

    Le altre 3 le trovate nella pagina dell’intervista su Sololibri.net. Vi consiglio di salvare fra i preferiti il blog di Fabio, e di chiedergli l’amicizia su Facebook, ne sarà felice. Oltre a leggere i suoi libri; Esche vive innanzitutto, secondo me.

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  • Mi sono spuntate delle micropalle cicciose sotto il mento, trasparenti e piccole piccole. Sarà conseguenza della rasatura speedy di stamane. Ero in ritardo e non esiste andare al lavoro con la barba non fatta. Non esiste per chi mi paga, mica per me. Io la taglierei solo per estrema necessità, e basta. Quando sta per toccare terra, per non dover raccogliere, camminando, tutto quello che qualcun altro ha gettato; per non sembrare un accattone che preleva e nasconde, all’interno della propria lunga barba, cianfrusaglie e sporcizia di cui, arrivato a casa, farne un sol boccone. Non amo farmi la barba perché sono solidale con la pelle del mio viso. Al passaggio della lametta sanguina come la Madonnina di Civitavecchia. E adesso le micropalle cicciose. Forse arriverà Fox Mulder a mettermi in guardia perché: Quelle sono uova aliene, e tu diventerai presto un Alien alto 3 metri pieno di bolle pustolose! Dana Scully al seguito lo smonta: Dai Mulder, gli alieni non esistono! Proprio in quel momento la luminosità si attenua. Un’ombra cala sulle cose. Dana alza gli occhi al cielo e vede una navicella spaziale coprire il sole. Sì, è proprio un UFO. Non potrebbe essere altra cosa. E’ esattamente così come ce l’hanno descritto nei film, nelle fotografie e Paola Barale a Mistero. Un disco volante con tante lucine intermittenti che mi risucchia a bordo attraverso una luce fluorescente. L’ultima immagine che conservo è Dana che guarda Mulder incredula e poi, quando il disco volante si è ormai allontanato a velocità supersonica fino a sparire nel buio: Mulder, dov’è finito Matteo? Non vorrai mica farmi credere che è stato rapito dagli alieni!
    Potremmo spiegare le micropalle come l’avvertimento che qualcosa sta per cambiare. Che gli alieni stanno arrivando, così come ha annunciato Pier Fortunato Zanfretta, guardia giurata di Genova rapito dagli alieni e ributtato sulla Terra più e più volte. Prepariamoci perché il finale del 2012 si annuncia strabiliante. Ma le micropalle potrebbero anche essere uno sfogo, una richiesta d’aiuto della pelle che non ci sta alla notizia del bagno di folla per Fabio Volo. In Fiera, a Torino, legge Dante e racconta le sue passioni letterarie. Intanto se Dante fosse ancora vivo, e malauguratamente avesse deciso di ascoltare Fabio Volo così, tanto per farsi un’idea, da scettico insomma – uno una possibilità gliela vuole pure dare (io no, ma in generale non condanno chi lo fa) – scommetto che si sarebbe suicidato non appena avesse sentito la sua voce pronunciare la parola Dante, cioè il suo nome, il sommo poeta, lo scrittore in lingua volgare. Durante di Alighiero degli Alighieri, mica Fabio Scolo! Visto che per fortuna Dante è morto già – prendete quel per fortuna con le pinze del buonsenso –  di sicuro, durante le letture del Volo, si sarà messo a fare capriole e salti mortali carpiati, fino a rimanere incastrato nella bara in una disperata posizione di scomodità. Immagino il brontolio dei vicini di tomba esasperati da tutto quel baccano. Anche perché Dante mica li faceva orrori del genere. Twitter palesa al mondo ciò che gli editor hanno fatto tanto per celare in anni e anni di duro mestiere, dai meriti quasi mai riconosciuti pubblicamente. Chissà perché Fabio Volo non si fa editare pure i tweet. Alcuni arguti naviganti di buona volontà hanno ritrovato molte delle sue frasi celebri e più condivise, nel pensiero di antichi filosofi, che Fabio Scolo si è limitato a trascrivere in un Italiano un po’ più ganzo. L’idea che lui viva ricco e famoso con le frasi degli altri, morti di fame, mi fa raccapricciare i testicoli ed, evidentemente, spuntare micropalle cicciose sotto il mento. Comunque pure quest’anno la Santa Fiera è finita. Il bilancio è negativo, ma non troppo. Infatti, se è vero che le vendite rispetto all’anno precedente sono crollate di un abbondante 11 %, l’affluenza è aumentata. Saranno contenti gli organizzatori e i gestori dei bar del circondario, un po’ meno gli editori. Per presentare il proprio catalogo nell’occasione editoriale più importante dell’anno pagano fior fior di quattrini di stand. Se poi neanche vendono, tornano a casa galvanizzati da centinaia di contatti nuovi e belle parole, promesse di collaborazioni che non ci saranno e le valigie piene dei libri degli altri che non leggeranno, ma con le tasche sempre più vuote o, come dice il buon Jovanotti: piene di sassi, e gli scatoloni pieni dei propri libri non venduti e un po’ più sgualciti dall’ennesimo viaggio della speranza.
    Piccolo aggiornamento lampo: Solo per oggi trovate 1Q84 di Murakami Haruki a 1.99 sul Kindle-Store di Amazon. Ve lo dico perché io, che l’ho pagato 20 euro e lo sto leggendo in queste settimane, sto rosicando a morte. Fra poco arriverò al 70 % del gomito divorato. Voi approfittatene!

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sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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