• Ieri sera sono andato al cinema, quello brutto brutto che m’è parso un po’ più bello. È l’unica multisala rimasta e mica per colpa del terremoto. L’Aquila, nonostante la promettente Accademia dell’Immagine, non si è mai dimostrata ghiotta di cinema e cinematografia. Ci accontentiamo di quello che passa il convento, che son sempre i soliti 4 o 5 film delle classifiche e tiriamo avanti con quelli. Ero indeciso fra Com’è bello far l’amore, per farmi 2 risate di quelle stupide che ogni tanto ci vuole, e Quasi Amici, anch’esso una commedia con promessa lacrimuccia malinconica per il tema trattato. Da una parte questo pensiero, dall’altra il 3D che applicato a un film e non a un’animazione mi pare tanto una forzatura. Poi sinceramente indossare i grandi occhiali di plastica nera, da quando ho letto che favoriscono il diffondersi della congiuntivite, mi fa schifo, come pure i 10 euro del biglietto. Questa serie di valutazioni, unita al consiglio spassionato della fanciulla bigliettaia: Andate a vedere Quasi Amici! È meraviglioso e me ne prendo tutta la responsabilità, mi ha convinto a preferire la sensazionale commedia divenuta, con 20 milioni di spettatori, il film più visto di tutti i tempi in Francia.
    Il ricchissimo aristocratico Philippe, reso paraplegico da un drammatico incidente col parapendio, ha bisogno di una persona che si occupi di lui in tutto e per tutto, che sia per lui braccia e gambe: che lo lavi; lo vesta; lo faccia passeggiare sulla sua sedia a rotelle; lo imbocchi; lo aiuti a superare le frequenti crisi di dolore che lo sorprendono nella notte; legga e risponda per lui alle lettere di una donna che non ha visto né sentito mai, con la quale da mesi intrattiene una poetica corrispondenza, terrorizzato dall’eventualità che incontrandolo possa disprezzarlo per la sua condizione. Assume Driss, un ragazzo di colore della periferia appena uscito di prigione con una storia alle spalle difficilissima fatta di responsabilità troppo grandi; una famiglia piena di bimbi cresciuti in un buco con un filo d’acqua per lavarsi; bocche che hanno fame e sua zia, la donna che l’ha adottato e su di lui ripone aspettative non ricambiate, che da sola deve sobbarcarsi tutto il peso e l’impotenza dati dalla consapevolezza di non potercela fare a costruire un futuro felice per tutti loro, già dalla nascita condannati a una vita di strada. Driss non è pratico del mestiere, anzi sembra la persona meno adatta a occuparsi dell’aristocratico, eppure giorno dopo giorno lo strano connubio si trasforma in un’amicizia solidissima che va oltre il dovere e diventa complicità, nella scoperta per entrambi della vita vera nonostante tutto. Quasi Amici (il titolo originale è Intouchables) racconta l’incontro di 2 mondi lontanissimi ribadito continuamente da elementi in totale contrapposizione: l’eleganza di Philippe e i suoi abiti sartoriali contro le tute sportive di Driss; il linguaggio, un perfetto incontro e scontro tra dizione impeccabile e slang da periferia; così come i gusti musicali, in bilico tra Vivaldi e gli Earth.
    Quello che voglio dire e scrivere e ribadire e sottolineare ed evidenziare è che Quasi Amici fa ridere fino alle lacrime. È una commedia semplice, ariosa, fatta di contrasti esilaranti efficacissimi. Ridi per tutto il film senza storcere il naso mai. Ridi tanto che t’innamori delle loro vicende. La lacrimuccia finale non è di dispiacere o di compassione, ma di gioia per la bellezza di una storia vera raccontata nel libro autobiografico Il diavolo custode, che leggerò, di Philippe Pozzo di Borgo, uomo d’affari francese diventato tetraplegico nel 1993 in seguito a un incidente col parapendio. Immobile e senza sensibilità dal collo in giù, a salvarlo dalla morte dell’anima è stato Abdel, strano badante di colore, tutt’altro che gentile e affidabile, proveniente dalla periferia degradata di Parigi. Scrive Philippe:

    È insopportabile, vanitoso, orgoglioso, brutale, superficiale, umano. Senza di lui sarei morto di decomposizione.

    E poi la colonna sonora firmata dal nostro Ludovico Einaudi è un brividino continuo che fa drizzare tutti quei peletti rimasti a dormire sulle braccia per troppo tempo. Ha risvegliato il tessuto epidermico emozionale che non risentivo da un po’ e sono felice di aver potuto constatare il suo ottimo stato di salute. Ascoltate Fly e Una mattina e capirete perché sono così entusiasta di aver scelto Quasi Amici.

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  • Scrivendo un’email mi è tornato in mente Il principio del dolore di Adam Haslett. Lo comprai su consiglio di un estraneo. Il passato remoto non mi piace, però è obbligatorio quando si parla di accadimenti lontanissimi, posizionati in un vecchio quadro in cui ero come oggi non ammetterei neanche sotto tortura. Aspettavamo che ci facessero entrare. L’ospedale chiude le porte imponendo orari pure alla generosità e all’affetto. Io leggevo Ammaniti, se ricordo bene Fango. Lui fissava la copertina da una delle seggiole di plastica azzurre di fronte a me. È quello che faccio sempre anch’io quando vedo qualcuno che legge, sufficientemente vicino perché, nonostante la miopia in lento, ma inarrestabile aumento, abbia qualche possibilità di decifrare il titolo del libro fra le sue mani. Vesto l’eventuale incrocio di sguardi da pura casualità. Strizzo gli occhi e li punto sul titolo, o su una porzione della copertina che per colori e figure possa ricordarmi qualcosa. Non so cos’è che mi spinge a infilarmi nelle letture degli altri, forse il desiderio di possederle.
    Mi aspettavo che non dicesse nulla e invece a un certo punto sento la sua voce che mi domanda: Hai letto Il principio del dolore di Adam Haslett? Alzo gli occhi dal libro e trovo i suoi che mi fissano. Aspetta una risposta da uno sconosciuto, il cui solo fatto di appartenere alla rara specie dei lettori lo avvicina. Io non solo non avevo letto Il principio del dolore, ma non avevo neppure mai sentito nominare Adam Haslett, così risposi: No, non lo conosco. Sul suo viso la tipica espressione delusa dell’entusiasmo che si impoverisce di energia. Mi rispose: Dovresti farlo, Adam Haslett è 100 Ammaniti e pure Eliot e un pizzico di Samuel Beckett. Al momento di entrare non mi preoccupai di salutarlo a dovere. Dentro la stanza mi dimenticai di lui e mai mi domandai perché si trovasse lì e per chi. Il mio amico stava bene. Mi ricordo che mi fece ridere tantissimo, nonostante i tubicini al braccio e quell’odore che fa dell’ospedale un luogo tristemente familiare.
    L’Aquila è una città in cui capita di incontrare qualcuno anche 3 o 4 volte nel corso della stessa serata, eppure da allora non lo rividi più. Per me che non seguo quasi mai un consiglio, considero abbastanza straordinario l’essere uscito il giorno dopo apposta per andare in libreria a cercare Il principio del dolore. Si trattò di uno di quei particolari consigli che escono dall’altrui bocca, ma è come se fossero stati partoriti all’interno della tua mente. È là che continuava a ronzare questo titolo straordinario. Il principio del dolore, il momento esatto nel quale il dolore nasce, ma anche luogo del cuore dove resta al caldo e si nutre silenzioso fino alla maturità di esplodere. Si tratta di una raccolta di storie sul lutto, sulla vita che finisce, sulla follia, sull’infelicità senza colpa. I personaggi sono gente per bene, psichiatri, studenti, agenti immobiliari che all’improvviso si ritrovano in un tunnel buio e senza uscita. È così che succede. Il destino non guarda in faccia nessuno, nemmeno il portafogli o la posizione sociale che occupi. L’impotenza di fronte alla malattia fa da collante alle storie. L’impotenza che porta con sé il peso dello sconcerto dato da un interrogativo dilaniante proprio per la sua stessa semplicità: Perché è capitato a me, al mio equilibrio, alla mia salute mentale, alla mia felicità di frantumarsi a terra come una boccia di cristallo?
    Tutte le storie conducono a uno stesso approdo, di fine, di buio. Non importa la strada, i tentativi per eludere il tempo, per salvarsi. Quello che mi ha colpito del linguaggio di Adam Haslett è la naturalezza con la quale elenca le eventualità del male che fa capolino in un momento quotidiano come 1000 altri prima di quel giorno, in una passeggiata sul lago, in cucina, sul divano del salotto, stesi su un prato, al supermercato. L’autore lo racconta senza imporsi la delicatezza che siamo certi o eravamo certi fosse necessaria nel narrare ferite che qualcuno ce le ha davvero da curare, con le quali abituarsi a convivere. Forse è proprio in questa verità d’espressione senza censura che sta il rispetto, in questo dire le cose come stanno attraverso un linguaggio essenziale, dolce e amarissimo. Il dolore strazia pur essendo contenitore di buonissimi sentimenti, e molto spesso sono proprio i buoni sentimenti a generarlo.
    È un libro molto bello, che vi consiglio se non temete di farvi male stringendo nelle mani il dolore.

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  • Ci sono aggiornamenti sullo stupro di gruppo subìto da una ragazza ventenne di Tivoli fuori da una discoteca di Pizzoli, nell’immediata periferia aquilana, del quale avevo scritto qua. Il ragazzo, trovato fuori dal locale coi vestiti sporchi di sangue e accompagnato in questura per essere ascoltato, si chiama Francesco Tuccia ed è un militare irpino. Ci sono altri 3 sospettati iscritti sul registro degli indagati, un commilitone di Montaguto e uno aquilano e la ragazza di quest’ultimo, che formavano il gruppetto che la notte dell’11 febbraio festeggiava al Guernica.
    Francesco Tuccia ha dichiarato di aver conosciuto la studentessa e averla rimorchiata, come si fa con le automobili in panne, insomma. Qualcuno li ha visti più volte baciarsi durante la serata, poi i 2 sarebbero usciti per appartarsi e avrebbero avuto un rapporto sessuale consenziente. Queste dichiarazioni mal si incastrano con le condizioni in cui è stata ritrovata la ragazza: in una pozza di sangue, in fin di vita, sulla neve e sul ghiaccio, alle 3 di notte, da sola.
    A stabilire se questa è la verità saranno gli esami tecnico medico legali a proposito del grado delle lesioni. Lei, ancora ricoverata all’ospedale San Salvatore, si è sfogata con la madre: Ho capito che potevo morire. Quelli mi volevano uccidere. Parole che evocano una barbarie di gruppo, altro che rapporto consenziente!
    Immagino che un militare indagato per un reato disumano, quale è lo stupro di gruppo a una ragazza trovata svenuta e condotta all’ospedale assiderata, venga perlomeno sospeso e invece no. La novità è che i 3, in attesa che si faccia chiarezza, restano in servizio e il loro battaglione sarà di pattuglia a L’Aquila per l’operazione Strade Sicure. Davvero troppo per il Comitato 3e32, troppo anche per tutte le persone che stanno alimentando l’onda di indignazione che attraversa Twitter, dove anche Fiorella Mannoia ha fatto circolare l’appello che io condivido nei princìpi e su questo blog.

    Ci sembra assurdo ma apprendiamo che ieri i tre caporali del 33esimo reggimento Acqui indagati per lo stupro di Pizzoli sono rientrati in servizio dopo un breve congedo nel giorno in cui lo stesso reggimento ha preso il posto degli Alpini nei servizi di pattugliamento del centro storico nell’ambito dell’operazione Strade Sicure. Ci sembra il minimo quindi chiedere al 33esimo Reggimento Artiglieria Acqui e alle istituzioni competenti che i tre caporali indagati per il violentissimo stupro vengano immediatamente sospesi dal servizio in via precauzionale e che di questo venga reso nota pubblicamente. Vogliamo la certezza di non trovare questi indagati per stupro a svolgere un qualche ruolo di tutori dell’ordine nell’ambito di un’operazione chiamata Strade Sicure. In caso contrario non ci verrebbe più data la possibilità di fare distinzioni. Abbiamo sempre criticato la militarizzazione della nostra città come abbiamo sempre detto che il garantismo per noi è un valore. Questo però non è garantismo, è omertà complice degli stupri e della cultura della sopraffazione che li sottende. Non possiamo stare a guardare.

    Comitato 3e32

    Se questo pensiero appartiene anche a voi condividetelo come meglio ritenete e più potete.

    *Aggiornamento lampo: Qualche ora fa il caporale di Avellino Francesco Tuccia è stato prelevato dai carabinieri nella caserma Campomizzi dell’Aquila ed è stato arrestato. Al giovane militare sono stati contestati i reati di tentato omicidio e violenza sessuale. Non si conosce al momento la posizione degli altri 2 soldati sospettati.

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  • Madre è preoccupata per me pure se non lo dice. Il madre-pensiero le sibila nelle orecchie: State attenta maestà! Il vostro primogenito sta piombando nel tipico baratro depressivo, con direzione suicidio per assunzione di psicofarmaci e superalcolici nella vasca da bagno. Fate qualcosa, regina Madre! E così ieri mi ha domandato con tutta la preoccupazione che la sua finta leggerezza svela: Senti un po’, ma tu non esci mai? Io ho risposto: Di meno. Mi diverto più in Villa, coi miei libri. E lei ha avuto tutte le conferme del caso: sto per fare una brutta fine, perciò deve controllarmi a vista. Non sa che io invece coi miei libri ci sto bene, trascorro ottime serate più che per le strade di una città che non riconosco. Sto leggendo la Recherche di Proust e l’Eleganza del riccio in cui la portinaia Renée cita Legrandin, personaggio snob della Recherche, un ingegnere che lavora a Parigi e trascorre i fine settimana e le sue vacanze a Combray. Questa è la prova che i libri parlano fra loro e parlano a me, cosa che per Madre è identicamente preoccupante e incomprensibile alla discesa degli extraterrestri sulla Terra, il medesimo motivo per cui disprezza Eugenio Finardi, cantautore fantascientifico.
    Madre chiude le persiane di legno della mia stanza per paura che, in un momento di estremo sconforto notturno, possa lanciarmi dal balcone del primo piano. Da qui non mi romperei neanche un dito; con tutta la neve che c’è sotto l’unica morte possibile sarebbe per affogamento. Incolla post-it indirizzati a me ovunque. Sul frigorifero: All’interno trovi il barattolo di sugo. Sul ripiano sopra il lavello: Scegli fra gli spaghetti e le mezze penne rigate. Sulla lavastoviglie: I piatti sono sporchi. Sul termostato che regola il riscaldamento: Se hai freddo puoi abbassare di un grado la temperatura sopra la quale vanno in ON i termosifoni. Sull’anta dell’armadio: Prima di prelevare una maglietta pulita finisci di sporcare quella che indossi già. Su una delle mensole della mia libreria: Preparati a sgomberare tutto che devo aspirare la polvere che la tua carta puzzolente produce.
    I libri per Madre sono soltanto dei maledetti accumulatori di polvere, le bestie infestanti di Villa Madre da affrontare armata del panno elettrostatico Swiffer per epurarli della grigia calotta che li ricopre. Non solo, sono anche la mia doppia perdita di tempo perché:
    – Leggerli mi distoglie dallo studio, occupando quasi tutto il mio tempo al di fuori del lavoro.
    – Scriverli mi distoglie dallo studio, occupando il quasi del punto sopra, il resto cioè del mio tempo libero dopo o prima del lavoro.
    Però poi li legge, i miei, e li commenta. Tutti brutti, troppe parolacce, frasi troppo corte oppure troppo lunghe, personaggi scadenti che le ricordano cose che conosciamo. Tranne uno del quale non sapeva nemmeno l’esistenza. Quando pubblico un libro non le dico niente perché so che non l’apprezza. Una valigia tutta sbagliata, che ho dedicato a mio nonno, il madre-papà che è stato un po’ anche il mio, pure se dire nonno non è meno di papà. L’ho fatto perché il merito di quel piccolo libro, e credo degli altri 2 che ho scritto e di quelli che spero scriverò, è molto suo. Mio nonno ha saputo essere determinante nel poco tempo che ci è stato dato per conoscerci e aiutarci a vivere. Ma quel che più mi sorprende è la sua capacità di risultare determinante pure ora che non mi può parlare con la voce. Ho scritto 14 febbraio, contenuto nella piccola grande Valigia di storie malinconiche e, allo stesso tempo, piene di possibilità. Racconta di lui e dei modi che inventa per ricordarmi di insistere, perché i sogni sono fatti per essere realizzati, mica per diventare il rumore dei giorni; per ricordarmi che c’è con la sua mano grande e con la voce che non è quella che utilizziamo tutti i giorni noi per comunicare, ma riesce ad arrivare ugualmente attraverso i suoi segni ingegnosi. Proprio in questo momento un gigantesco blocco di ghiaccio si è staccato dal tetto ed è franato sul mio balcone producendo un gran frastuono. Volete che creda che è stata soltanto la pioggia a spingerlo giù? Non è mai solo come appare, non è mai l’inanimato che muove la materia.
    Un pomeriggio sono rientrato prima del solito e ho trovato Madre in camera mia, che si affannava a rimettere a posto la copia del libro, ancora fra le sue mani, e a scansare le lacrime dagli occhi. Non ha detto niente, ma il suo sorriso era un Grazie. Lei sa di aver avuto un papà straordinario, ora sa che lo credo anch’io e di questo ne è felice. Da allora parliamo più spesso di mio nonno, dei miei atteggiamenti così simili ai suoi. Per noi è come averlo a cena e fare una chiacchierata con lui. Questo è merito di Madre, che lo tiene in vita ben oltre il ricordo.

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  • Rocco Papaleo chiama Noemi sul palco e Madre si drizza dalla madre-poltrona: Zitti tutti che devo vedere come s’è conciata stasera! Qualche istante di sconcerto e poi il grido nel vuoto: Turchese! Turchese, con quel rosso in testa. Pure gli orecchini turchesi! Prima fucsia, poi verde smeraldo con la giacca da pinguino da circo e oggi turchese!
    Io la imploro di farmi ascoltare la canzone per bene, almeno un paio di proposizioni del testo per capire grosso modo di cosa tratta, ma lei non recepisce e continua a inveire: T-U-R-C-H-E-SE! Aaahhh, non ci posso credere! Sembra una gigantesca nuvola di pioggia. Ma questa sta fore de testa!
    Ogni volta che tocca a lei esibirsi, Madre si trasforma in Danielona del pubblico parlante di Uomini e Donne, quella donnona bionda che hanno di recente arrestato per detenzione e spaccio di stupefacenti, per capirci, e urla imponendo le sue considerazioni ai presenti. Tanto alto era il tono della sua voce, che a momenti non smetteva di cantare pure Noemi. Immaginate il sollievo di Madre quando è uscita la classifica provvisoria, ottenuta dal televoto incastrato coi voti dell’Orchestra Sinfonica di Sanremo. Noemi quarta, era stata sconfitta. Madre, nonostante il terzo posto della coppia D’Alessio + La Non Vedente, poteva finalmente chiudere gli occhi e abbandonarsi al tanto anelato sonno di pace, cullata dalla morbidezza centenaria della madre-poltrona, altro che dinamismo e modernità di Global Relax! E invece non era finita, perché la sala stampa doveva giocarsi la golden share, questa specie di jolly che si sono inventati per rimettere a posto i danni che può fare la gente da casa coi cellulari. La golden share aveva il potere di far salire l’artista scelto di 3 posizioni. I giornalisti hanno votato Noemi, magicamente rientrata nel terzetto finale scavalcando Giggino e Loredana. Madre, quando ha sentito Gianni esclamare a gran voce: Noemi torna in gara per la vittoria finale, ha riaperto gli occhi e con la bocca impastata: Che è successo? Io: La sala stampa ha puntato la golden share su Noemi, che ha superato Loredana Bertè e D’Alessio e ora potrebbe vincere Sanremo. Madre scuote la testa come quando ti chiedi se questo è un incubo oppure la realtà e poi: Bisogna inventarsi qualcosa. Un televoto aggiuntivo per farla rientrare in gioco, magari in duo con Noemi, se no Loredana Bertè si suicida.
    Quando Arisa nel corso della sua esibizione finale dice la parola vomito, Madre si volta verso di me e: Che modi sono? Ma si dice vomito a Sanremo? Io: È per enfatizzare il malessere, la tristezza che ha provato e che vuole comunicare attraverso un’immagine fisica. Lei: Sì, ma poteva dire una parola diversa. Mal di pancia, dolori addominali, ma non vomito! Io: Va be’, mica è la pubblicità dell’enterogermina! Madre subisce Emma senza proferire parola fino al punto della canzone: Se sapesse che fatica ho fatto per parlare con mio figlio, che a 30 anni teme il sogno di sposarsi e la natura di diventare padre.  Continuando a fissare lo schermo del piccolo apparecchio televisivo sulla credenza, sotto a piatti e bicchieri usciti in regalo con Nutella, ha emesso un verso che era un misto di eh e mmm d’approvazione, che io ho interpretato come un intimo dialogo fra lei ed Emma, che si conclude con un: E lo dici a me? Allora vorrei dire a Madre e a Emma che, nonostante i miei trent’anni, io non temo il sogno di sposarmi né la mia natura di diventare padre. Il ritorno di Noemi nuvolone da pioggia ha portato la tempesta in cucina: Non aveva previsto un cambio d’abito? Io: Che ne sapeva che sarebbe arrivata fra le 3 superfinaliste! Madre non tollera questo vivere la vita un po’ come viene. Lei è per la programmazione totale degli eventi. Noemi doveva pensare intanto che quel rosso accecante sta bene solo col nero e poi, dopo aver calcolato il numero massimo di esibizioni, farsi preparare un ugual numero di begli abiti scuri da indossare. No che, dopo essere stata rimessa a sorpresa in gioco per la vittoria finale, si ripresenta sul palco con quel turchese che Madre proprio non riesce a guardare per più di un paio di istanti, al contrario di quello di Geppi, che torna sul finale con un abito molto simile con la differenza che lei ha i capelli neri e che la fa sbellicare dalle risate, più per le cose che dice, che per la maggior parte non comprende a pieno, ma per il tono e i modi. Madre si sbellica e avrebbe fatto vincere il Festival a Geppi Cucciari e invece si è ritrovata Emma con la palma d’oro in mano e ha commentato così la vittoria finale, stremata da un’attesa francamente troppo: Beh, non poteva andare a finire diversamente. Con quel turchese dove voleva arrivare quella Noè!

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  • In quel di Sanremo proprio non riuscivano a farsi una ragione dell’eliminazione di quei 4 gran capolavori della canzone italiana. Così Gianni ne ha rinfilati dentro 2 con un televoto aperto da Marzullo all’una di notte. In quel momento, davanti alla tivvù, erano rimasti solamente i parenti dei cantanti, a russare in sincronia con Madre sulla sua madre-poltrona, che aggiungeva al tipico verso un altro frammisto di soffio catarroso e sbuffo brontolone. Intanto all’interno del teatro, già ormai oltre la quindicesima serata, si consumava la prima edizione della Sagra dello Sbadiglio a Bocca Larga, con gli occhi degli spettatori imploranti: Famme torna’ a casa Gianni, che so 5 ore che sto seduto qua dentro. Me manca l’aria e m’è venuto il culo a forma de poltroncina.  Non è un caso che siano rientrate in gara proprio le due coppie Carone-Dalla e D’Alessio-Bertè, ribattezzata da Madre: La Non Vedente, per via di quei brutti occhiali neri che non toglie mai, tranne quando si parla della sorella e, ci auguriamo tutti, quando guida di notte. Ce li vedo i 4 artisti eliminati nei camerini ad auto-inviarsi gli SMS. In 2 raddoppia il credito, raddoppiano i messaggi e raddoppia la possibilità.
    Mi piacerebbe avere la forza interiore di stendere un velo pietoso sull’esibizione del duo accompagnato da quella silhouette di Macy Gray, ma proprio non ci riesco. Gigi D’Alessio che canta Almeno Tu nell’Universo è una pericolosa induzione al suicidio violento, quasi come Rocco Papaleo che fa: Ritorna a casa foca, se no poi non si gioca. Macy Gray sudava litri di Grappa e Amaro Alpestre. Aggrappata alla stecca del microfono, ondeggiava alla ricerca di un equilibrio che le permettesse di non franare sul palco e ritrovarsi al centro della Terra, finché non è potuta uscire per dirigersi verso la più vicina sede degli Alcolisti Anonimi. L’hanno definita l’erede di Whitney Houston, appunto. Mi ha fatto troppo ridere il racconto delirante di Gigi D’Alessio su Macy Gray che avrebbe tanto insistito per incidere in Inglese un suo pezzo. Non oso immaginare quanti litri di superalcolici le avrà fatto ingerire prima di farle ascoltare la demo della canzone.
    Per la gioia non soltanto di Madre, l’eliminata e non ripescata Irene Fornaciari si dimostrerà l’eccezione alla regola che vede trionfare nelle vendite gli ultimi posti di Sanremo. Come tale sparirà, inghiottita dall’oscurità, meritatissima dai figli di mammà raccomandati pure da papà. Escono i Marlene Kuntz, quelli che il rock è tornato sul palco dell’Ariston, come dice Gianni. Sì, però poi è tornato a casa, mano nella mano con Patti Smith. Because The Night ha mandato in confusione Madre, che ascoltava la voce graffiante della sacerdotessa del rock e vedeva un uomo: Ma è un maschio o una femmina ‘sto Patti? Quando è entrato José Feliciano, si è sentita un po’ in colpa scusandosi per poco prima: Se avrei saputo (ogni tanto toppa qualche congiuntivo) che ci stava un non-vedente vero, non avrei mai dato della non-vedente a Loredana Bertè, e io ho pensato allo scandalo dei falsi invalidi. Poi ha aggiunto: Per far sedere José Feliciano a momenti non chiamavano la Protezione Civile. Arisia (ha detto proprio Arisia con la i) lo tirava a destra e a sinistra finché non è riuscita a piazzarlo su quello sgabello. Il senso di colpa di Madre evidentemente non disincentiva il suo perseverare nel commento diabolico. E non era finita qua; aveva qualcosa da dire pure sulla Ugly Betty de noantri: Ma questa uno stilista non ce l’aveva, che s’è presentata a Sanremo con la scamiciata estiva delle massaie che vanno alla spiaggia?
    A Nina Zilli bisogna dire che Mina è ancora viva, prima di esorcizzarla comunque per sicurezza. Si è convinta di essere la sua reincarnazione. Peccato che non si renda conto da sola che lei e Mina hanno in comune tanto quanto un Lindor e un tocco di cacca, a malapena il colore. Di fronte all’eleganza di Skye dei Morcheeba, mi ha ricordato quelle scalmanate da balera che saltellano sul posto con un boccale di 0.5 doppio malto in mano e poi cascano sul parquet, sbattono la testa e dicono: Ahia! Vorrei raccontarvi la rabbia assassina provata da Madre all’ingresso di Noemi, nel cui volto io continuo a vedere Chucky, il bambolotto assassino, che s’è scelta come accompagnatrice la figlia di IT, il clown assassino di Stephen King. Madre non la perdonerà mai per:
    – Aver interpretato Amarsi un po’ di Lucio Battisti neanche fosse il tormentone dell’estate, di quelli che si ballano in discoteca alle 5 del pomeriggio. Amarsi un po’… tunz tunz tunz. Madre non sopporta che vengano interpretate le canzoni di Lucio Battisti a prescindere, se non da Maurizio Vandelli, che l’ha stregata alla Festa dell’Arrosticino di Arischia. Interpretarle in tal brutto modo poi è farle del male e farla arrabbiare sul serio.
    – Averla sfidata. Dopo l’uscita di scena dell’altra sera, col risvolto fucsia che mal si sposava col rosso fuoco dei capelli, ieri ha avuto il coraggio di presentarsi con una giacca da pinguino circense verde smeraldo, tutta tempestata di brillantini. Madre non c’ha più visto: Ma questa è normale? Sembra una Big Babol al gusto cocomero! Io le ho risposto: Noemi è prima su iTunes! Lei ha chiuso il discorso perentoria: Pure Gianni Morandi ha venduto miliardi di copie, eppure mica si veste come… come… la Matia Bazar!
    Sono andato a dormire auto-canticchiandomi la mia personalissima nanììì… nanììì… nananna. Buonanotte!

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  • Visto che quel deficiente di Aldo Grasso, che scrive sul Corriere della Sera ha fatto un pezzo su Sanremo, lo faccio anch’io. Mi auto-nomino il deficiente che scrive su MatteoGrimaldi.com, senza stare a scomodare Celentani e Morandi vari. Per carità, hanno già il loro gran daffare per inscenare nuovi intensi momenti televisivi dopo lo sclero posticcio di Pupo, che si alza dalla poltroncina e si mette a sbraitare contro Celentano e Morandi. Non ho capito quale fosse il suo problema. Mi ha ricordato quei malati mentali che, nei film sugli ospedali psichiatrici, aggrediscono il dottore nel corridoio, con in mano un bisturi rimediato in sala operatoria da un’infermiera compiacente. Il discorso sulla Consulta che getta nel cestino un milione e 200mila voti potrebbe essere giusto e coraggioso, soprattutto se fatto su Rai1, peccato che quei 3 risultino meno credibili di Eric, Thorne e Ridge di Beautiful che litigano nel salotto di Brooke Logan per la presidenza della Forrester Creation.
    Il molleggiato d’oro giallo, come i suoi denti finti, che a me, con tutto il rispetto, pareva più un vecchio col Morbo di Alzheimer che non si ricordava dove aveva lasciato il bicchiere d’acqua, in uno spazio di un metro e mezzo quadrato – dietro l’auricolare chi c’era a suggerirgli, Gianni Boncompagni? – se la prende prima con i preti, che non sponsorizzerebbero abbastanza il Paradiso, con tutti i malati terminali che ne avrebbero grande beneficio, dice,  poi se la prende con i giornali cattolici Famiglia Cristiana e l’Avvenire che sono ipocriti, non gli garbano e quindi vanno chiusi; infine con Aldo Grasso che, in pieno stile serata-parolaccia, inaugurato da un Luca e Paolo volgari e inefficaci, oltre che noiosi, praticamente irriconoscibili, lo definisce appunto quel deficiente che scrive sul Corriere della Sera. Aldo Grasso oggi, sulle pagine del Corriere della Sera, al termine del suo articolo sul Festival mette un P.S.

    Mentre scrivevo questo pezzo mi sono arrivati gli insulti in diretta da Sanremo. Ma non ho altro da aggiungere.

    Quella che si dice una risposta da gran signore di fronte a un cantante che ha scelto di apostrofarlo volgarmente davanti a milioni di telespettatori.
    Di tutti quegli effetti speciali ne vogliamo parlare? Aerei che lanciano missili sull’Ariston; gente fucilata che cade morente sul palco; urla, sangue, mine vaganti… ma cos’era quella roba? Doveva entrare Adriano Celentano, quello di 24mila baci per intenderci, mica la reincarnazione di Muammar Gheddafi! Davanti alla tivvù, a quell’ora, ci sono bambini, signore massaie, nonne e bisnonne e pure Madre che, superato a fatica il momento critico, ogni volta che ripartiva qualche sirena della Polizia, dalla madre-poltrona si udiva sibilare sepolta da mille coperte: Oh no, ariecco i bombardieri! Non si fa, signori della televisione. È Sanremo, la festa della musica italiana, mica una puntata di Terra dedicata alla guerriglia esplosa ad Atene, con Capuozzo in diretta dalla piazza mentre quelli lì, all’interno dei loro palazzi, decidevano di approvare la povertà. Madre s’è svegliata più volte di soprassalto, quando ha visto e sentito i Marlene Kuntz non vi dico lo shock.
    Ascoltare le canzoni, che dovrebbero essere le protagoniste della manifestazione – lo dicono tutti gli anni, ma poi razzolano male e fanno cantare gli artisti alle 3 di notte – non è stato facile, per colpa intanto delle canzoni, che francamente non facevano nulla per farsi ascoltare, e per colpa di Madre che se la prendeva per qualcosa che poco aveva a che fare con testo e musicalità, e non la finiva più. Come quando è entrata Noemi. Madre ha iniziato a inveirle addosso: Come ti sei conciata? Non lo vedi da sola che il rosso dei capelli fa a cazzotti col fucsia della giacchetta? Non ce l’hai uno specchio? Sei diventata cieca tutta assieme? Insomma, non la finiva più con questa storia dell’abbinamento, perché per lei era solo quello il problema, ma davvero non riusciva a transigere. Alla fine ha sentenziato: Questa non mi piace, le darei 2. Invece ha apprezzato Dolcenera, ripetendo per tutta la durata dell’esibizione: Come sta carina! Come sta carina! Io tentavo di creare qualcosa di simile al silenzio, ma lei non ne voleva sapere: Come sta carina! È la stessa che me la ricordo che urlava imbrattata di nero, coi capelli a forma di porcospino? Ma tu guarda come s’è aggiustata e… come sta carina! Per me è 9. Chiara Civello l’ha liquidata con un: Questa non l’ho mai sentita, quindi 0. Non potevano chiamare Gianna Nannini o Fiorella Mannoia? Madre è rimasta molto colpita dalla generosità che le 2 hanno dimostrato per L’Aquila, le vorrebbe vedere e sentire da tutte le parti; il suo raziocinio è convinto che gli organizzatori del Festival abbiano preferito Chiara Civello a una di loro. Il picco di non-ascolto e furia di Madre c’è stato al momento in cui il figlio del ciabattino di Monghidoro ha annunciato Irene (Zucchero) Fornaciari. Io ho tentato di distrarla chiedendole di andare a controllare la stufa a pellet. Mi sarebbe piaciuto riuscire a scovare nell’esibizione della Fornace almeno un gene, uno solo del bravo papà, ma Madre ha reso la ricerca davvero impossibile. Si è scoperta di botto, lanciando le coperte a terra e rizzandosi in posizione d’emergenza, di vedetta sulla madre-poltrona al grido: Ecco la raccomandata! La indicava col dito e le dava suggerimenti costruttivi: Devi cambiare mestiere. Non comunichi niente, ma proprio niente. Poi si volta verso di me e ribadisce: Niente! Peggio di te che canti Perdere l’amore di Massimo Ranieri alle 2 di notte. Questa un giorno ve la racconterò.
    Stasera non potrò seguire il Festival. Scrivetemi se si è ripresa la modella ospedalizzata, che sono preoccupato; se hanno compiuto l’ardua impresa di ripristinare il complicatissimo sistema di voto, andato in tilt alla seconda canzone; se Pupo è riuscito a sfuggire alla morsa della camicia di forza. Varie ed eventuali deliranti sorprese, che le leggo quando torno e rido.

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  • Questa luce nuova, che attraversa la stoffa della tenda della mia stanza e mi raggiunge, sbatte sul cielo e lo colora di un azzurro diverso. Sarà l’abitudine forzata a 10 lunghi giorni di straordinarietà naturale, scesa a granelli leggeri che, alla poesia della scenografia, hanno aggiunto ghiaccio malinconico che non basterà questa luce nuova a sciogliere. Però che sole!
    Cambio e ricambio idea. Non sono mai stato tanto confuso come in queste settimane. È il peso delle decisioni che preme sulla schiena e, quando diventi grande e grandi diventano pure le decisioni, non è sufficiente una forza casuale. Quella che sento io quando rifletto e penso: So cosa è giusto fare innanzitutto, il resto si vede poi. Eppure riesco a rimandare con modi fantasiosi e impegni nuovi che intrecciano ancor di più i 4 o 5 gomitoli di questi anni. Prendo in giro me stesso e scelgo di restare fermo in questa gabbia di onde, di fuoco, di salti in aria, di ricadute sulla superficie dura di un pavimento di cotto neanche pregiato.

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  • Sabato notte, fuori la discoteca Guernica di Pizzoli, nell’immediata periferia aquilana, una ragazza di 20 anni è stata aggredita e stuprata. Luigi Marronaro, il gestore del locale, faceva il consueto giro di chiusura e si è accorto di lei in gravissime condizioni, stesa sulla neve, al gelo di queste temperature artiche. È fuori pericolo, comunque sotto shock, tuttora ricoverata all’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Ha subìto diversi interventi chirurgici, con punti di sutura nell’area genitale. Presenta numerosi lividi; durante l’abuso è stata anche picchiata. Non è aquilana, è nata a Tivoli; L’Aquila l’aveva scelta per i suoi studi.
    Per il momento non si hanno informazioni ufficiali sul responsabile o sui responsabili; voci interne alla procura parlano di 3 militari. Il Sindaco di Pizzoli Angela D’Andrea ha dichiarato: Da quanto in mio possesso non risulta che le persone coinvolte siano di Pizzoli.
    Questo mi fa intuire e sperare che gli inquirenti siano vicini all’individuazione precisa e all’arresto di chi ha commesso uno scempio di tale ferocia, e che ci sia una condanna esemplare. Un giovane militare, in zona al momento del ritrovamento della ragazza, è stato a lungo sentito. Avrebbe negato lo stupro, parlando ai carabinieri di un rapporto sessuale consenziente. Il condizionale per ora è d’obbligo.
    Questo episodio drammatico capita a poche settimane dalla sentenza della Cassazione che ha stabilito non essere obbligatorio il carcere in presenza di reato per stupro di gruppo. La sentenza è disponibile per intero in Internet (clicca qua). In sostanza va a capovolgere quella del 2009, quando si stabilì che per i reati sessuali, al pari dei reati di mafia, fosse obbligatoria la custodia cautelare in carcere. Quindi, chiunque era gravemente indiziato di aver commesso un reato sessuale doveva aspettare il processo in carcere. Nel 2010 la Corte Costituzionale ha ritenuto che tra i reati di mafia e i reati sessuali non poteva esserci comparazione, perché i primi sono riconducibili ad associazioni criminali e i secondi di solito vengono eseguiti individualmente. Sempre la stessa Corte aveva ritenuto che l’obbligatorietà del carcere agli imputati di reati sessuali fosse incompatibile con l’art.3 della Costituzione (tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge). Pertanto i colpevoli di questa ennesima violenza aspetteranno il loro giorno del giudizio probabilmente in stato di libertà o semi-libertà, ma non in carcere.
    Vi lascio con le parole di Simona Giannangeli, avvocato aquilano del Centro Antiviolenza per le Donne, che parla anche a nome delle sue colleghe, ma direi delle donne tutte.

    Siamo piene di rabbia, di quella rabbia antica e familiare che si scatena quotidianamente dentro di noi che accogliamo ogni giorno le storie delle donne intrise di violenze commesse da mariti, fidanzati, conviventi. Perché ancora uno, due, tre, quattro ragazzi o uomini hanno disposto del corpo di una donna come di un territorio di caccia, segnando con crudeltà la vita di questa ragazza. Lo stupro di una donna tocca ciascuna di noi in profondità. Ci saremo quando si svolgerà il processo e ci costituiremo parte civile, per rivendicare il diritto intangibile a vivere libere dalla violenza degli uomini.

    Da aquilano, da uomo, da essere umano, da essere, mi vergogno. Il dissenso è ovvio e naturale come la mia vergogna.

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  • Ieri mi ha svegliato un SMS con scritto: Guarda fuori!
    La sera prima ero rientrato poco dopo mezzanotte. Debolissima, scendeva fino a diventare abbastanza. A letto non ci avrei scommesso un centesimo su quella polverina trascinata dal vento, che ieri mattina ricopriva già la ringhiera del balcone. Ha smesso giusto il tempo per farmi arrivare a lavoro. Poco dopo pranzo ha ripreso, stavolta sul serio. Quando la neve cambia passo, te ne accorgi. È come se ti dicesse: Fino ad ora abbiamo giocato, adesso non si scherza più. A L’Aquila tutto paralizzato. Le pale da neve sono aumentate da 5 euro a 28 euro, fra poco saranno quotate in borsa. Noi ci chiudiamo in casa, mangiamo arrosticini e beviamo vino rosso; niente di nuovo. Mi dicono che la situazione era persino più grave a Pescara e a Chieti dove le temperature più miti, rispetto ai 6 o 7 sotto lo zero aquilani, hanno aiutato sì, ma la neve, che non ha smesso un istante di scendere per tutta la giornata.
    Il ciclone di vento e fiocchi di questa settimana, forse finita, non è la sorpresa dell’Uovo di Pasqua, che anche lì, al di là del colore dell’elicottero da montare o della pietruzza dell’anellino di plastica, sono sempre piuttosto prevedibili. Il suo nome è Blizzard, la bomba bianca. Mi fa pensare a un film d’azione con protagonista Francesco Schettino nella parte del comandante dell’aereo precipitato fra le nevi perenni del Kilimangiaro, Sabrina Misseri nella parte della passeggera cattiva che, per non morire di fame, dà un morso al braccio della cuginetta morta assiderata sul sedile accanto, Salvo Sottile nella parte del commissario Rex con la Palombelli che lo porta a fare i bisognini attorno al rottame del velivolo, Federica Sciarelli nella parte della ricercatrice dei dispersi e Licia Colò, collegata d-alle falde del Kilimangiaro, a controllare che l’impatto non abbia causato l’estinzione di nessuna specie animale e/o vegetale.
    Resto sempre stupefatto dalle grandi idee di chi fa tivvù. L’altra sera Alessio Vinci di Matrix, in collegamento telefonico con un ragazzo abruzzese rimasto bloccato per giorni, in vista dell’arrivo di Blizzard, gli consigliava di cercarsi una destinazione provvisoria per tutta la settimana. Lui gli ha risposto che ha gli animali a cui badare e forse avrebbe voluto anche dirgli che gli alberghi costano. Magari a 5 stelle e al caldo, a Sharm El Sheik… come ha fatto a non pensarci da solo? Per la serie: Vinci, grazie di esistere!
    Intanto il nostro eroe, il Signor Sindaco Cialente Massimo, evidentemente invidioso dell’onnipresente telecamerato Manno Ale, si è fatto intervistare a Porta a Porta dal Vespone Bruno che, nonostante le sue origini aquilane, soffre di una bruttissima allergia all’argomento terremoto. Glissa, non ne vuole parlare e, quando il Sindaco lo infila a trabocchetto nella discussione sul maltempo, il Vespa chiude subito il collegamento timoroso della biscia impazzita: Ci sono anche altre persone in studio che devono parlare. Ottimo motivo per ricominciare a disquisire di neve, freddo e tubi congelati quando si poteva parlare della sofferenza di una non-città. Peccato, anzi meno male che in studio fra gli altri c’era Vasco Errani, presidente della Regione Emilia Romagna e della conferenza delle Regioni, che interviene interrompendo Vespa e mandando all’aria il suo tentativo di cambiare argomento: Direttore, una riflessione su quanto detto dal Sindaco non la facciamo? Vespa china il capo e tira su il culo puntuto in posizione di allerta. La vita a L’Aquila sembra essersi fermata al 6 aprile del 2009, continua Errani. Vedere queste immagini dopo 3 anni, dopo il miracolismo vissuto, fa venire la pelle d’oca. A quel punto Vespa deve replicare per forza. E allora specifica, sottolinea, evidenzia che la colpa è tutta degli aquilani che sono scemi e incapaci, e che l’unico errore del passato governo è stato quello di affidare a loro la ricostruzione. Cialente forse avrebbe anche ribattuto qualcosa delle sue, se non fosse che qualcuno aveva provveduto a oscurarlo (per rivedere lo spezzone, clicca qui). Ho pensato: Ci hanno fatto fuori il Signor Sindaco. E invece no perché ieri era in collegamento con La Vita in Diretta dove una Mara Venier d’altri tempi, struca el boton come ce la ricordiamo noi, prima gli fa i complimenti per il suo intervento da Vespa, col quale in effetti è riuscito a scatenare un discreto vespaio, e poi scoppia a ridere e continua per minuti per una battuta di Cialente che vi riporto, ma tuttora non capisco: Signora Venier, da quando ho chiuso le scuole per neve, il gradimento da parte dei nostri studenti nei miei confronti è salito di moltissimo. Ora sono secondo solo a Babbo Natale. Mara Venier rideva come neanche a uno show di Fiorello, mentre io cercavo le mie braccia cadute a terra non so dove. Se solo Cialente desse un’occhiata ai social network di tanto in tanto, si renderebbe conto cosa scrivono di lui i nostri studenti. E comunque mica l’ho capito che c’entra Babbo Natale che è tanto buono e si fa un mazzo tanto per far felici milioni di bambini in tutto il mondo. Poi telefono a Mara e me la faccio spiegare.
    Il sole di stamattina mi ha fatto ricordare che in Italia non ci sono solo navi che affondano e cugine che ammazzano cugine. C’è anche un paziente affetto da una forma di sindrome mielodisplastica, dei bravi dottori e un ragazzo pescarese di 33 anni, l’unico compatibile su 5400 donatori di midollo osseo iscritti all’Admo Regione Abruzzo, che di Blizzard se ne fregano. Ecco, queste cose (clicca qui) mi piacciono tantissimo.

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sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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