• Col countdown di Barbara D’Urso si apre ufficialmente l’ultimo anno dell’era che il calendario inventato dai Maya chiama dell’oro, la cui conclusione cade, come ben sapete tutti, il 21 dicembre prossimo. Naturalmente, il solo fatto che il calendario finisca non prova che il mondo o la vita finiranno. Scrivere un post sui Maya mi alletta giusto un pelino di più che scriverlo su Fabio Volo. Volevo capirci qualcosa pure io su come erano fatte le agendine maya, quindi eccoci qua. Mente aperta e occhio vigile, tuffiamoci nel meraviglioso oceano del mistero, della magia, della scienza (delle puttanate. Ehm) e vediamo dove andremo a finire.
    Intanto di previsioni catastrofiche sulla fine della nostra umanità ne sono state fatte millemila. S’è sbizzarrito pure Gesù Cristo che esclamò: “1000 e non più di 1000!”. Ricordate? Sono parole dell’Apocalisse, in cui a un certo punto si dice: “Dopo 1000 anni Satana sarà disciolto” che vuol dire liberato. Bene, siamo al 2012 eppure di Satana qua, eccezion fatta per il Berlu e la Vanna Marchi, ancora non se ne vedono all’orizzonte. Non che ne sentiamo la mancanza, per carità, però se ha toppato Gesù Cristo in persona, è presumibile che possano farlo a breve pure i Maya, posto che intendessero far corrispondere il termine del loro complicatissimo calendario con quello della permanenza dell’uomo sulla Terra. Capire se questa della fine del mondo è una teoria percorribile, oppure se si tratta della solita credenza amplificata dal vociare popolare e da chi ci vede danaro zampillare, come acqua da una sorgente miracolosa, non è cosa facile. Vi anticipo subito che non ci riusciremo. Quello che il post si prefigge è fornire qualche informazione in più per ragionare da soli, senza dover ricorrere al solito gioco del telefono senza fili.
    Intanto ripassiamoci la definizione di calendario, che non è il conto alla rovescia fino alla fine del mondo, ma un sistema adottato dall’uomo per suddividere, calcolare e dare un nome ai vari periodi di tempo che sono appunto le date del calendario. Il calendario Maya, chiamato anche calendario Azteco, a livello di concetto non è molto diverso dal nostro detto Gregoriano, né da quello di qualunque popolazione che intenda misurare il tempo e dare un nome ai giorni. Il nostro arriva al 31 dicembre e poi ricomincia, quello Maya è basato su più cicli di durata diversa.
    – Il ciclo Tzolkin aveva una durata di 260 giorni ed era un calendario religioso.
    – Il ciclo Haab aveva una durata di 360 giorni, più i 5 giorni fuori dal tempo. Era un calendario civile legato alle stagioni che per durata corrisponde al nostro singolo anno, con la differenza che il loro era composto da 18 mesi di 20 giorni dai nomi fantasiosi. A questi si aggiungevano 5 giorni chiamati Uayeb, con i quali si raggiungeva la durata di 365 giorni. Questi 5 giorni erano considerati particolarmente sfortunati perché non appartenevano a nessuno dei mesi del calendario.
    – Il Lungo computo indicava il numero di giorni dall’inizio dell’era Maya.
    È proprio l’interpretazione di questo Lungo computo ad aver causato la nascita della sventurata previsione. I giorni sono numerati con uno strano sistema. Invece di scrivere i numeri come facciamo noi, con ciascun posto che rappresenta un multiplo di 10, i Maya avevano a disposizione solo 5 posizioni. La prima registrava un numero da 0 a 20. A sinistra, il secondo posto poteva avere un intervallo tra 0 e 17; il terzo da 0 a 19; il quarto da 0 a 19 e l’ultimo da 1 a 13. I numeri erano scritti da destra a sinistra, come nel nostro sistema, separati da un punto. Invece di multipli di 10, la prima posizione aveva multipli di 1 (come il nostro sistema); la seconda posizione aveva un multiplo di 20; la terza posizione un multiplo di 360; la quarta un multiplo di 7200 e la quinta un multiplo di 144000.
    Quindi un numero del Lungo computo ad esempio poteva essere scritto come 4.12.5.9.0 e sarebbe stato calcolato come segue:
    (4 x 144000) + (12 x 7200) + (5 x 360) + (9 x 20) + (0 + 1) che corrisponde a un lungo conto di 664391 giorni, cioè circa 1820 anni.
    Non è difficile realizzare che il massimo numero che può essere registrato in questo modo sarebbe 13.19.19.17.20. Questo ammonta a un numero di lungo conto di 1.872.000 giorni o 5125.36 anni dei nostri moderni calcoli. Attraverso gli anni, gli archeologi hanno trovato monumenti scolpiti che registravano il lungo conto per date conosciute nella storia Maya. Una volta che una data veniva fissata nel tempo, era semplice determinare quale fosse il giorno 1, che risulta l’11 agosto 3114 a.C. Ed era anche semplice calcolare la data in cui il calendario sarebbe finito: il 21 dicembre 2012. Naturalmente il solo fatto che il calendario finisca non prova che quel tempo, o il mondo, o la vita pure finiranno.
    Secondo i Maya, ciascun ciclo del Lungo computo corrisponde ad un’era del mondo; il passaggio da un’era all’altra è segnata dunque da un cambiamento positivo preceduto da eventi più o meno significativi. Ho detto prima che il numero più a sinistra va da 1 a 13: questo significa che, quando per effetto dei riporti precedenti questo numero supera il valore 1, deve fare wrap around e ritornare ad 1 invece di continuare con 14, 15, ecc. Detto questo, il giorno successivo al 12.19.19.17.19, se ho fatto bene le elementari, sarà semplicemente 1.0.0.0.0. Cosa facevano i Maya quando la cifra più a sinistra cambiava? Festeggiavano, dato che per loro era come una specie di Capodanno.
    Il 21 dicembre insomma si resetterà un intero ciclo. Ebbene, vedete voi una connessione tra questo evento e la presunta fine del mondo? Io no, poi boh. Magari scoppia la Terra, che ne so.

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  • Alle 7 AM in punto facevo una cosa seduto comodo sulla tazza del cesso azzurro del primo piano di Villa Madre, quello destinato ai maschietti. Mentre eseguo quella cosa lì, ne devo sempre trovare un’altra da fare contemporaneamente per distrarmi. Se no, se mi concentro troppo, accade che, ciò che è per natura preposto all’espulsione, invece rimane dentro per dispetto. Visto che stamattina mi sono destato in modalità moderatamente anno-nuovo-vita-nuova, comunque molto invernale, sempre mentre il corpo si dedicava alla spinta, ho esplorato lo shop del mio Nokia 33 trentini, risalente all’epoca della storica nevicata del ’56, e ho scaricato un tema in linea con l’umore nevoso. Non so se l’hanno sparata pure sul monitor del mio telefono, come stanno facendo con gli impianti sciistici di mezza Italia, fatto sta che l’immagine dello sfondo adesso è semicoperta dall’effetto soffocante della neve. Al di là del suono, nessun segno di esistenza di nuovi messaggi e chiamate. La bustina lampeggiante posso soltanto immaginarla, perché è sepolta dal bianco candor.
    Nonostante i seguenti 3 problemini tecnici…
    – Leggo soltanto l’ultima cifra dei minuti e io non ho mai avuto un orologio da polso. La data mi sforzo di ricordarla; se non sbaglio dovrebbe rimanere la stessa per l’intera giornata. In compenso c’è la neve.
    – Mi accorgo di un messaggio almeno 3 ore dopo, idem per le chiamate perse; il telefono di squillare non lo sento mai perché penso che non è mai il mio. In compenso c’è la neve.
    – Dal momento in cui l’istallazione del tema invernale è andata a buon fine, ogni volta che prendo il telefono fra le mani vengo attraversato da un oggettivo brivido di freddo. Ne sono certo, per questo ho specificato oggettivo. In compenso c’è la neve. BRRR!
    … mi garba. Quando cambio qualche impostazione grafica, ne ricevo un beneficio psicologico enorme al punto di convincermi di ciò che in effetti proprio non è. Ho chiamato il mio telefono iPhone, per dire. Può capitare per il troppo entusiasmo. Quando gli ho chiesto un caffè doppio in tazza grande, mi sono reso conto che no, non è un iPhone. Ieri sera guardavo l’iPhone (vero) di Niccolò appoggiato sul tavolo, poi gli occhi cadevano sul mio e mi veniva da vomitare.  Ieri ho festeggiato il mio personalissimo Capodanno con una sera di anticipo. Non era programmato che fossimo così in tanti. Quella che doveva essere una piccola gita fuoriporta per riabbracciare un amico, ché senza gli amici proprio non vale la pena secondo me, si è trasformata in una cena mega. Per la maggior parte ci siamo conosciuti a tavola. Abbiamo mangiato e brindato a volontà con dell’ottimo vino rosso che più andava giù e più il bicchiere si riempiva. Un antipasto di bruschette, salumi, pizze fritte e prosciutto e formaggio fritto che così mai nella vita e poi arrosticini e vino a non finire; hanno dovuto legarmi le mani alla sedia. Perdo il senso della misura toccando la condizione del pesce rosso, che più mangime gli butti nell’acqua e più lui mangia, finché a un certo punto esplode. Io stavo per esplodere. In viaggio per L’Aquila ho riflettuto su quanto poco serva a fare tanto, per me e per qualcuno, se fa piacere, se c’è unione. Mi accorgo che il segreto di un’amicizia durevole nel tempo infinito sta nella capacità di dirsi: Ti voglio bene.
    L’ADSL è tornata come per magia, a ora di pranzo del 31/12, poi mi dicono che non devo credere alle apparizioni di Medjugorje. Paolo Brosio ha tutta la mia stima, e ne avrà ancora di più se riuscirà a ottenere da Mary Altissima che l’ADSL rimanga sulla terra di casa mia per tutti i secoli dei secoli, o almeno finché non sarò costretto a dipartire anch’io.
    Intanto, col panettone ripieno di gelato ancora per molto sullo stomaco, sono arrivato alla fine di questo ultimo post dell’anno. Fra poco, fuori la finestra esploderà la gioia, più roboante del solito vista la voglia di buttarsi questi mesi alle spalle sperando in giorni un po’ migliori. Vado a brindare con Madre che, poco dopo il dolce, ha affrontato uno degli argomenti a lei più cari: la fine del mondo.
    “Fra meno di un anno tutto il mondo finirà tranne in uno sperduto paesino della Francia. L’hanno detto Voyager e Toni Capuozzo.”
    “Ancora non inizia il nuovo anno e già deve finire tutto?”
    “Finirà e pure male!”
    “Ah, e come mai? Ci saranno violentissimi terremoti? Erutteranno i vulcani di tutto il mondo? Precipiteranno meteore grandi come continenti?”
    “No, la Terra farà un movimento diverso e poi si scatenerà l’inferno.”
    “Ma la Terra fa gli stessi identici movimenti da milioni di anni!”
    Madre: “Eh, si vede che si sarà rotta e ne farà uno diverso.”
    Nell’attesa di scoprire quale sarà il passo di danza scelto dal nostro pianeta per concludere lo spettacolo fra gli applausi, proviamo a vivere quest’anno facendo tesoro degli errori passati. Lavoriamo sul nostro carattere per arrotondare gli spigoli, per riempire le mancanze, per dire: Ti voglio bene (Madre) un po’ di più. Ecco sì, quest’anno glielo voglio dire almeno una volta.
    Aggiornamento delle 00.15
    : Madre non ha potuto bere neppure un millilitro di spumante. Ha mangiato così tanto che una sola particella di gas potrebbe farla esplodere. Il suo primo proposito, dalla madre-poltrona: “Basta! L’anno prossimo voglio andare su una montagna e fare il cenone di Capodanno solo con radici ed erbacce lesse. Chi vuole mi segue”. Io mi prendo una decina di mesi per pensarci. Intanto buon 2012 a tutti!

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  • La sua zona è interessata da un problema sulla linea telefonica, annuncia la voce del servizio clienti di Vodafone un istante dopo aver digitato l’opzione 3, quella per ricevere assistenza sull’ADSL. Resto appeso al telefono per quarti d’ora a subire la stessa strofa dell’ultimo singolo di uno dei 2 fratelli Gallagher – non chiedetemi quale – intervallata ogni 5 secondi dall’invito: “La preghiamo di attendere, un operatore le risponderà il prima possibile”. A dire: “Aspetta e spera. Le consigliamo di riagganciare e andarsi a vivere la sua vita” facevano più bella figura. Con la canzone dei R.E.M nell’orecchio, anzi con quella stessa strofa in loop, ho in sequenza e con una mano sola:
    – Riordinato la stanza.
    – Messo a bollire l’acqua.
    La preghiamo di attendere, un nostro operatore le risponderà il prima possibile.
    – Pesato gli spaghetti (è giunto l’atroce momento di tornare a darsi una regolata calorica).
    – Salato l’acqua alle prime bollicine e poi buttato gli spaghetti in pentola.
    La preghiamo di attendere, un nostro operatore le risponderà il prima possibile.
    – Seguito un’intera causa di Forum incentrata sui diritti dei ratti, pubblicità di Eminflex e sentenza incluse.
    – Pranzato con tanto di caffè e barretta ai cereali da 70 kcal, per concludere.
    – Digerito.
    – Fatta pipì e un’altra cosa.
    La preghiamo di attendere, un no…
    – Riagganciato.
    Mi connetto con la chiavetta da 2 giorni. Non so quanti miliardi di megabyte sto scaricando, se sto pagando e quanto. Ma non è questo il vero problema che sta interessando la mia zona, né la misteriosa sparizione di 30 milioni di euro destinati alla ricostruzione. Se li saranno persi, può capitare con gli spicciolini. Magari sono rimasti nella tasca di qualche jeans o giacca. Appena se ne accorgeranno li restituiranno, vedrete. Il solito sfigato io, che in questo lunghissimo 2011 non ho ritrovato nemmeno 1000 lire in una pozzanghera (sono all’avanguardia, e mi preparo già alla dolorosa retromarcia della valuta). La questione che urge immediatamente risolvere ha un nome composto di una sola parola eccitante e agghiacciante allo stesso tempo: Capodanno.
    Partiamo dal presupposto che tutte le colpe sono mie, perché mai come quest’anno ho rimandato continuamente la decisione e, ora che siamo agli sgoccioli, non ho la più pallida idea di come rendere leggendario quello che potrebbe essere l’ultimo Capodanno della Storia, ma anche no (Maya permettendo). Il dubbio, che si ripropone sicuro come la morte è al solito:
    – Cena con gli amici in una graziosa casetta di montagna. L’abbiamo fatto per diversi anni tranne quello scorso, a casa mia. Non potremo neppure quest’anno perché manca, come dire, la materia prima. Il cibo? No, la casetta di montagna che dal terremoto è ancora inagibile.
    – Seratone in un locale. Cenone, brindisi di fine anno con zampone e lenticchie a mezzanotte, Lady Gaga fino alle 6 di mattina e ti organizzano pure i turni al cesso.
    – Cenone in famiglia ed eventuale, ma non certo, brindisi al nuovo anno in giro per la città.
    Togliendo la prima a malincuore per cause di forza maggiore, ché a me le cene tutti assieme nelle casette di montagna fanno tanto senso di vicinanza, ho riflettuto sulla seconda. Non è per gli 80 barra 100 barra 140 euro, cioè sì. Inteso in questo senso però. Io faccio una Muraglia Cinese di rinunce per un intero anno, per mettermi da parte la grana, come una formichina fa col grano, poi arriva Capodanno e bisogna fare i figheiri, rivestiti, lucidi e carichi di banconote ripulite in poche ore. Mi piange il cuore a lasciare 100 euro alla cassa di un locale in cui, alla fin fine, neppure mi diverto granché. Diciamolo chiaramente, io alle 2 comincio a sbadigliare e alle 2 e 20 mi ritrovate buttato su un divanetto umido di gin e lemonsoda a russare pesantemente con tanto di bollicina che esce ed entra dalla narice destra.
    E se quest’anno decidessi di trascorrere il Capodanno a casa con Madre e destinare quei 100 euro a un piccolo dono utile, capace di cambiare in meglio le mie abitudini e desideratissimo da me medesimo? Ecco, sì. Farò così e lo farò oggi. E poi quest’anno l’86 per 100 degli Italiani trascorreranno il Capodanno in famiglia, quindi altro che sfigato, mi sentirò veramente trendy!
    E voi, programmi per la notte più lunga dell’anno?

    Scrivi un commento →: Il mio Capodanno trendy
  • Difficilmente il Natale poteva andar peggio della Vigilia e quindi è andato meglio. Molto del merito va riconosciuto alla capacità tipica di certi esseri umani di imparare dal passato per non commettere gli stessi errori in futuro. Incredibile ma vero, in casa Grimaldi in ciò siamo bravissimi. Anzi sono (loro), ché io, quando ho qualche dubbio, mi taccio e quindi grossi guai non ne combino. Eccezion fatta per quel paio di momenti in cui stava per saltare di nuovo tutto in aria. Basta un commento sulla sfoglia troppo dura del timballo a spingere la pallina di neve. Durante la discesa, cresce di diametro e diventa una valanga, arriva a valle e non risparmia nessuno. Siamo riusciti a selezionare gli argomenti di discussione opportuni in un tacito accordo genetico; ognuno dentro di sé sa quello che deve e soprattutto non deve dire. Intanto mai nulla che abbia a che fare con la vita, più precisamente coi propri piccoli o giganteschi fallimenti, quotidiani o di sempre. Sono quelle le cose che fanno imbestialire: l’essere giudicati, il sentirsi paragonati, uscire sconfitti dall’uno e dall’altro. Meglio parlare della manovra che è peggio di un’inversione in autostrada di notte senza fari, oppure di Berlusconi che rivedremo fra non molto. Abituatevi all’idea. Giusto il tempo per l’Italia di tornare al baratto di pere e patate, e assisteremo alla sua irruzione sulla scena con una frase a effetto del tipo: “Avete visto che io non c’entravo niente?” o ancor peggio: “Prima delle mie dimissioni le cose andavano meglio” il che merita quantomeno il beneficio del dubbio.
    Quando hai in casa anche solo un parente, tutto quello a cui devi badare è tenergli chiusa la bocca su certi punti delicati, che poi sono gli stessi che tutto l’anno tenti di zompettare nei discorsi coi tuoi, che riduci ai minimi termini proprio in virtù del terrore che approdino al porto proibito. Uno fa tanta fatica per 363 giorni e al 364esimo arriva la nonna, neanche si siede che non-lo-dire, non-lo-dire, non-lo-dire!SDENG! (L’ha detto!) E da lì si propaga nei meandri delle colpe radicate.
    “Sei tu che hai rovinato tutto…”
    “Non ti è mai importato niente di niente e di nessuno. La casa… i figli… il nostro f-u-t-u-r-o!”
    E via discorrendo. Ci siamo capiti benissimo.
    Ieri, a differenza della Vigilia, mia nonna è stata più attenta alle parole che mai; certe persino le sussurrava nella mia direzione, quasi a domandarmi il permesso di pronunciarle con un tono di voce più squillante. Devo comunicare che è improvvisamente venuto a mancare il suo consueto regalo a cui tanto mi ero abituato (100 pippi sonanti in busta aperta). Imperdonabile! Non nego che mi ha scombussolato i piani, a partire dal Capodanno che in assenza di money mi sono imposto frugale e riflessivo, più la prima che la seconda. In sostituzione, ha depositato sul tavolo del salotto un set di (2) creme, ma mica creme qualunque, gel!
    – Il gel detergente anti-impurità. La scheda (clicca qui) dice: purifica la pelle delicatamente e in profondità, svolgendo una visibile azione opacizzante. Mi fa pensare che mia nonna voglia combattere la traslucidità del mio faccione, sulla cui esistenza non sono per niente d’accordo, e lo stia facendo con la discrezione di chi offre un chewing-gum a uno dall’alito pestilenziale. A occhio disattento parrebbe un gesto di disinteressata generosità d’animo, invece lo sta facendo solo perché vuole sopravvivere. Sempre dalla scheda del gel: funziona perché l’estratto di Spiraea Ulmaria riduce la secrezione di sebo. Capito? Se nel corso di uno dei vostri percorsi di natura, doveste imbattervi in un cespuglio di ‘sta pianta qui, strappatene un rametto e passatevelo sulla faccia con violenta decisione. Questa cosa del sebo è orrenda e io non la voglio commentare, se non dicendo che non è vero: la mia pelle non sa di cosa stia parlando tal creatore della crema viso, figuriamoci se può secernere sebo. Procediamo col secondo e ultimo prodotto del set.
    – Il gel addominali scolpiti. Non servirebbero altre parole, diamo comunque un’occhiata alla scheda (clicca qui): gel di facile assorbimento, agisce efficacemente sulle zone adipose favorendone la riduzione e il rassodamento. Ora, cerchiamo di capirci. Anche chi non li ha visti sarà d’accordo sul fatto che i miei addominali non assomigliano per niente a quelli stampati sulla scatola. Individuo che, per quanto mi riguarda, al posto della faccia potrebbe avere pure il culo di un maiale, visto che tutto ciò che di lui ci è dato sapere è che si è trapiantato il busto del David di Michelangelo e l’ha rivestito di pelle umana. Questo non vuol dire che io debba applicare sulle ondulate masse del mio petto selvaggio una roba sicuramente gelatinosa, sul miracolosa nutro qualche dubbio, mica per sentirmi parte di una società di figheiri, no. Per piacere a mia nonna!
    Natale salvato in extremis. Il Santissimo Stefano se ne va e chiude il baraccone, mentre respiro con in corpo l’affanno e una stecca e mezza di nocciolato Lindt davanti alla Sirenetta che continua a batterli tutti.
    Quaggiù e in giro leggo uno spirito del Natale sempre più inconsistente, intangibile, spirito appunto. È un caso che nei commenti non sia intervenuto nessuno a tessere le lodi del Natale? Qualcuno che sta facendo già il conto alla rovescia per festeggiare il prossimo?

    Scrivi un commento →: Mia nonna ha chiesto a Babbo Natale un David per nipote
  • Una Vigilia schifosa. Potrei sforzarmi di inventare un post augurale preceduto dal racconto di una serata di Vigilia principesca, a capo di una tavolata di 151 persone allegre, festanti e brindanti. Evito perché tanto siamo io e voi. La verità è che quella che doveva essere la nostra Vigilia di famiglia si è trasformata in una cena triste.
    Madre ha passato l’intera giornata a cucinare.
    “Matte’, quanti sono 2 decilimetri di panna da cucina?”
    Deci che?”
    Decimetri. Dài che è tardi e fra poco viene tua nonna!”
    “Forse decilitri. La panna mica è una distanza che si misura col metro.”
    “Eh, quanti sono? Non mi far perdere tempo ché c’ho ancora 166 euro di pesce da pulire!”
    “Dipende da quanti ce ne sono nel pacchetto.”
    “Qua dice 500 ml.” Lo pronuncia proprio ml senza vocali; non emmeelle né millilitri, ml.
    “Allora devi fare un’equivalenza, da decilitro a millilitro. Prima viene il centilitro e poi il millilitro, quindi…?”
    Accanto alla tempia di Madre spunta la lampadina di Archimede Pitagorico di quando aveva un’intuizione geniale: “Quindi 2 decilitri sono 200 litri!”
    “NOOO!!! Sono 200 millilitri.”
    Madre esausta: “Insomma, quanta cazzo di panna ci devo mettere? 10 pacchetti?”
    “Un po’ meno di mezzo!”
    “E tanto ci voleva? Fammi capire, ma tu ti stai laureando per questo?!”
    L’atmosfera in cucina fra l’ironico e il disperato pareva quella giusta. Ho abbandonato Madre fra i magici fumi del suo regno di pentole e fornelli. Mi ha salutato così: “Oddio, non so da dove cominciare!”. Sono uscito per il classico aperitivo di Vigilia che son quelle cose che, se manchi, ti insultano come se, alla luce della crisi, tu abbia deciso di arrotondare le magre entrate mensili spacciando eroina davanti alle scuole.
    Sono tornato presto e c’era già mia nonna, vestita di un’eleganza rigorosamente cinese che ci tiene a sottolineare. Poi una cosa ha rovinato tutto accendendo uno a uno quegli interruttori che in certe occasioni ci si sforza ti mantenere giù, ricorrendo anche a una conveniente finzione, nel caso serva. Non entro nei dettagli. E quindi via alle danze. Sono volate parole pesanti, in tal caso lontanissime dalla verità. Negli occhi di Madre ho visto materializzarsi una delusione sconfinata. Per il Cenone a lungo pensato e preparato; per l’atmosfera rovinata; per la rinnovata consapevolezza che non siamo proprio ‘sta grande famiglia; per i suoi figli dei quali non è soddisfatta. Mia nonna, a 81 anni, tirava fuori argomenti alternativi per spostare la discussione e salvare il salvabile. La guardavo e ascoltavo, ammirato dalla sua lucida intelligenza. Comunque non si è salvato niente. Mio padre l’ha riaccompagnata a casa alle 23. Madre l’ha salutata con gli occhi arrossati, umidi e carichi di tristezza e rabbia; ha sorriso. Si è seduta sulla madre-poltrona rossa senza sparecchiare. Ha steso le gambe su una sedia ammorbidita da un vecchio cuscinotto e si è appisolata. Io mi sono messo a letto a leggere ‘Trilogia della città di K.’ di Agota Kristof (se non l’avete letto fatelo, perché la solitudine di Lucas e Claus vi resterà impressa nel cuore, e poi è scritto benissimo). Ho spento luce e telefono prima di mezzanotte. Ho rimandato gli auguri al giorno dopo, sperando in un umore migliore.
    Oggi lo spettacolo torna in scena con un titolo diverso: Natale in casa Grimaldi, e gli stessi attori. Tremo all’idea che possa ripetersi identico a ieri sera. Comunque vada, se ne andrà. Tento di raccogliere semi dalla tempesta. Ho capito che devo portare a termine un progetto sbagliato in partenza. Devo farlo per chi ci tiene molto e anche per me, se no non cambio e non cambia.
    E il vostro, che Natale è? Spero bello. Se qualcuno di voi ha ricevuto un dono leggendario da quel Babbo del quale tutti parlano, me lo racconta ché ho bisogno di meravigliarmi?

    Scrivi un commento →: 25/12/2011 – The day after
  • Per me, sopravvivere a un’intera giornata a Roma Capoccia assieme a 2 scatenate dello shopping, che sbavano a Via Condotti, fotografano la vetrina di Dolce&Gabbana con le scarpe nelle cassette della frutta e i cioccolatini sopra, e rapinano Zara, non è cosa da poco. Non riesco a ricordare il momento in cui si è parcheggiata nel mio cuore la cellula di ansia latente che si risveglia ogni volta che compio un’operazione di moto a luogo verso Roma. I sintomi sono i soliti 2.
    – Il respiro si fa sempre più affannoso con l’avvicinarsi della Stazione Tiburtina, per poi bloccarsi definitivamente al momento in cui abbandono l’ultimo gradino del bus. Da quel momento vivo in uno stato di totale apnea che si conclude nel preciso istante in cui rimetto piede sul bus per L’Aquila.
    – Ho paura che qualcuno mi avvicini con la scusa di chiedermi se ho da accendere e all’improvviso mi dia una coltellata o mi spari. Mi succede solo a Roma. Chissà come mai i romani mi ispirano certi pensieri.
    Questo forse prova che sono affetto da Romafobia; se esiste, io ce l’ho. Comunque sto migliorando. Gli addobbi di Natale per le strade. Questa scia bianco-rossa-verde percorre il cielo e ci ricorda che ahimè viviamo in Italia. Meravigliosi e malinconici al tempo stesso. Quando siamo giunti al cospetto del palazzone di Fendi, abbiamo indetto il minuto di silenzio di fronte a cotanta maestosità. Un’immensa cintura di lucine dorate (dalla riconoscibilissima fibiona Fendi un pochetto pacchiana) lo avvolge e sta al centro di una pioggia di stalattiti argentate, che secondo me sono Swarovski avanzati alla signora Carla e riciclati alla bell’emeglio. A pranzo ci siamo fermati in un ristorantino nei pressi di Piazza di Spagna. Primo del giorno + bibita = 7 euro. Ieri orecchiette con gamberetti e zucchine, più precisamente 12 orecchiette, 3 gamberetti (nel piatto di qualche fortunato ne ho contati 4) e una chilata di zucchine. In compenso il cameriere faceva delle evoluzioni ammirevoli ogni volta che c’era da appoggiare un piatto e questo valeva il prezzo di quello che si è rivelato, più che un pranzo, un antipastino leggero leggero. Ho concluso a Spizzico con un triangolo equilatero di 40 cm di lato di Margherita e un’insalatina scondita che io l’olio proprio non sono riuscito a individuarlo. Abbiamo compensato con una cena all’Indiano in zona Colosseo, gestito da una signora indiana credo, – se no che stiamo a fa’? – tanto gentile quanto ferrea padrona. Praticamente ha deciso tutto lei. E per fortuna! Dopo aver letto e riletto il menu c’è mancato poco che mi mettessi a piangere.
    Abbiamo camminato per circa 11 ore e, eccezion fatta per 2 sacchetti di caramelle gommose e ‘Cose Preziose’ di Stephen King, non ho comprato niente. Mi sono rifatto gli occhi con i portafogli Piquadro; quello nero col righino azzurro esercita su di me un effetto afrodisiaco, potrei eiaculare al solo contatto. La Feltrinelli di Galleria Colonna era talmente piena zeppa di gente che non pareva neppure una libreria. La crisi ha abbassato il budget favorendo forse l’acquisto dei libri che fanno fare sempre bella figura, tranne quelli di Fabio Volo, quindi non regalateli, potreste perdere delle amicizie. Non vorrei parlare di Fabio Volo perché l’esperienza mi dice che appartiene a quei discorsi che non ci cacci niente. Ho letto 2 dei suoi romanzi dei quali non ricordo neppure i titoli, e non mi sono piaciuti. E quindi non li consiglierei, mi limito a dire questo. Ho tirato fuori il discorso solo per raccontarvi l’ultima su Twitter.
    Ieri notte, stanco morto e risorto, ho scritto il seguente tweet:

    Twitter la deve smettere di consigliarmi di seguire Fabio Volo. Con tutto il rispetto, No.

    Ecco. Lui (il signor Volo) l’ha letto e l’ha ritwittato, di fatto scagliandomi contro uno stormo di 93mila Volatili, che sono i suoi followers. Un confronto che si è rivelato un’esperienza mistica. Direi una paranormal activity. Un’emozione adrenalinica che non ricordavo dai tempi in cui un fan di Anna Tatangelo incollò un mio articolo ironico all’interno del forum ufficiale della beniamina di Sora e chevelodicoaffà!
    Ognuno c’ha gli uccelli che si merita.

    Scrivi un commento →: Da solo contro 93mila Volatili
  • Mi sono iscritto su Twitter. Se non ce l’hai, sei out, mi dicevano i miei amici. Il brutto è venuto dopo, quando si è trattato di stabilire cosa fare, solo e disperato in una landa deserta di silenzio. È questa la prima sensazione. Sei lì che guardi le nuvolette azzurrine con la barra nera in alto e la scritta twitter con l’uccellino dopo la erre finale. Hai riempito il profilo, messo la tua foto migliore, quella in cui sembri un figheiro con l’occhio languido che sussurra: “Twittatemi!” prima di bagnarsi le labbra con la lingua; bene, e mo’?!
    Non disperare, ben 2 sono le cose possibili:
    – Trovi il modo di farti seguire da un consistente numero di persone e cominci a sparare minchiate a raffiche condensate di una quindicina al minuto.
    – Se pensi di non avere molto di interessante da dire, ma tanta voglia di assorbire quanta più informazione dal mondo, non ti resta che followare (che in Twittese moderno sta per seguire) il mondo intero.
    Così, io e la mia fedele @ (chiocciola) attaccata al culo ci siamo messi in cerca. In un paio di ore abbiamo followato praticamente chiunque. Da Daria Bignardi a Fiorello, da Ivan Cotroneo a Michelle Hunziker, da Salvo Sottile a Gerry Scotti, Valentino Rossi, Elena Santarelli, Pamela Prati. Merda Secca? C’è un utente che si chiama così? Bene noi (sempre io e la fedele chiocciola, che per posizione, forma e consistenza potrebbe essere scambiata per una palletta di cacca, ma è una chiocciola) ti seguiremo Merda! Per non parlare delle case editrici. Ci sono tutte e forse di più. Credo che molte, al di fuori di Twitter, non esistano nemmeno, però lì si sentono pompate da tutti quei follow. 4mila poveri disgraziati che si convincono che basti followare le case editrici e chiamarle in causa con la chiocciolina, in tal caso riuscendo persino a farsi ri-followare, perché un giorno qualcuno li contatti, gli faccia scrivere una roba di un centinaio di fogli di Word per candidarli al premio Calvino, farglielo vincere e pubblicarli. Se le cose andranno come devono andare, loro si riveleranno ognuno il nuovo caso letterario dell’anno, vincitore del Premio Strega e Campiello, un milione di copie fama e ricchezza. No, non funziona così. Dietro quelle chiocciole abitano quasi sempre poveri disgraziati. La differenza fra loro e quei 4mila sta nel compito che hanno: diffondere news e creare attorno al profilo, e quindi alla casa editrice, attenzione e seguito. Ammettendo che riusciate a beccare un editor coi contro-balloons, pensate che non siano sufficienti i 300 manoscritti a settimana che riceve mediamente e i 15 libri che sta editando in contemporanea? Smettete di adularli e inzuppare con la bava il dorso delle loro scarpe lucide, perché non riceverete nulla in cambio.
    Quando poi sono cominciati a comparire nella mia Home tweet del tipo:

    Ho appena dato il 5 a @MioNonno_editore che chiacchierava con @MerdaSecca del suo ultimo libro ‘Quando la merda si fa secca’ davanti a un orange juice sulla terrazza del #Gran #Palace #Mirror #Ritz @Paris_Hilton #Hotel a 6+3 stelle di platino di Londra.

    beh non sono proprio più riuscito a sopportare e ho fatto piazza pulita. Li ho rimossi tutti, ma proprio tutti. Che mi frega di tanto pavoneggiarsi? Il mercato dei libri fa meno fatturato di quello dei lombrichi vivi, la gente preferirebbe donare un organo senza anestesia che leggere un romanzo. Eppure credersela e far partecipi tutti delle proprie piccole insignificanti glorie quotidiane non passa mai di moda. Guai che qualcuno non venga a sapere che a Borgo San Ceppo, vicino alla fontanella delle suore, hai incontrato Ralph Cicciobello, attualmente 39esimo nella classifica dei libri sui bambolotti più venduti. O che ha telefonato in redazione quel tale aspirante autore, magari il primo dopo mesi in cui nessuno ti ha cagato, e lì giù a prenderlo per il culo su cielo, terra e social network che Dio t’ha donato. Cari editori, tiratevela di meno, perché le cose vanno maluccio. Piuttosto, cercate la passione persa per strada e, sulla strada, zaino in spalla, cercate gli occhi di chi sa accendervi con le parole gli interruttori dell’anima e pubblicatelo. Soltanto lui, pure se non è amico di un vostro amico, né il nipote. E smettetela di rompere le palle ai vostri followers con tweet che si capisce a un miglio che li avete scritti per far rosicare.
    Usatelo in modo diverso ‘sto Twitter, che devo dire, mi garba. A proposito, se qualcuno vuole followarmi per farmi sentire un po’ meno solo e per scambiare 4mila chiacchiere con me, lo faccia (cliccando qui) ché io sono contentissimo.

    Scrivi un commento →: Twitter e il pavoneggiamento editoriale
  • Ieri e poi oggi è di nuovo accaduto qualcosa nella parte di mondo che abito.
    A L’Aquila, nel primo pomeriggio di ieri, il cielo è diventato blu. Prima di cena ha cominciato a grandinare. Il ghiaccio rimbalzava a terra e lasciava nei nostri occhi uno stupore poetico che ci trasmettevamo l’un l’altro. Poi è arrivato un vento fortissimo. Il suo urlo furioso mi ha paralizzato, mentre tutto il resto si muoveva e sbatteva, e gli alberi cadevano sulle strade. Sono dovuti intervenire a rimuovere un gigantesco tronco, che tagliava a metà l’asfalto del rettilineo che porta a casa mia. Una volta al sicuro, sotto le coperte e con la radio accesa per non sentire il boato, chiacchieravo in chat con un amico che sta a Teramo. Mi chiede se avesse appena fatto il terremoto a L’Aquila. Io gli rispondo che poteva anche darsi; visto il macello di rumori che arrivavano da fuori magari c’era di mezzo pure una scossetta. Controlliamo e la scossa c’era stata sì, ma con epicentro localizzato proprio a Teramo. Da quel momento la terra ha tremato per tutta la notte in provincia di Teramo. 18 le scosse che si sono susseguite, tutte di magnitudo superiore a 2. La più forte alle 4 di mattina, di 3.4.
    Stamattina mi sveglio e fuori nevica. Fiocchi pesanti, carichi d’acqua. Comincio a scrivere. Ogni tanto butto gli occhi fuori e la neve non smette. Da un certo momento in poi non ci guardo più. Quando smetto di scrivere mi accorgo del sole, che rimane. Il cielo è di un azzurro velato da una sottilissima foschia, però luminosissimo. Lo guardo e penso che è incredibile che si tratti dello stesso cielo di ieri e di poco fa. Come se non tutto avesse bisogno di tempo per mostrare l’altra faccia. Come se il cielo e la terra avessero la capacità di trasformarsi senza percorrere le tappe del cambiamento. Diversi dalla roccia e dal mare che la modifica nei secoli, fino a levigarla e a restituirle una forma nuova ogni giorno. Impercettibile metamorfosi. Il cielo urla, non sussurra. È un segno di potenza e prepotenza.
    Ieri ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte all’ennesimo segnale impossibile da comprendere a pieno, per me che sono un essere umano. Sono andato oltre, perché ho capito che c’era dell’altro in quel vento, in quel frastuono, in quell’abbattersi di tronchi e cartelli pubblicitari, in quei terremoti e in quella neve vinta dal sole. Il linguaggio della Terra che parla, talvolta in modo educato, talvolta urla e calpesta i nostri ragionamenti, sempre per dirci qualcosa che secondo me ha a che fare con la ribellione.
    Vi capita mai di cogliere segnali nelle cose attorno, che non riuscite a decifrare? Di chiedervi per ore cosa significasse quell’incontro, quello scontro, quella coincidenza, quella non-coincidenza? Andate oltre oppure vi rispondete che si tratta di una casualità?

    Scrivi un commento →: Il linguaggio della Terra
  • Sono reduce da una settimana di inutili corse. Appuntamenti e scadenze da rispettare, serate a cui avrei voluto mancare, ma non potevo. Mi fermo un attimo a pensare. Penso pure mentre corro; quando mi fermo, il pensiero si fa più ragionato. È meglio pensare da fermi. Lo analizzo assieme alla logica delle cose. Lo ricostruisco dal momento della sua venuta al mondo. Lo posso capire, perché mi focalizzo solo su quel pensiero.
    Rifletto sulla disgrazia capitata a Francesco Pinna e di conseguenza sul bizzarro modo di muoversi del destino. Penserete che è un argomento ormai fuori moda. Adesso va tanto far finta di essere stato stuprato e denunciare un rom e bruciare i campi rom e sparare sui rom. [Poi, se i rom s’incazzano, c’hanno pure ragione.]
    Non so perché la notizia di Francesco Pinna si sia così radicata nella mia mente da non permettere alle altre di acquisire un grado di priorità superiore. L’età del ragazzo forse: quei 20 anni che, quando li vedo negli occhi degli altri, penso sempre che sono l’età della vita, della passione e del ghiaccio che vuole gelare il mondo. Il lavoro che faceva al momento della tragedia, anche. Lavorava all’allestimento dell’enorme palcoscenico sul quale sarebbe dovuto salire Jovanotti, per la tappa triestina del suo Ora Tour 2011. Un’impalcatura ha ceduto; gli è crollata addosso causando la sua morte e il ferimento di diversi colleghi, uno dei quali ha dichiarato all’ANSA:

    Sai quanto guadagna un ragazzo come lui? 5 euro l’ora. Si può morire per questo?

    Se di euro ne avesse guadagnati 8 o 10, sarebbe rimasto più o meno lo stesso discorso: non si puòdeve morire per questo. Il (mio) punto non è legato alla mole degli incidenti sul lavoro che non accennano a diminuire – solo per citare i cantieri, dovremmo raccontarne migliaia l’anno -, ma al significato che mi sono sentito immediatamente in dovere di dare alla disgrazia di Francesco Pinna. Cerco un senso nelle cose che un senso non ce l’hanno. [Vasco l’ha trovato nei suoi clippini francamente imbarazzanti. Beato lui!]
    L’ho cercato nel terremoto e non l’ho trovato, per esempio. Lo cerco nella morte di un ragazzo 20enne che ama la musica, che si paga gli studi con un lavoro di facchinaggio e avrebbe speso quei soldi per il biglietto del concerto. Beh, non lo trovo, proprio no.
    Jovanotti dice di essere devastato dalla notizia perché, quando si va in tour, ci si sente tutti parte di una stessa grande famiglia. Ma che dici, Jovanotti? Non è vero, non è così. Non c’è nessuna stessa grande famiglia. Ce ne sono molte, diverse, squilibrate per condizione di vita. Quella del 20enne, che inchioda ferraglie per pochi soldi, erige il trono sul quale si accomoda la star e muore, schiacciato dalla necessità del fasto, delle luci che non avrà, ma che si ostina a costruire. E quella di Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, senza colpa, ci mancherebbe, ma che non c’entra proprio niente. I componenti di una grande famiglia si ritrovano la sera attorno allo stesso tavolo, dormono in stanze diverse di una casa comune, se sono lontani si telefonano. Perché, Jovanotti, devi dire che Francesco Pinna faceva parte della tua stessa grande famiglia? Perché lo devono dire gli altri cantanti, amici tuoi, che all’improvviso si sentono protagonisti di uno show che, per una volta, non prevede che siano loro illuminati dall’occhio di bue?
    È  vero che a ognuno tocca convivere col proprio destino. A Jovanotti il suo. E pure a Francesco. Distinti e lontanissimi. Altro che stessa grande famiglia. Questo volevo dire.

    Scrivi un commento →: A ognuno il proprio destino. A Jovanotti il suo e pure a Francesco Pinna
  • Oggi avrei dovuto raccontarvi le stra-galattiche emozioni vissute in fiera. Avrei esordito con qualcosa del tipo: “Proprio non potete immaginare chi ho intervistato mentre faceva la pipì in piedi alla turca dell’unico bagno del Palazzo dei Congressi!”, oppure: “Fatemi subito ringraziare Titti, Nanni, Mimmi, Pussi, Betti, Patti, Babi, Step, Pollo e Gallina per essere passati allo stand e aver creduto in me portandosi a casa una copia di Supermarket24”. Avevo pure pianificato il rapimento della signora Dacia Maraini, nel caso avesse rifiutato il mio invito a prendere un caffè assieme. E invece niente fiera, niente rapimenti, niente emozioni. Alla disavventura di Madre nello scorso post narrata si unisce quella di Papi, la mia amica che avrebbe dovuto accompagnarmi e che l’ultimo (e unico) libro che doveva leggere, ma alla fine non ha letto, è 3 Metri Sopra Ar Cielo che però le hanno rubato sul bordo della piscina (quello sì e il portafogli no) e lei ha pianto. Tanto grande è stato il trauma, che non ha più aperto un libro. Mentre il giovedì si recava al lavoro con un lieve mal di pancia, ha emesso un rutto – così lei descrive il fatto – e, senza avere il tempo nemmeno di accostare e aprire lo sportello, ha riempito l’abitacolo di materiale gastrointestinale espulso dalla bocca. Per la serie: Come rimettere pure l’anima nella propria macchina. Ha fatto dietrofront e ha ripreso la via di casa, alla guida di una vasca di vomito a motore. Per fortuna non è fidanzata con un comune mortale, ma con un Santo martire destinato per direttissima al Paradiso. Il Robi gliel’ha ripulita tutta quanta con le sue nude mani, mentre lei si dedicava a guarire sorseggiando tisane.
    Quello che nello scorso post ho descritto come un giorno NO, ha risvegliato tutte le demotivazioni che, quando si incontrano dopo tanto, si mettono a far baldoria, condividere esperienze e fallimenti e allora altro che i 5 giorni mensili delle ragazze! Oggi va meglio, ma ho la sensazione che il mio umore viaggi ai ritmi della Borsa. Ieri perdeva il 4 per 100 oggi guadagna lo 0 virgola 1 e gioisco prima del nuovo crollo. È un po’ che le cose funzionano male, come in Italia così nella mia vita. Colpa di una gestione sbagliata durata troppo. Sono alla ricerca di una soluzione che mi porti fuori dallo stallo degli ultimi anni che, agli occhi di chi non mi conosce, potrebbero apparire persino eccitanti. La verità è che non sono riuscito a condurre in porto nessuna delle mie navi-obiettivo. Questo è un bel problema. Quando ne parlo, ho la sensazione di non essere capito. Di essere giudicato e io veramente ora non voglio essere giudicato. Non mi sta bene che qualcuno lo faccia, oltre a ferirmi senza scuotermi. Mi giudico già abbastanza (male) da solo.
    Forse bisognerebbe cambiare il reggente, come hanno fatto in Italia. Nominare un governo tecnico per la gestione temporanea della mia vita, che mi riconsegneranno non appena l’avranno rimessa sul binario giusto. Forse io sono come Berlusconi. Mi rassicuro, mi tiro su con le mie barzellette che fanno ridere tutti (davanti a me, poi provano pena appena do loro le spalle) mentre la mia vita va a puttane (ecco che torna la somiglianza col Premier). Nel frattempo mi consulto coi miei vicini di anima. Insieme mettiamo su un piano di risanamento fatto di manovre dure, di ottimizzazione del tempo e delle risorse che io tendo a disperdere giorno dopo giorno. I giorni diventano anni e io continuo a far ridere tutti.
    Saranno mesi di rinunce, per stare meglio poi, fatti di regole ferree e svuotamenti. Bisogna buttar via la spazzatura, le occupazioni che risucchiano e non mi portano da nessuna parte così come le pippe mentali che mi tengono pomeriggi incollato a una canzone triste che mi impantana. Scriverne non fa parte del loop. Significa ammettere che così non va. Scriverne mi serve ad andare dritto verso l’obiettivo numero 1: la mia laurea.
    [La canzone triste è questa. Pure se la mia tristezza non c’entra niente con l’amore.]
    Mi consolo con la foto del bellissimo stand Camelozampa con la sorridente editora Saorin e coi Supermarket24 sparsi qua e là.

    Scrivi un commento →: Poi inventi il modo

sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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