Mi distraggo dall’attesa di una risposta fondamentale raccontandovi qualche episodio che attesta gli effetti devastanti che ha sulla psiche umana mangiare da Mc Donald’s.
Cominciamo da due giovani aspiranti vincitori del concorso Uno Music che ha messo in palio tanti bei premi. Complimenti a chi ha vinto e anche a chi c’ha provato come la ragazzina di borgata che si avvicina al banco: – Ho trovato due numeri, ho vinto!
– Cosa hai vinto?
– E che ne so, dimmelo tu! Ho trovato due numeri uguali quindi ho vinto.
– Da dov’è uscita fuori questa regola? (Che minchia ci vuole a trovare due numeri uguali, visto che in tutto sono sei e le carte le hanno appiccicate pure sul bicchierino del caffè?)
– L’ho letta, aspetta che la ritrovo. Eccola, è scritta lassù!
– Trov-I due carte su ogni prodotto.
– Ecco, io l’ho trovate!
– Quello che c’è scritto lassù significa che sugli incarti delle patatine e sui bicchieri trovi due carte per giocare a Uno. Non che se trovi due carte (uguali?) vinci qualcosa. È un’affermazione, non un’esortazione.
(Vai a scuola, Dio mio!)
È la volta del piccolo ottimista e pure genio decenne.
– Mi dai un 2 azzurro così vinco la macchina?
– …
(Certo, vado di là, te lo prendo e torno!)
Di chi la vuole calda…
– La coca cola l’hai fatta senza ghiaccio?
– Alla ragazza dietro l’ha ordinata senza ghiaccio e io l’ho fatta senza ghiaccio.
Fa un sorso: – Ma è fredda!
– La coca cola, come tutte le bibite alla spina è fredda al di là del ghiaccio.
(La prossima volta vai al bar e prenditi una tisana!)
… e di chi la vuole fredda e ha pure fretta.
– Ma dove la tenete l’acqua, è bollente!
– Se vuole le do un bicchiere di ghiaccio chiuso così…
– E dove vado col ghiaccio! No, no.
– Vuole una qualunque altra bibita? Quelle alla spina sono fredde.
– No, voglio sapere dove la tenete l’acqua che fa schifo calda, e quanto ci vuole per avere tutto quello che ho ordinato che devo andare.
– La teniamo nel forno! Si accomodi sulle strisce gialle, appena sarà pronto le porto tutto.
(Per quanto mi riguarda poteva rimanere là fino al 21 dicembre 2012.)
Chiudiamo con la perla di una fanciulla che, condizionata dall’evidente e frustrante astinenza, si lascia scappare una gaff imbarazzante…
– Un Mc Royal DUREX menù grande, grazie!
– Deluxe?
(Tromba che ti passa!)
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Succede solo da McDonald’s – Tromba che ti passa!
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Posto di blocco sì, cerebrale!
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Scrivi un commento →: Posto di blocco sì, cerebrale!Andato bene il weekend?
Io l’ho condiviso con un’ondata barbarica di adolescenti dall’ormone instabile, i neuroni in guerra e l’educazione non pervenuta che, come uno tsunami, si è abbattuta sul Mc Donald’s dell’Aquila, fenomeno (sopran)naturale tipico di ogni stramaledetto sabato sera. E questo lo sapevamo. Non è un caso che decida di trascorrere i 3 giorni precedenti alla catastrofe annunciata in uno stanzino, in alienazione forzata, a meditare e recitare preghiere in versi incomprensibili per raggiungere l’incorruttibile stato di pace dei sensi e l’energia suprema per affrontare i mostri senza soccombere. Di solito ce la faccio, il problema viene dopo. Il mio corpo cede ogni goccia di forza al mondo, si priva di vita che sacrifica per combattere i piccoli delinquenti rambo e non gli resta niente. Tutto ciò che desidera nel post-sabato sera di lavoro da Mc Donald’s è una forma qualsiasi di giaciglio su cui abbandonarsi e morire in pace. Una gigantesca mangiatoia fasciata di fieno puzzoso va più che bene. Questo è il motivo che mi ha spinto a mettermi in macchina senza badare al vetro ghiacciato dei – 4 delle 11 di sera. Si scioglierà con l’aria, penso mentre giro la chiave, do un paio di pigiate sull’acceleratore per svegliare il motore ibernato, ingrano la prima e avanzo con non troppa cautela. Mi immetto sulla statale. Accelero in virtù della visione onirica della calda e comoda (?) mangiatoia della casa dolce casa, con gli occhi concentrati al millimetro di strada che distinguo attraverso il microscopico squarcio del ghiaccio che, sul parabrezza pian pianino (molto pianino), si allarga. Evidentemente quel microscopico squarcio non ha permesso l’accesso alla volante della Polizia che stavo per travolgere a 80 all’ora assieme all’ominide palettato che tentava di fermarmi. Non vedo niente, inchiodo ai suoi piedi. Da questo momento prende il via uno dei dialoghi più deliranti che ricordi nella mia giovanissima esistenza (< 30 (ancora per poco) dovrebbe essere definita giovanissima per legge). Quei dialoghi di cui ti vergogni a distanza di secondi, giorni, settimane e anni. Mi vergogno sì, per loro!
– Da dove viene?
– … (I tre puntini significano silenzio di morte di ogni senso, voglia, volontà, reattività di fronte a certe domande. Persino il fiato (non sempre dall’ottimo aroma di menta e gelsomino) si rifiuta. Scusa eh, ma alle 11 di sera su una strada aquilana, con questa faccia da cadavere-mostro da dove dovrei venire, dall’Arkansas?)
– La guagliona dove l’ha lasciata?
– … (Come sopra, ma ancora più sfiancato.) Sono appena uscito dal lavoro. (Traduzione: sono stanco morto e voglio crollare nella mia grande mangiatoia imbottita. Non mi frantumare le balle e lasciami andare, su!)
– Con la macchina tutta appannata… Ha bevuto?
– … (Appannata?! Avrai bevuto tu brutto idiota! Il vetro è congelato, non appannato. Anzi, accendo l’aria che, se si accorge, mi ritira la patente questo qui.) No, ho lavorato!
– Che lavoro fa, mi scusi?
– Lavoro al Mc Donald’s.
– E neanche un micsceìcch ha bevuto al Mecchedonàls?
– … (L’ha detto proprio così. Ecco, in questo preciso momento, il silenzio assume un significato diverso dai precedenti, più poetico, chiaro e deciso. Vuol dire MAVAFFANGUL!) Al quale silenzio lui si sente di aggiungere – La faccia controllare ‘sta macchina, è proprio strano che si appanna dentro da spenta.
– Certo! Arrivederci!
Intanto milioni di goccioline d’acqua percorrono il parabrezza ormai liberato dal ghiaccio, ma il poliziotto dal sovrumano acume, non capisce comunque.
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Io e la mia Valigia, stavolta per niente sbagliata
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Scrivi un commento →: Io e la mia Valigia, stavolta per niente sbagliataSanremo è finito, pare. Amici di Mary no, purtroppo. (Abbattete quella deficiente con la cresta, se potete farmi questo piccolo favore.) Quest’anno preferisco far finta che il Festivàl non sia ancora iniziato, o meglio che non debba iniziare mai, giusto per evitare ogni commento, augurandomi comunque che qualcuno rinchiuda Amanda che Al BaGno ha liberato nel suo mirabile pezzo e che qualcun’altra chiami ancora amore Vecchioni che m’ha fatto una pena mentre urlava sul palco, poveraccio. Detto questo, anzi non detto questo, spendo un post per condividere col mio solito gruppo d’ascolto di 7 anime (cercatelo, guardatelo, amatelo. Il film dico) la mia esperienza di presentazioni pugliesi, che sia anche di ringraziamento alla ET/ET Edizioni che mi ha trattato come un principe. La prima è stata all’Artsmedia che è un’agenzia di comunicazione fighissima, intanto per le tinte bianche con tocchi verde acido della sede di Andria, resa ancor più bella agli occhi del mio cuore dalla stampa con la copertina della Valigia e il mio nome a caratteri cubitali sulla parete, più grande e alta di me. Quando l’ho vista ho avuto un calo di zuccheri e mi son dovuto sedere un attimino, mentre pensavo e dicevo: WOW! Poi inviti, locandine sparse per la città. Facevo colazione in un piccolo bar, nella piazza principale di Andria e, sfogliando il giornale, mi sono ritrovato fra gli appuntamenti della serata. Mi è andato di traverso il cappuccino e mi sono messo a ridere. “Tutto bene signore?” “Sì, grazie…” a parte quel signore che francamente avresti potuto sostituire con ragazzo o, che so, fanciullo. Sono stato ospite di una trasmissione televisiva che si chiama Questioni, in onda il 22 febbraio. Si è parlato di terremoto oltre che della Valigia. È stata un’occasione per puntualizzare certi aspetti sulla situazione aquilana e dire ancora una volta la mia. Ringrazio il conduttore Paolo Farina per avermi dato liberamente parola, diritto, quello della libertà di parola, che in TV viene troppe volte dimenticato. Cercherò di caricarla da qualche parte su internet, così ce la rivediamo assieme, con le solite risate a cascare.
Quando sono entrato nella mia stanza d’albergo ho pensato: Potessi fare solo questo, Dio mio! Pranzi e cene e aperitivi e succhi di frutta e yogurt al caffè sul porto di Trani col calore del sole sugli occhi che m’ha fatto ricordare di aver dimenticato gli occhiali da sole in macchina, a L’Aquila. (Ricordare di aver dimenticato, mica da tutti.) Tutto il tempo per godermi la visione del mare fuori stagione tagliato dalle zampette dei gabbiani in volo. Marcella mi ha raccontato della rivalità fra la loro città dei sensi unici Andria e la splendida Trani che chiamano la spiaggia di Andria. Per riassumere: affanculo la dieta, insomma. Mica posso mettermi a fare il prezioso: “Per me soltanto un listello di carota cruda, grazie”. Al primo posto della top 3 dei complimenti più strambi ricevuti in questi giorni resta stabile quello di un giovane poeta del luogo: “Tu sei molto più oggettivo di me”. Che volesse dire vattelappesca. Non ho avuto il coraggio di chiederglielo, però l’ho ringraziato.
È stato una viaggio non comune. Mi sono sentito accolto e amato da tutti, come se tutti fossero entusiasti di me, come se mi conoscessero senza che io conoscessi loro. È una sensazione difficile da descrivere che considero un miracolo. Un privilegio che mi ha arricchito di sorrisi, condivisioni di letture, opinioni, storie di vita. Grazie a Paola per avermi regalato un giro turistico all’interno dell’affascinante Castel del Monte, testimonianza del genio quasi ultraterreno di Federico II; non avrei potuto immaginare tanto se l’avessi camminato senza le sue storie, la passione che ci mette nel raccontarle. A tal proposito una considerazione su tutti quei (tanti) stronzi che prima si sono accodati e si son goduti l’ora e mezza di spiegazioni e aneddoti e poi hanno pensato bene di dileguarsi senza sganciare il money. Lei è stata fin troppo signora, io avrei sbarrato il portone e li avrei fatti marcire nel cesso del castello. Rispetto gente! Sempre. Per chi lavora e spende tempo, energie e voce per voi.
Sto conoscendo pian piano la casa editrice ET/ET e le persone che l’hanno messa su partendo alla grandissima. Mi sono innamorato della loro sede, della sinergia di intenti e competenze che confluiscono in un progetto ambizioso che è quello di arrivare lontano con una casa editrice nata meno di 2 anni fa. Ringrazio un sacco di gente, a partire da Marcella che ha dovuto sopportarmi per 12 ore al giorno e poi Aldo Tota, l’editore col montgomery, e tutti tutti tutti, non per ultima, forse per prima, Laura Tota, un vulcano di ragazza che, non ho ancora capito come e perché, è finita nel mio blog, cioè qui, e ha deciso di pubblicarmi. Quindi ‘ste cose succedono veramente. Sono tanti i grazie che dovrei. Tipo all’associazione culturale CICRES che mi ha ospitato a Corato in un incontro pieno di bella gente e poi alla libreria Ambarabacicicocò che l’ha promosso. Coi nomi non sono bravissimo. Comunque ci vediamo presto, probabilmente a maggio, per nuove date e cene e sole e mare.
Ho fatto un po’ di foto con la mia nuova (e prima) macchinetta fotografica donatami da Luca e Niccolò e a parte qualche dimenticanza di flash che conferisce a certi scorci una poetica e naturalmente voluta “lugubrità” (tipo questa qui del portale dal buio alla luce, morte/vita, inferno/paradiso… sì, come no!), devo dire che me la sono ben cavata. Le altre le trovate sul mio Facebook. Adesso, visto che ha appena fatto una scossa di terremoto di 2.9 che mi ha fatto ballare culo e armadio, direi che, se non avete nulla in contrario, io andrei.
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La Puglia e la Toscana confinano, sapevatelo!
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Scrivi un commento →: La Puglia e la Toscana confinano, sapevatelo!Questo week end, come vi accennavo nello scorso post, sarò in Puglia a presentare la Valigia qua e là. Ieri ne parlavo con Luca che vive a Firenze. Luca conosce benissimo la mia ignoranza geografica che per anni ha garantito il buonumore ai miei amici attraverso l’arte della derisione alla quale mi sono sempre e volentieri prestato e allora la butta lì: “Tanto che sei di strada perché non vieni a trovarci giovedì; da Firenze a Barletta col treno sarà sì e no una mezz’oretta”. In un altro momento forse c’avrei riflettuto un po’ di più prima di rispondere: “Ah, fantastico! Guardo gli orari dei treni. Cerco di arrivare verso le 6 e mezza così andiamo a cena insieme e venerdì in tarda mattinata ne prendo uno per Barletta”. In un altro momento avrei tentato di focalizzare la posizione della Toscana che evidentemente non confina con la Puglia, e non serve che lo dica io. Però ieri (attenti che adesso ha inizio la mia arrampicata sullo specchio) avevo un lieve mal di stomaco, la testa mi doleva, pensieri confusi affollavano la mia mente associati a immagini di morte e arte figurativa ansiogena, devo ancora fare i biglietti e a L’Aquila la stazione ferroviaria apre e chiude quando lo decide lei, figuratevi se potevo starmi a chiedere se Barletta e Firenze sono o no così vicine, mettere in dubbio la parola dell’amico. Non si fa! Convincente, no?
Bene. Comunque, se fino a ieri avrei invitato alle presentazioni pure i toscani, oggi magari me lo risparmio, a meno che qualche temerario non sia disposto a digerirsi 6 ore abbondanti di Freccia Argento per qualche mia irripetibile pillola di stupidità. Vi ricordo gli appuntamenti. Sabato 12 ad Andria, alle 19.00 presso lo studio di comunicazione ArtsMedia, con la partecipazione de Il teatro di Puck, nella rappresentazione scenica di un estratto, e domenica 13 alle 19.30 sarò a Corato in provincia di Bari presso l’Associazione CICRES in Via Aldo Moro 58. Vado e torno vincitore (lunedì).
Siiusun!
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Scrivi un commento →: ‘Una valigia tutta sbagliata’: 5 fratelli e una sorellina di nome Mia
Ebbene è nato, anzi… sono nati!
‘Una valigia tutta sbagliata’ è il mio terzo libro: una raccolta, un parto gemellare, 5 fratellini e una sorellina di nome Mia. Sono tornato ai racconti, amanti ideali per uscire dalla routine del romanzo. Amori occasionali, veloci, senza impegno, ma che lasciano il segno. Per questo li scelgo, pure se nella vita e nei rapporti non ho mai tradito (dicono tutti così), ma è vero (tutti dicono anche questo). Magari alternerò un romanzo a una raccolta da qui all’eternità. C’è un dato rilevante. Questa è la prima volta in cui è un editore a cercarmi e non sono io a bombardare la sede di tutte le case editrici italiane, pure quelle che pubblicano le ricette della Parodi, con i pacchi bomba dei miei manoscritti. Scoprire che c’è una prima volta anche per questo fa ben sperare. Ero di ritorno da un viaggio che non ho scelto di vivermi, una fuga necessaria, la chiamo io, pure se necessaria non lo era per niente. La confusione mi ha impedito di capire cosa fare e così ho optato per la decisione più semplice da prendere dopo che un terremoto ha distrutto la città in cui vivevo e vivo: scappare. È quello che fa il protagonista di ‘Mai abbastanza lontano da me’, il racconto più autobiografico dei 6, quello della mia fuga da L’Aquila, della mia rabbia per ciò che la Natura e l’uomo hanno causato e distrutto, della solitudine improvvisa, del silenzio, del brusio del verso del mostro che ancora sento nitido ronzare in fondo, della ricerca di un altrove, dell’abbandono, dell’illusione di lasciare a L’Aquila tutta la mia disperazione, che invece s’è accomodata sul sedile del passeggero della mia Matiz verde acqua e ha disturbato il viaggio e tutti i giorni fino al mio ritorno. ‘Mai abbastanza lontano da me’ è stato il primo dei 6 viaggi impossibili che ho affrontato e quello che più rappresenta l’intera raccolta perché li contiene tutti. Dev’esserci un motivo forte per partire e quelli dei miei protagonisti non sono viaggi di piacere. Loro non possono far altro che mettersi in cammino, talvolta correre senza più fiato nel tentativo d’inseguire l’unica possibilità su un milione che porta all’obiettivo, convinti che esista. Io sono come loro: tento spesso viaggi impossibili, viaggi indietro nel tempo, nel ricordo, oppure oltre la morte. Non mi arrendo a perdere quanto di più importante esiste per me. I protagonisti della Valigia fanno così, cercano la vita pur scappando dalla loro e senza l’amore non ce la fanno. L’amore passionale, l’amore corrisposto, l’amore che cambia, l’amore che muore, l’amore del mare che non sa tradire in ‘Sms dal mare’, l’amore di Alberto che non sa aspettare, in ‘MutoDentro’, l’amore di Marco, Giulia e Dario che tentano di restare sul filo di un equilibro che non può durare ne ‘Il dolore definitivo’, l’amore della piccola Mia per i suoi sogni che la illudono di poter cambiare la realtà semplicemente colorandola con la magia, in ‘Luci di cera’, un esperimento fantasy dolcissimo che chiude la raccolta. L’amore “a gocce di cristallo” in ‘Quattordici febbraio’. “Cercatelo, perché questa raccolta ne è colma”, scrive Mauro Marcialis nella prefazione. Credevo di aver nascosto i miei frammenti segreti dove nessuno avrebbe potuto mai trovarli e invece mi sbagliavo. Mauro Marcialis è riuscito ad andare oltre le trame e i dialoghi. Ha trovato il baule chiuso a chiave nella cantina delle mie insicurezze, ha scardinato il lucchetto e ha sfogliato le cartoline e le foto del passato, le immagini dei sogni del futuro.
In ‘Una valigia tutta sbagliata’ nessuno dei personaggi si arrende, perché se il passato non possono cambiarlo e il futuro conoscerlo, il presente è adesso e dipende da loro. Questo fine settimana sarò in Puglia per le prime 2 presentazioni, sabato 12 ad Andria, alle 19.00 presso lo studio di comunicazione ArtsMedia, con la partecipazione de Il teatro di Puck, nella rappresentazione scenica di un estratto, e domenica 13 alle 19.30 sarò a Corato in provincia di Bari presso l’Associazione CICRES in Via Aldo Moro 58, con la collaborazione di una libreria dal nome che è tutto un programma: Ambarabaciccicoccò (tre civette sul comò che facevano l’amore…).
Chiunque volesse ordinare il libro può farlo attraverso il sito dell’editore (CLICK) che è la modalità più veloce, oppure attraverso tutte le librerie online (IBS, Libreria Universitaria, ecc. ecc. insomma, le conoscete) e pure quelle fatte di mattoni, con gli scaffali, sempre sperando che al libraio di turno non siano tornate proprio in quel giorno.
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Scritto sul corpo – Jeanette Winterson
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Scrivi un commento →: Scritto sul corpo – Jeanette WintersonQuesto è il primo segnale dello tsunami che Jeanette Winterson causa con la sua scrittura piena di vento ed energia sotterranea, che si scatena nel suo piccolo capolavoro letterario probabilmente irripetibile. ‘Scritto sul corpo’ è un’onda alta come mille grattacieli che nasce da quest’interrogativo a cui ho sperato per tutta la lettura del romanzo di trovare una risposta, pur dentro di me sapendo bene che non ne esiste alcuna capace di placare il dolore di certi addii. La tecnica scelta dall’autrice è quella dell’io narrante del protagonista, che racconta la sua storia d’amore più grande e sofferta, con una donna sposata, Louise. Molti si sono domandati se è la voce di un uomo o di una donna a parlare. Molti hanno annoverato ‘Scritto sul corpo’ fra le opere più riuscite della letteratura lesbica. Fra una pagina e l’altra andavo alla ricerca di particolari che mi facessero propendere per l’una o per l’altra ipotesi. Cambia tutto, se ci pensate. Immaginare un uomo e il suo amore per Louise, oppure una donna e il suo amore per Louise. Ho deciso che è una donna ad amarla perché un uomo non saprebbe raccontare l’amore così. Pertanto, da questo momento in poi, per me la protagonista sarà una lei.
Louise è l’Amore con la A maiuscola. Non che esistano amori con la a minuscola. L’amore dovrebbe non prestarsi ad essere classificato, eppure a distanza di anni ti rendi conto che di tempo ne hai perso parecchio a star dietro a chi poi ha dimostrato di valere meno di un quadrato di carta da culo. Louise vale tutta una vita perché alla vita di lei dà senso e lo fa attraverso impulsi incontrollabili. A parlare è il corpo che non si pone domande, non si perde in ragionamenti. Il corpo vuole la vicinanza e il calore della pelle, vuole sentirne la consistenza, vuole accarezzare e abbandonarsi all’odore unico dell’altra. Il corpo urla.
Raro il caso di un amore così ugualmente corrisposto. Pur nella comunanza di sentimenti capita che nel cuore dell’uno arda il fuoco che scalda pure quello dell’altra. Invece il cuore della protagonista e quello di Louise sono due vulcani che non hanno bisogno di calore esterno per bruciare, alimentati dall’idea della felicità in due, che le spinge ad abbandonare tutto per viversi questo amore. Louise lascia suo marito, un accreditato dottore, per lei, senza preoccuparsi di quello che dirà la gente. Lei lascia la sua ultima compagna Jacqueline, fra le cui braccia aveva trovato la sicurezza di una relazione senza troppi sussulti, ma col tepore di una casa e di un progetto di vita.
Cosa manca al loro amore? Nulla, ma l’Amore, pure quello con la A maiuscola non basta quando arriva la malattia. Louise si ammala e questo cambia tutto. Se il sentimento che le lega non fosse stato tanto forte, le sarebbe rimasta accanto, invece per il suo bene, proprio per tanto amore, la lascia alle cure finanziate dal suo ex marito. Lo fa senza parlarne con lei, perché sa che Louise non l’avrebbe permesso mai. Scappa da Londra, cambia completamente vita continuando a pensare a Louise ogni istante delle sue giornate. A sentirla attraverso tutti i suoi sensi. A vederla pure nei ricordi. Finché non decide di cercarla, nonostante tutta la rabbia che sa che starà provando per essere stata abbandonata nelle mani dell’uomo che disprezza, proprio nel momento di maggiore debolezza.
Questo libro ha fatto cadere un’altra certezza: che dell’amore nessuno potesse scrivere e riuscire a far provare amore al lettore. Jeanette Winterson con me ne è stata capace.
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Scrivi un commento →: Visione di Hereafter nell’unico cinema sopravvissuto a L’Aquila
Premessa: l’unico cinema aquilano sopravvissuto, che poi è una multisala (wow!), fa schifo. Naturalmente elencherò dei punti a sostegno di tal tesi.
Punto 1: Il cinema che passione! Le persone che ci lavorano non capiscono un membro molle (caXXo, per gli amici) di cinema. Detto da me, che guardo un film a decennio e comunque mi sento di capirne di più, dovrebbe rendere l’idea della competenza che dimostrano.
Punto 1 e ½, perché sempre riferito a loro: il lavoro nobilita l’uomo. Hanno una voglia di lavorare che, al solo guardarli invece a me fanno venir voglia di fare un bel tuffo de panza a terra e premere il volto sul rosso tappeto più forte che posso, fino a trovare la morte per soffocamento autoindotto. Una sorta di legge del contrappasso, mi perdoni Dante.
Punto 2: par condicio. La multisala consta di 6 sale così al momento ripartite: sala 1 Che bella giornata di Checco Zalone, sala 2 Che bella giornata, il nuovo film di Checco Zalone, sala 3 Che bella giornata, non perdere il nuovo film di Checco Zalone! e sala 4: sì lo sappiamo. Che bella giornata di Zalone, che mi piace, per carità, ma l’ho già visto. Alla 5 Qualunquemente di Antonio Albanese che se lo incontro per strada gli passo sopra con la macchina. Non chiedetemi perché, ma è questo l’istinto che domina le mie reazioni primarie alla vista della sua megalomane faccia di cazzo in primo piano sulla locandina. L’ultima sala se la giocano i restanti 2 miliardi (come direbbe mia madre) di film che tutti i giorni escono in Italia. In virtù del punto 1, non per colpa, ma per una serie di limiti visibili proprio, la scelta della pellicola da parte delle solite persone che ci lavorano porterà a una selezione di abnormi cagate.
Punto 3: pensa alla salute! Le caramelle gommose che vendono sono pericolosissime. Vengono lasciate in quei contenitori di plastica fino all’estinzione dell’ultimo colloso e duro anello di ciuccio di zucchero che, considerando la consistenza e il sapore, suppongo star lì da molto. C’è una cosa che le accomuna tutte: il sapore di Lisomucil per la tosse secca. Dagli orsetti alle banane gialle, dalle ciliegine alle uova di spugna, dai marshmallows (sì, si scrive così, l’ho cercato) alle liquirizie ripiene di giallo frizzantino. Lì tutto sa di Lisomucil sciroppo per la tosse secca, ma gli effetti sono diversi. Lo stomaco si gonfia e tu, che sia maschio oppure femmina, stai pur certo che rimani incinto/a e partorirai qualche ora dopo un essere vivente a forma di grande stella al sapor di coca cola, però dal culo. Potrei andare avanti per una lunga serie di altri punti: le popcorn sulle poltrone; le porte che le chiudi o no tanto è uguale: continuerai a sentire gli spettatori che ruttano uscendo dalle altre sale, mentre tu tenti di farti prendere dal pathos che pretendi, visto che hai appena scucito 7 euro; la vendita illimitata dei biglietti. C’è posto per tutti, basta che paghino. Non importa se hai staccato il 670esimo biglietto in una sala che può contenere 200 spettatori: sulle scale, in piedi, chissenefrega! Si arrangino pure con gli occhi al cielo mentre il faccione di Matt Damon si dilata in un’espressione straziante che sospira: “Basta, ho smesso da anni di parlare coi morti”. Ecco sì, passiamo al film. Ho scelto di andare a vedere Hereafter non per il talento di Matt Damon né per quello del signor Clint Eastwood che l’ha diretto, ma per esclusione e il punto 2 precedentemente illustrato mi ha facilitato di molto la decisione. Immaturi non è il genere di film che posso permettermi in questo delicato momento della mia vita, senza dovermi portar dietro tutte le conseguenze derivanti dalla presa di coscienza che, pure se il mio diploma è valido, tanto meglio di quei disperati non sto messo.
[Piccolo spaccato di una cena in famiglia] Ci deliziavamo il palato con l’invidiato minestrone materno (quando entrando in cucina i miei occhi si sono appoggiati sul piatto contenente il fluido filamentoso verde, che li ha risucchiati come sabbie mobili, ho pregato di sopravvivere. È in momenti come questo che mi convinco di avere fede). Mia madre a un certo punto si ricorda della notizia che ha sentito e vuole condividere a tavola, naturalmente letta e reinterpretata dalla sua creativa ragion pura, e irrompe a gran voce nel dignitoso requiem in memoria delle verdure morte così: “Oh, ma avete sentito di quegli studenti che gli hanno tolto il diploma e devono rifare l’esame di stato dopo vent’anni?”. Mi casca il cucchiaio nel piatto che risponde per me che sono senza parole: “Mamma, quello è ‘Immaturi’ il nuovo film con Ambra di Non è la RAI!”. [Fine dello spaccato]
Tutto questo per dire che Hereafter non è brutto, neanche bello. L’idea è buona. Ci sono questi qui che, poveretti a loro, hanno perso una cara persona e non riescono a darsi pace, e c’è Matt che, dopo un’operazione delicata post incidente stradale, ha scoperto che tenendo per mano qualcuno riesce a mettersi in contatto con i di lui/lei morti. L’idea non è malvagia e la scena iniziale dello tsunami non vale tutto il film, ma quasi. Poi diventa una palla pazzesca. Non succede niente per due ore e finisce nel peggior modo possibile: quello americans del love love love.
Ecco, a ripensarci mi è arrivato un doppio cazzotto di sonno da destra e da sinistra. Buonanotte pure se è domenica mattina.
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Scrivi un commento →: Poche riflessioni su Berlusconi, le sue bambine e i conati di vomito
Un conato e poi un altro eppure non sono malato. Sono stato molto attento questo inverno perché con la salute non si scherza – dice il mio dottore, e l’anno scorso la polmonite mi ha lasciato il ricordo di un incubo, per questo non m’importa degli altrui sguardi fissi sul brutto cappello del Milan, e poi a quel berretto ci tengo. Questo per dire che nessuna influenza o virus d’altro tipo che attacchi l’organismo ha causato i conati, ma una discussione in TV. Si parlava di Berlusconi, delle sue bambine e dei suoi processi che quasi certamente non procederanno. Il disgusto è stato tale non tanto per l’argomento di base, che genera in me una totale impotenza a dire e fare, un po’ come quella che il Presidente ha sconfitto grazie a un marchingegno che preferirei non chiamare pompa, che si sarebbe fatto impiantare proprio per garantirsi prestazioni decenti, quanto per gli interventi degli ospiti che in un’atmosfera giocosa parlavano di puttane, pompini, Ruby e i suoi 7mila euro diventati poi, in un’intercettazione telefonica, 5milioni. Accusavano l’uno di essere stato pagato per difenderlo, l’altro se ne andava indignato e poi tornava minacciando di querelare l’uno, l’altro, tutto il programma e pure la madre del presentatore per aver messo al mondo un essere umano incapace di porre fine a quell’obbrobrio – penso io.
L’ho fermato io spegnendo la TV. È tutto ciò che ci resta, uno dei pochi diritti che ancora non ci tolgono: spegnere la TV. Arriverà il momento in cui ci costringeranno a tenerla accesa e a fissarla come zombie per almeno 6 ore al giorno. Una pratica per il nostro bene, per la nostra civilizzazione. L’indottrinamento televisivo come una pastiglia che giorno dopo giorno stordisce. Ecco la causa dei miei conati. In quello studio televisivo e in altri ho visto uomini e donne capaci di calpestare il corpo della madre pur di difendere, con evidente imbarazzo, il potente, non per niente, per molto anzi.
Lascio chiudere il pensiero a una donna con la D maiuscola.
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La paura
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Scrivi un commento →: La pauraLa paura sta là, o la ascolti o impazzisci.
È un brusio che può crescere fino a diventare un urlo. Non c’è nulla che tu possa fare di sensato di fronte alla paura, che sia diverso dallo stare fermo a osservarla. Respirare piano senza sapere che sei tu che l’hai partorita e sfamata, per nulla. Può rovinare pure il marmo, perché lo vede cristallo e pensa che prima o poi si romperà. Così lo fa lei stessa a colpi di martello, prima di qualcun altro. Lo tieni fra le mani e fai una gran fatica però ti senti di far bene, tanto prima o poi sarebbe finita così: è questa la convinzione che muove il gesto. Come se le cose accadessero da sole, come se non fossi tu stesso a provocarle, a costruire e a distruggere pensando di costruire. Pur trovandoti in alto, pur su una sedia privilegiata nel cielo da cui osservi la città, le persone, gli incontri, gli occhi, con obiettività reale, che ti fa persino rendere conto che a incrinare tutto è solo paura, null’altro di concreto o motivato, la paura non la puoi evitare; scacciarla sì, ma poi torna, al primo silenzio. Al primo di troppi minuti di silenzio. Quelli che seguono il disastro, mentre osservi muto i frammenti e la prima cosa a cui pensi è che rincollando tutto potrebbe funzionare.
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Iniziative per una domenica anti piaghe da decubito
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Scrivi un commento →: Iniziative per una domenica anti piaghe da decubitoOggi che è domenica mi sento in dovere di offrirvi qualche alternativa alle tredici ore paralizzati in poltrona a fare zapping fra Domenica 5 e Domenica In e Domenica Un Cazzo, che poi vi vengono le piaghe da decubito al culo e non è un’esperienza augurabile.
Cominciamo dalla locandina. Oggi pomeriggio alle 16.00 all’osteria Ca’ Lice che sta in via Borgo Eniano 53 a Montagnana, nei pressi di Padova, si terrà un bell’incontro fra letteratura per grandi e piccini per la rassegna ‘Mamma portami al Ca’ Lice!’.
Per i bambini, nell’accogliente mansarda del Ca’ Lice, la lettura animata del racconto di Daniil Charms ‘Di come Nicolino Punk volò in Brasile (e Pierino Spazzoletta non ci ha creduto neanche un po’)’ (Zampanera). Per i grandi, nella sala del camino (Ca’ Mino!), il reading di ‘Supermarket24’ (Camelopardus – o per l’occasione Ca’ Melopardus), con le musiche dal vivo di Emanuele Cirani al Chapman’s stick. Quindi se abitate da quelle parti fateci un salto. Indiscrezioni da evidente privilegiato mi parlano pure di certi gustosi dolcetti. Ve lo dico con largo anticipo, giusto per darvi il tempo di lavarvi i denti e indossare scarpe e cappotto.
Chissà se Alda Teodorani sarà brava in cucina. Non gliel’ho chiesto; di certo a scrivere sì. Di questo e tante (non troppe, appena 4) altre cose abbiamo parlato nell’intervista per le 4 Chiacchiere (contate) su Solo Libri che trovate qua.
A proposito di Solo Libri. E qua mi rivolgo agli appassionati oltre che alla lettura di buoni e cattivi libri, anche alla scrittura e alla discussione. Quelli che poi hanno voglia di parlarne e di scriverne. Recensire. Ebbene, la redazione ha messo su un concorso prima partito come natalizio e poi, per via del successo che ha avuto, divenuto mensile e ci terrà compagnia per tutto il 2011. Scrivete la recensione di un libro che vi è piaciuto o anche no, Solo Libri ve la pubblica e, se la gente vi legge, vincete buoni acquisto. Gli autori delle tre recensioni che allo scadere del mese avranno ottenuto il punteggio maggiore, calcolato a seconda di un meccanismo di visite ponderate che trovate ben spiegato nella pagina del concorso, riceveranno un buono di 20, 30 o 50 euro, messo a disposizione da laFeltrinelli.it. Mi sembra una bellissima iniziativa che coniuga il piacere della lettura, con quello della scrittura e riconosce il merito a chi riesce a intrigare la fetta di pubblico più grande raccontando un libro. Io qualche recensione l’ho scritta, ma non vinco mai. Provateci voi!
Dopodiché uscite a fare una passeggiata (sempre per le piaghe), che di sciare non è aria. La neve quest’anno s’è intimidita e ha deciso di restare anonima, per la gioia degli impianti e di chi con le stagionali ci campa un anno intero. A me la neve non manca per niente, anzi.