Ieri alla radio hanno detto che al mare fa freddo perché il nostro paese è stato ricoperto da una fitta coltre di nubi basse che stazionano sulla costa, e che in montagna fa caldo perché la montagna è alta, quindi buca le nubi basse e il sole riscalda le vette. Ho pensato, sorridendo, a tutti i miei paradossi.
In macchina, mi godevo il silenzio dovuto alla mancanza delle voci che mi infastidiscono, mentre la strada non mi sorprendeva. È la stessa, si consuma, ma resiste quella, mentre cambiano i perché, i se e i sì. Sono moscerini, mosche, mosconi e pure vespe certe volte, che si affaticano dall’alba al tramonto e la notte, perché soffrono d’insonnia, a bisbigliarmi parole di sconforto nelle orecchie e a pizzicarmi con quelle loro zampette secche.
Il silenzio mi fa compagnia. Non occorre un silenzio totale, ma un silenzio di assenze. Mi piace, per quanto odi le mancanze. Le assenze di cui parlo non appartengono alla nostalgia, ma alla speranza che continuino a mancare. Se il mondo fosse capace di costruire una calotta tutta per me, che sappia isolarmi oltre che rendermi invisibile, mi ci tufferei e chiuderei gli occhi. Magari fatta proprio di nuvole, per nascondere me, che sono alto, abito fra i monti, ma ho freddo nonostante il sole.
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Il paradosso dei se e dei sì
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Scrivi un commento →: Melissa P. scopre gli altarini: “Il mio editore mi rise in faccia davanti a tutti!”
Io credo che Melissa P. abbia fatto bene.
Non fate quella faccia, provo a spiegarmi. In questi giorni si sta consumando sulle pagine de Il Fatto Quotidiano una battaglia fra l’autrice di ‘Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire’ ultimo caso letterario italiano dalle proporzioni mondiali che ricordi, e il suo ex editore e quasi suocero Elido Fazi. Melissa ha deciso di chiedere giustizia attraverso gli avvocati, visto che da sola non le è stato possibile. Quando infatti, dopo diversi solleciti attraverso e-mail scritte da lei e dal suo agente, si è recata alla sede della Fazi per chiedere come mai da due anni nessuno le presentasse un rendiconto delle vendite dei tre suoi libri, il signor Elido le è scoppiato a ridere in faccia davanti a tutti. Melissa P. decide adesso di rivelare un passato che agli occhi degli altri desta solo invidia per una fanciulla baciata da tutta la buona sorte del mondo messa assieme. In verità resta una giovane scrittrice a cui il suo editore, dopo averle pagato soltanto parzialmente i diritti, le dà dell’analfabeta e della fallita (lui che ha pubblicato tre suoi libri, mica uno, e le ha fatto un’offerta per un quarto ‘Tre’ adesso nelle librerie con Einaudi). Elido parla pure di ‘Tre’, dice che non l’ha letto, ma l’ha fatto la sua compagna che è un’italianista. “Dopo una trentina di pagine accettabili diventa una vera porcheria. Si è rovinata da sola”, continua, “decidendo di fare di testa sua. Melissa P. è finita”.
Da quello che Melissa P. sostiene la casa editrice Fazi le dovrebbe più di un milione di euro. L’editore, per corrisponderle le royalty dovute al massiccio successo di vendita del suo libro, aveva scelto la formula dello stipendio. Rate mensili quindi, prima di 50mila euro poi ridotte fino a non più arrivare, nonostante ci fosse ancora molto da pagare. La faccenda economica e legale con la Fazi è stata comunque risolta da un accordo ultimo raggiunto fra gli avvocati delle parti. Elido dovrà versare a Melissa P. una quota finale di 61mila euro restituendole i diritti di tutte le sue opere pubblicate con la Fazi, già sparite dalle librerie.
Il punto dov’è? Melissa P. non si accontenta degli avvocati e sceglie la strada dello sputtanamento in pubblica piazza raccontando al giornalista e blogger Luca Telese tutti i retroscena di un rapporto che aveva oltrepassato i confini del lavoro facendosi carico di astio represso per la storia d’amore fra Melissa e Thomas, figlio di Elido, che l’editore mai ha sostenuto, né accettato. Molte polemiche anche sui diritti cinematografici acquistati da Francesca Neri dal lungo fiuto, quando ancora il libro non si era trasformato nel fenomeno noto a tutti, per una somma che si aggirerebbe attorno agli 80mila euro dei quali Melissa ne avrebbe percepiti solamente 4. Leggo nell’intervista dei suoi sbagliati investimenti fatti solo per amore della madre, alla quale avrebbe acquistato un negozio poi fallito, attraverso un mutuo che la venticinquenne catanese continua ancora a pagare, e poi una casa a Roma forse troppo costosa. Melissa P. racconta di essere tuttora sull’orlo della bancarotta, nonostante la sua ultima pubblicazione per Einaudi e il ruolo che riveste come ospite fissa nell’edizione di quest’anno di Very Victoria su La7.
Storie come questa, in cui per vederci chiaro bisognerebbe fare i conti in tasca ai protagonisti, di solito vengono lavate in casa assieme a tutti i panni che si sporcano per ripulirle. Melissa P. ha deciso di far emergere un cono di relazioni, accadimenti, intrecci, falsità tipiche di un mercato spietato che mangia le uova d’oro della gallinella del momento. C’ha fatto le spese uno degli editori più apprezzati nell’ambito degli indipendenti, uno che ha lanciato grandi nomi come Licalzi, passato poi a Rizzoli, Abate, passato alla Mondadori. Uno che ha fiutato il fenomeno dell’anno Twilight e l’ha portato in Italia. C’ha fatto le spese un nome rispettabile che nessuno prima di Melissa P. aveva mai messo in discussione, nonostante i tanti abbandoni che la Fazi in questi anni ha subìto proprio da chi l’aveva scelta. Per fare un nome su tutti: Isabella Santacroce che ha pubblicato il suo ultimo romanzo con la Rizzoli, senza dare a nessuno spiegazioni sulla sua decisione. Che i suoi motivi siano vicini a quelli degli altri e di Melissa P. ma che lei, come gli altri, abbia preferito le acque di un torbido silenzio rassicurante, al baccano della verità che lascia, agli occhi dei lettori, una macchia sull’onore e sul percorso artistico?
Per questo dico che Melissa P. ha fatto bene.Qua trovate l’intervista a Melissa, la replica di Elido Fazi sembrerebbe essere stata rimossa, e questa è la lettera che Melissa P. ha scritto e chiesto a Il Fatto Quotidiano di pubblicare.
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Quella sera dorata – Peter Cameron
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Scrivi un commento →: Quella sera dorata – Peter CameronEcco la recensione che ho scritto dopo aver letto ‘Quella sera dorata’ di Peter Cameron. Come al solito la trovate oltre che quaggiù anche laggiù.
Il titolo originale era ‘The city of your final destination’ e, a lettura ultimata, mi domando perché, per la versione italiana, sia stato cambiato in ‘Quella sera dorata’, che non rappresenta per nulla il romanzo. Lo generalizza e va alla ricerca di una poesia gratuita che, oltre a non servire, rischia di banalizzare una storia meravigliosa.
Trama: Tutto inizia da una lettera che Omar Razaghi, studente del Kansas con origini iraniane, scrive a Caroline Gund, Arden Langdon e Adam Gund, esecutori testamentari della proprietà letteraria di Jules Gund, autore di un solo romanzo tradotto in molti paesi: ‘La gondola’, per chiedere loro l’autorizzazione a scriverne la biografia. La carriera universitaria di Omar dipende dalla biografia di Gund. L’assegno di ricerca, che comprende anche i fondi per la pubblicazione, è vincolato al consenso degli eredi. Consenso che i tre gli negano nonostante Adam, fratello dell’autore, ritenga che una biografia ufficiale non possa che giovare loro, ma Caroline, ex moglie di Jules, e Arden, sua ultima compagna, non ne vogliono sapere. Omar ha ventotto anni e un’insicurezza dalle radici lontane. L’esito negativo della richiesta lo tenta a rinunciare al dottorato, ma Deirdre, la sua ambiziosa ragazza, che l’ha sempre sminuito e guidato come un bambino a cui si deve insegnare la vita, lo convince ad andarsi a prendere quello che vuole, a spendere parte della borsa di studio per recarsi in Uruguay, dove vivono i tre, per provare a convincerli a farsi concedere l’autorizzazione. Dal momento del suo arrivo, fuori il cancello della grande villa di Ochos Rìos dove vivono Caroline, Arden e sua figlia Porzia, Omar dal bell’aspetto sconvolgerà gli equilibri di silenzi che hanno regolato per anni il ritmo della loro convivenza e del rapporto che le due hanno con Adam che vive in un mulino poco distante, assieme al suo giovane e infelice compagno Pete. È un viaggio senza ritorno, il suo, nonostante comunque dovrà ripartire. Uno di quei viaggi che cambiano la vita e ti tengono in trappola per sempre. È un libro che riesce a raccontare i rapporti umani come pochi e lo fa attraverso i dialoghi. La voce di Cameron è autentica a tal punto da non appartenergli più; si personifica ogni volta in chi parla. Nel libro, Cameron sparisce lasciando spazio a Omar, Arden, Adam, Deirdre, Caroline, la piccola Porzia e il misterioso Jules Gund, morto colpevole di aver posseduto una sensibilità capace di vedere attraverso i silenzi e gli intrighi di una famiglia un po’ troppo allargata. Non importa se alla fine Omar avrà la tanto agognata autorizzazione, se alla fine riuscirà oppure no a portare a termine il suo dottorato. Omar non è un vincente come la sua ragazza, che arriverà a insegnare nei più prestigiosi college americani. Omar assorbe le sensazioni che gli arrivano dalle atmosfere dell’Uruguay, dal caldo soffocante, dal sole che abbronza la pelle, dagli occhi di Arden, dall’amore che Adam prova per il suo compagno Pete che dalla sua non riesce a lasciarlo, dalla reticenza di Caroline che vive rinchiusa nella torre a dipingere quadri d’altri, perché da molti anni ha smesso di credere nelle proprie qualità di pittrice. Omar si nutre dei profumi dei fiori della serra, della luce che la distesa di stelle sconfinata riserva ai suoi occhi ogni notte. Entra nelle motivazioni che spingono Arden e Caroline a dire di no, lo fa attraverso la vita segreta di Jules che scopre lentamente dai molti confronti con i tre. La convivenza, seppur di pochi giorni, lo arricchisce e lo priva di tutto di colpo, nel momento in cui assieme a Deirdre, che l’ha raggiunto in seguito a un brutto incidente, deve lasciare la villa e Ochos Rìos e tornare nel Kansas. La meta diventa secondaria rispetto a tutti i cambiamenti che il viaggio porta in Omar, costringendolo a rivedere la sua vita.
Peter Cameron, che ho apprezzato moltissimo per i racconti contenuti in ‘Paura della matematica’ e per il romanzo ‘Un giorno questo dolore ti sarà utile’, conferma di essere un romanziere capace di dare vita a personaggi che, dopo averti tenuto stretto per il braccio, impedendoti di lasciare la storia prima della fine del libro, escono dalla pagina e continuano a farti compagnia per un po’.
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Supermarket24 agli occhi del Chiappanuvoli
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Scrivi un commento →: Supermarket24 agli occhi del ChiappanuvoliCominciamo bene il 2011 con una bella recensione che Alessandro Gioia fa di Supermarket24 sul suo blog Origami di un Chiappanuvoli. Ancora auguri a tutti!
E alla fine sono riuscito a trovare la concentrazione giusta ed il tempo per scrivere anche una recensione a cui tenevo particolarmente. Quella di Supermarket24, romanzo d’esordio di Matteo Grimaldi, aquilano e amico, edito dalla Camelopardus (ISBN 978-88-902561-4-1).
Supermarket24 è un genere di libro che a me non piace. Cioè non so se l’avrei scelto tra gli scaffali della libreria. Cioè la storia di tizio che va a lavorare in un supermercato, la storia di un singolo giorno, insomma, se non lo avessi voluto leggere per conoscere meglio Matteo, se non lo avessi voluto leggere per conoscere uno scrittore aquilano, non credo che lo avrei mai aperto. Ma in questo caso, fortuna ha voluto che le circostanze mi portassero ad affrontalo, a confrontarmici, oggi a recensirlo e devo dire che non me ne posso assolutamente pentire, tutt’altro.
Supermarket è un romanzo davvero ben riuscito. In esso si ritrova chiaro il tentativo, riuscito, di produrre un linguaggio nuovo, non solo giovanile e moderno, ma compiuto e sapientemente dosato. Matteo riesce a trattenere il lettore sul testo parlando della vita del commesso di un reparto ortofrutticolo, cosa non proprio facile e scontata. Dopo ogni pagina ed ogni avvenimento si ha la voglia di proseguire, andare oltre, vedere come va a finire. Numerose sono state le nottate in cui ho spento la luce oltre le due di mattina per colpa del ritmo avvincente e coinvolgente. Supermarket24 è scritto bene, va detto, è con questo presupposto che l’autore ha potuto permettersi di parlare di qualsiasi cosa, dalla frutta ai grandi sistemi, dal provincialismo dell’Aquila, città dove è ambientato, all’Italia intera, rappresentata con i suoi pro e contro fin dentro un semplice reparto di supermercato.
Ed i contenuti abbondano. Tra mele e pere si parla della solitudine degli esseri umani, dell’amore che troppo spesso non è la soluzione che ci aspettavano al problema della solitudine, dell’invidia tra le persone, della riduzione del lavoratore a cartellino da timbrare in orario. Arriva a toccare temi alti come il suicidio, la Fede, il rispetto per la donna, le differenze di genere, con semplicità e ferreo sarcasmo. Armi di cui deve essere dotato non già lo scrittore, ma l’osservatore della realtà che viviamo. Ecco cos’è SM24, un viaggio di 24 ore dentro la testa di un osservatore attento e spezzante, che non ha paura di mostrare, indicare, criticare il bello o il brutto dei minuti che riempiono le esistenze di tutti noi. A tratti, i pensieri sono sembrati diventare anche isteria, foga, ma mai, mai saccenza.
Paolo di Paolo nella sua prefazione scrive: “Luca (il protagonista CNL) passa nel supermarket come nei tre regni danteschi (i titoli delle tre sezioni sono Appena, Dentro, Scappo); si disorienta, si stupisce, si infuria. Scopre. Capisce.” Se si possono avvicinare con le dovute cautele le due opere, va riconosciuto a Matteo, non già unicamente la scoperta, il viaggio attraverso l’esperienza, “caduta, punizione e beatitudine”, quanto il carattere didascalico di SM24, scevro dalla mania tutta dantesca di mettersi sul piedistallo e giudicare.
Punti di forza: assolutamente la tecnica, la colla con cui è scritto i libro che ti trattiene le ciglia sulle pagine. L’ironia che dimostra il protagonista, e quindi crediamo lo scrittore, nel prendere se stesso e nell’affrontare le situazioni che gli si pongono davanti. Una gran bella piacevolezza di 200 pagine.
Punti deboli: non vedevo l’ora di arrivare a questo punto. La cosa che non ho gradito è il finale, che non voglio e posso svelare. Che dire? Io ci avevo creduto, ci ero entrato dentro, mi ero immedesimato, avevo sofferto, avevo immaginato, avevo sperato, avevo sentito l’odore della frutta e della merda che respira Luca Sognatore e mi aspettavo… Ma forse son io poco “Sognatore”.
Consigli al lettore: leggerlo perché parla di voi, di me, di lui, di loro, degli altri, e di quegli altri ancora. Parla della realtà di provincia, parla dell’Aquila pur non menzionando lontanamente il terremoto. Si accomodi chi vuole fare un giro nel cervello di un osservatore sarcastico e preciso.
Futuribili: a Gennaio esce il secondo romanzo di Matteo Grimaldi, “Una valigia tutta sbagliata”. Attendiamo, ma stiamo pur sicuri che ne sentiremo comunque parlare.
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Supermarket24, capitolo 29: La Cagacazzi
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Scrivi un commento →: Supermarket24, capitolo 29: La CagacazziEcco l’ultima parte dell’intervista uscita su MRS. Subito dopo ho inserito un link dal quale potete leggere uno dei capitoli più divertenti del romanzo.
MRS, in ambito letterario, vuole essere una vetrina per gli scrittori giovani ed emergenti. “Supermarket24” è uscito nel 2010, ma ha alle sue spalle una lunga e tortuosa storia, piuttosto comune tra gli autori esordienti che cercano di pubblicare le loro opere. Puoi parlare brevemente del tuo primo, e non esattamente incoraggiante, approccio con il mondo dell’editoria?
Per fortuna Supermarket24 non è stato il primo approccio e l’esperienza che ho maturato con Non farmi male mi ha aiutato. Caparezza cantava: “Il secondo album è sempre più difficile…” e alla pubblicazione di Supermarket24 a un certo punto giuro che c’avevo rinunciato. Dopo tanto avevo trovato una casa editrice disposta a investire sul mio romanzo, si chiamava Edizioni di Latta, di Milano. Nata da poco meno di due anni, ma partita subito in quinta infatti aveva deciso di affidare la distribuzione dei suoi libri ad ALI che è uno dei maggiori distributori nazionali. Ero felicissimo. Il libro era ormai pronto, editato, copertina realizzata, scheda presente su tutte le librerie on-line, ma a meno di due settimane dall’uscita ufficiale cominciano a capitare strani eventi. Il sito della casa editrice sparisce dal web, la redazione non risponde più alle e-mail, gli autori mostrano preoccupazione e non trovano risposte finché non arriva la raccomandata con cui l’editrice Elena De Lalla comunica che la crisi dell’editoria e i troppi investimenti senza effettivi riscontri nelle vendite la portano a prendere la difficile decisione di chiudere e restituire così i diritti delle opere ai singoli autori ai quali augurava buona fortuna. È stato un colpo durissimo seguito una settimana dopo dal terremoto. Per mesi non c’ho capito più niente. Continuavo a chiedermi cosa dovessi fare, senza più un lavoro visto che era crollato, costretto a stare lontano da casa, perché le case che immaginiamo essere il rifugio dove stare al sicuro d’improvviso s’erano tramutate in mostri pericolosi, senza più un sogno perché avevo perso il mio editore. C’avevo rinunciato, solo che poi evidentemente la passione è più forte e le basta solo il tempo per rialzarsi e ripartire. Dopo un’infinita ricerca sul Santo Google mi sono imbattuto nella Camelopardus di Sara Saorin. Da lì un lungo dialogo non soltanto su Supermarket24. Beh, lei ha creduto in questo progetto e ha ridato vita ai miei sogni, per questo ha e avrà sempre un posto speciale nel mio cuore.
Tramite questo link raggiungerete direttamente la temibile Cagacazzi. Buona lettura!
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Per Natale butta via il cuore!
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Scrivi un commento →: Per Natale butta via il cuore!Me ne accorgo poco prima, di quanto bene possa farmi liberarmene. Quei due istanti che bastano. Tenere premuto il pulsante e guardare il vetro del finestrino tornare indietro fino a sparire nella guarnizione di gomma. Sentire l’aria gelida che a settanta all’ora mi arriva in faccia in direzione contraria a quella delle ruote. Tenere fra le mani la bustina d’oro che sta lì da un tempo così lontano che non sembra neanche di questa vita; tenerla quel poco in più che basta a contare: sono appena trecento giorni. Gettarla fuori assieme al cuore di pezza e a un pezzo del mio. Chiudere il finestrino con in faccia la soddisfazione di un sorriso che dura poco, però leggero.
Il macigno precipita a terra, ben più pesante dell’evidente sottile consistenza. Impacchettato c’è tutto l’amore che avevo. Non so cos’è che l’ha tenuto nella tasca dello sportello fino alla Vigilia di Natale. Rimane sulla strada senza muoversi di un solo millimetro, mentre io mi allontano da tutto quello che restava. Dal momento che nessuna promessa dev’essere a senso unico e nessuna promessa dovrebbe tradire chi la fa, preferisco rinunciarci inteso come vivere senza. Preferisco vivere senza il battito malato di quella parte abbandonata al gelo. Le piogge, la neve, la terra smossa, i vermi e il silenzio che l’ha ricoperta, tenendola al caldo, hanno permesso alle creature di star bene dove stavano, star bene e moltiplicarsi, un anno intero, fino a marcire a Natale. Come mi sono sentito bene un istante dopo averlo fatto. Un piccolo pacchetto dorato che non vale niente di niente. Un piccolo pacchetto dorato che ho cercato un giorno intero a piedi di una domenica di un anno fa. Mi piacerebbe sapere di cosa è fatto il tuo cuore, bellissimo alla vista. Rosso, luminoso, che al sole incanta di rubino. Intaccabile mentre del mio ritaglio gli angoli anneriti e mi convinco di aver così eliminato il male.
Questo è il mio augurio. Liberati del passato, non dei dolci ricordi, ma dei sassi, dei pugnali alle spalle, delle promesse tradite prima ancora di essere recitate da occhi teneri. Liberati di tutto quello che ti tiene ancorato al tempo tuo, che desideravi potesse durare per sempre. Tu, mentre qualcun altro si preoccupava di tagliare i ponti e sparire. Getta via tutto e fallo nel modo meno delicato, fallo e basta. Ammirevole lo sforzo per non impazzire, con i piccoli oggetti della memoria a un passo da ogni cosa che fai. Ma basta! È il tuo turno, ovunque ti trovi. Adesso tocca a te sparire, capisci? Fallo come faresti con un fazzoletto di carta usato, e ti sentirai prima meglio e poi bene.
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Scrivi un commento →: Domenica di ghiaccio e neve bruciati dalle parole di Iacopo Barison
Il venerdì 17 ha portato con sé un’energia bianca tale da aprire gigantesci squarci nel cielo da cui son venuti giù, su L’Aquila, sacchi di neve senza sosta, dal primo pomeriggio fino a ieri mattina. Me la sono vista brutta sul ciglio della salita, quando l’automobile davanti a me ha deciso, non so quanto giustamente, di fermarsi al bivio – uno può anche buttarsi nell’incrocio senza guardare, no?! Mi son dovuto fermare pure io solo che poi quella è ripartita, io spruzzavo schizzi di fango e neve dalle gomme, ma non mi muovevo di un millimetro e, se mi muovevo, era al passo del gambero. Sarà mica perché le antineve sono le stesse da dieci anni?
Ho visto anche alcuni sciatori gareggiare nella specialità del fondo, sulla statale; bimbi fare a palle di neve fra le macerie e vecchie godersi i giorni natalizi sulle scalette di invidiabili baite che, da più vicino, sono grandi cucce per cani che addormentano persone che una casa non l’hanno più. Comunque sono sopravvissuto alla nevicata+gelata e adesso mi aspettano tre giorni di riposo, inteso come non dover mettere piede in quel postaccio puzzolente in cui ogni giorno assemblo panini americani e friggo le “insuperabili Mc papatine”, ma avrò altro da fare. Potrei, per esempio, mettermi a studiare sul serio per questa stramaledetta tesi, come stramaledetta sia la facoltà di Informatica e stramaledetti tutti gli esami da dieci anni a questa parte. Ok, mi sono sfogato.
Ogni tanto ho bisogno di dire stramaledetta e stramaledetti se no esplodo. Potrei studiare, ma di sicuro rifinisce che scrivo. Il sole fuori la finestra non aiuta i miei doveri di studente fuoricorso e fuori ormai da tutte le logiche di una strada che passo passo ti porta da qualche parte e che non ho ancora imbroccato, o forse su quella strada ci sono nato e non lo so ancora. Io resto fermo, mi addormento e faccio incubi, moderati pure quelli, mangio troppo e nella testa, se potessi guardarci dentro, vedrei un mare di nebbia che si dissipa solo di rado e poi ritorna spazzando le immagini dei ricordi. Il cielo è tornato bianco e ha ingoiato il sole. Non vorrà mica ricominciare a nevicare?!
C’è un libro che ho letto e di cui vorrei parlarvi. Non lo conoscerà nessuno perché a pubblicarlo è stato un editore di quelli che si danno tanto da fare, ma che, quando chiedi un loro titolo, il libraio o ti fissa come se stessi pretendendo un etto di prosciutto cotto Rovagnati a Decathlon, oppure ti dice che il libro non esiste, certe volte pure l’editore. L’autore è Iacopo Barison, è giovanissimo, ventidue anni, e ha già dalla sua uno stile limpido, secco, efficace, irriverente. Era un po’ che non recensivo libri, ’28 Grammi dopo’ mi ha fatto tornare la voglia di farlo, così l’ho fatto.
Ecco la recensione per Sololibri.net. A chi volesse acquistarlo consiglio di evitare gli sfiancanti confronti coi librai e ordinarlo direttamente dal sito dell’editore che fra l’altro, noto, sta facendo i saldi natalizi.
Buona domenica a tutti!Chissà se il camionista, che sarebbe dovuto giungere a L’Aquila a scaricare insalate e pomodorini al Mc Donald’s e invece è rimasto bloccato trenta ore sull’autostrada nei dintorni di Firenze, è sopravvissuto. Trenta ore senza che nessuno sia andato a portargli una coperta, né qualcosa da mangiare e bere. Un po’ vergognoso, nonostante lo scatenarsi della Natura.
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Accattateville ‘Più libri’! Faciteme ‘stu piacere ia!
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Scrivi un commento →: Accattateville ‘Più libri’! Faciteme ‘stu piacere ia!Non credevo che il primo ostacolo da superare sarebbe stato all’ingresso e non per le immaginate code chilometriche che non abbiamo trovato. Sarà che non eravamo al concerto di Lady Gaga, ma a Roma, alla fiera della piccola e media editoria ‘Più libri più liberi’, e in Italia sono di gran lunga più i fan di Lady Gaga che i lettori dell’infinito leggibile. La biglietteria è separata dal portone del Palazzo dei Congressi da una scalinata che abbiamo salito prendendo a gomitate gli uomini dalle mani cariche di decine di libri su toccanti storie d’Africa, nera come la pelle. Io non nutro pensieri cattivi, non nei loro confronti e non a prescindere, però, se non sono interessato, tu non mi puoi prendere per un braccio e impedirmi di ignorarti. Restano poche libertà riconosciute in questa vita, non toglietemi pure quella di far finta che chi voglio non esista. A gomitate presunte, in certi casi reali, raggiungiamo l’ingresso. Sono due piani di stand dedicati alle piccole e medie realtà editoriali, come suggerisce il nome della fiera, tipo Sellerio, Voland, Il Saggiatore, Castelvecchi, Fanucci, Minimum Fax… Questa cosa non mi è mai piaciuta e sembrerebbe che stiano lavorando proprio in tal senso. Lo dimostra l’esclusione della Fazi e l’autoesclusione della Newton che, per voce dello stesso direttore editoriale Vittorio Avanzini, in un’intervista su Affari Italiani fa sapere che la sua casa editrice non è né piccola né media (l’unico a far finta di non capirlo era lui, mi sa). La Newton in effetti è la sesta realtà editoriale italiana con un fatturato di milioni di euro l’anno. Pertanto la decisione di lasciare la fiera ai piccoli, quelli veri, è stata buona e giusta. Mi arrabbio non perché non sia emozionante scorrere gli stand e scambiare qualche chiacchiera con chi manda avanti i colossi editoriali. Mi arrabbio perché lo spazio fisico è limitato, nonostante sia vastissimo è pur sempre un palazzo, mica una landa sconfinata, e questi qui hanno le porte spalancate a qualunque fiera. Uno stand di mezzo metro quadrato, pur perdendosi nell’oceano di tutti gli altri, è uno spazietto fondamentale e preziosissimo e non fa al caso di chi ha già dalla sua una sovraesposizione libraria in grandi e piccoli store, catene e librerie indipendenti, supermercati, bazar, mentre tanti piccoli editori appassionati si ritrovano a fare cin cin, al tavolo degli adorabili sconosciuti, per una libreria in più conquistata da un proprio titolo o per una recensione su un blog che tocca picchi di dodici visite giornaliere, e a vantarsi pure.
“Sai che ‘Leggolibridallamattinaallaseratrannequandofacciopipì’ ha recensito la nostra ultima uscita ‘Lo chiamavano Dentone’?” “Che invidia! Invece la nostra autrice Barbaria Pestaerba sarà ospite dell’ultima puntata di ‘A me mi piace’ la trasmissione di culto di La 140 TV, non è pazzesco?”
Sono contento per Fabio Geda e per il suo romanzo ‘Nel mare ci sono i coccodrilli’ che si è aggiudicato il “Libro dell’Anno” di Fahrenheit proclamato e premiato nell’ultima giornata di fiera al caffè letterario al primo piano, in diretta su Radio 3. Niente da dire su un libro che non ho letto, ma pare valga la pena farlo, però ci risiamo. Baldini & Castoldi Dalai non è proprio un piccolo o medio sgomitante editore (attualmente secondo in classifica col nuovo libro di Faletti, per dire). Mi domando se non sarebbe stato più carino (o giusto) assegnarlo a Cristiano Cavina o a Paolo Piccirillo e al suo ‘Zoo col semaforo’ pubblicato da Nutrimenti, ma è la gente attraverso internet a votare e quindi non mi sorprende la vittoria del più noto e più letto (ovvio!) dei dodici libri del mese. È come Sanremo, che lo vince Marco Carta e l’anno dopo Valerio Scanu. Il televoto, questo è il tarlo.
C’è di buono che quando meno te l’aspetti arriva l’amore, ma non quello che passa e va, quello di una toccata e fuga, quello del bacio rubato e chi s’è visto s’è visto. L’Amore con la a maiuscola, quello della vita che lo sai dal primo istante che durerà tanto, pure se lo conosci da più di dieci secondi e meno di un minuto. Io l’ho trovato al piano terra del Palazzo dei Congressi. Ve lo presento, si chiama Racing Green ed è il nuovo eReader della Simplicissimus. Io che mai avrei detto di poter leggere un libro senza sentire la familiare sensazione del contatto e del profumo della pagina, non riuscivo a staccarmi da QUESTO gioiellino verde acido che mi regalerò più prima che poi. Non è retroilluminato e la lettura non solo non stanca, ma le dimensioni, l’impaginazione e il carattere che puoi scegliere e ingrandire come vuoi, la rendono addirittura piacevole. Lo amo. Racing, vuoi sposarmi e venire via con me in viaggio di nozze con duemila libri dietro al peso complessivo di centosettantotto grammi? Sì, sì, sììì!
A chiudere la manifestazione diversi incontri. Sara Saorin, la mia editrice, è stata invitata a parlare della doppia esperienza di traduttrice ed editrice assieme. Si è confrontata con altri due editori di nicchia oltre che sul fascino della scoperta di storie lontanissime da portare in Italia, anche sulle difficoltà della piccola editoria e su quanto ci si possa ritenere fortunati intanto a mantenere la casa editrice prima ancora che a guadagnarci qualcosina. La sala Ametista era piena zeppa e io, il suo autore preferito (me lo dico da solo) costretto a stare in piedi, in fondo, con la schiena contro il muro e il giaccone in mano.
Oltre alla maschera di fiera per la piccola editoria a camuffare i grandi gruppi che ci magnano sempre, due altri sono stati gli aspetti un po’ fastidiosi. Il caldo, dio mio l’anno prossimo fate qualcosa, perché non si sopravvive lì dentro a quella temperatura e con tutti quei fiati che appesantiscono l’aria. E poi la tendenza alla svendita da bancarella. Cartelli di Tutto a Cinque Euro capeggiavano su molti stand; appena ti avvicini, l’essere umano preposto alla vendita ti risucchia nel suo mondo e non ti libera finché non sei tu a liberare dieci, quindici euro. Non mi piace il paragone dei libri alle mutande di terza scelta, in virtù di una crisi di cui ci hanno fatto le palle piene e grosse come mongolfiere. Ci mancava solo un megafono urlante: “Accattateville! Faciteme ‘stu piacere ia!”. Se un libro costa quattordici euro, vendilo a quattordici euro, vendilo a dodici, a dieci tiè, non a cinque, neanche fosse l’ultimo pomodoro molle avanzato nella cassetta del mercato a fine giornata. I libri meritano rispetto e mi aspetto che gli editori siano i primi a riconoscerglielo.
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Resoconto e video dell’avventurosa presentazione romana
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Scrivi un commento →: Resoconto e video dell’avventurosa presentazione romanaNell’aria distinguibile l’odore delle prime avvisaglie che precedono una serata avventurosa. Frank, che di solito è sempre in largo anticipo, arriva a casa, per la prima volta nella sua vita, con due minuti di ritardo. Devo prelevare e mettere benzina. Il bancomat di fiducia è fuori servizio. Ne troviamo un altro. Il traffico ci ingabbia. Chiamiamo Papi che ha appena staccato dal lavoro e ci dice che fra dieci minuti ci aspetta fuori assieme a Veru e Fabrice. Dieci minuti sono anche troppi per la distanza che dobbiamo colmare e invece a L’Aquila, per fare duecento metri alle sei del pomeriggio, di minuti ne impieghi quaranta. Qui ormai versano in stato tanto confusionale che si svegliano la mattina e ridisegnano le strade in modo molto creativo. Pieno di benzina e pieno in macchina. In cinque e Veru dice che secondo lei nella mia macchina in tre dietro non si può stare perché è stretta. E questa è la prima di tante cose che nel corso della serata le daranno fastidio. (Veru, loviù!)
Mangiaparole, il caffè letterario della presentazione, sta a Roma, in via Manlio Capitolino e allora Papi, da brava mamma del navigatore satellitare, seleziona Italia, città: Roma e scrive Via Manlio Capitolino numero civico 7, o almeno è quello che lei dichiara di aver fatto. Che il navigatore non fosse in giornata l’ho capito quando ha tentato di farmi imboccare tutte le uscite possibili e immaginabili della L’Aquila-Roma, pure quelle dei paeselli schifati persino dal nonno di Heidi. Non me ne sono più di tanto preoccupato, a Roma ci so arrivare. Il problema lo affronteremo dal casello in poi, sperando che il navigatore si riprenda. Così non è, le condizioni di quella diavoleria peggiorano al punto che prova a convincermi che mancano sempre due minuti alla destinazione. Lo dice alle 19.00, alle 19.20, alle 19.45, i due minuti sono sempre due minuti, nonostante siano passate due ore. Dopo un’infinita serie di Sto ricalcolando il percorso perché io sbagliavo a imboccare le vie, o lui sbagliava a segnalarmele, o il carro armato che la Papi in una notte di alcool deve aver scelto come icona mobile, si muoveva sul monitor così lento che mi diceva di girare un quarto d’ora dopo che avevo girato, o io non ci capivo niente con quella striscia viola che dovevo seguire, sarà per la tensione che si respirava, le lacrime che rigavano il viso della Papi e io che le dicevo: “Sì, ma tu che lo sai interpretare, che quando sei andata a Firenze ci sei arrivata davanti all’albergo, dimmi che strada devo prendere!” E lei biascicava: “Eh, adesso dice che…” “Dice che?” “Che devi gira’, no…” “Forza che c’è il bivio!” “Non lo so, non lo so!” PE-PEEEEEEEEE! “Aho, te levi da ‘mezzo ai cojoni?” (Comprensivi i guidatori per le strade romane.)
Fra duecento metri mantenere la destra. Mantengo la destra e… Sei giunto a destinazione. “Miracolo!”
S’insinua un dubbio. A destinazione sì, ma dov’è Mangiaparole? “Va be’, starà qua vicino” biascica Papi sempre più disperata, perché lei dentro di sé ha capito. Villa Borghese Parking. Io, come trascinato da una forza sovrannaturale, non so ancora bene perché, ci entro dentro. Chiamo Luca Sacchieri, l’altro autore, gli chiedo se Mangiaparole sta vicino al parcheggio di Villa Borghese. Ovviamente è dall’altra parte di Roma, sulla Tuscolana e manca mezz’ora alla presentazione. Dobbiamo uscire da qui. I parcheggi sono come la droga: ci entri gratis e ne esci a caro prezzo, un euro e settanta in cambio della libertà. Mi accosto qualche istante al lato della sbarra alla ricerca del segreto per farla alzare visto che la macchinetta non ha la fessura per inserire il denaro, e un rincoglionito a due chilometri orari mi tampona. Dopo la costatazione molto amichevole culminata con un: “Mi scusi eh, ma questa è l’ennesima prova che dopo i sessant’anni dovrebbero togliere la patente a tutti” riprogrammiamo il navigatore secondo le indicazione di Sacchieri e arriviamo sulla Tuscolana. Tutto questo alle nove passate, da poco però, nonostante qualcuno mi aspettasse da più di un’ora e non perché affetto da una curiosa sindrome della dolce attesa, ma perché gliel’avevo detto io che sarei arrivato un po’ prima per vedere la situazione. Invece sono arrivato un po’ dopo e la situazione era di decine di persone pronte a sbranarmi, non prima di aver finito il buon vino bianco nei calici.
Ho subito provveduto a farmi fare un doppio Bayliss, l’unico super alcolico in loro possesso, al quale bicchiere ne ho fatto seguire un altro di vino, e puntuale è arrivato il piacevole effetto.
Il pubblico folto e al loro posto.
Pronti via.
Ce la siamo cavata, nonostante fossimo rifiniti a parlare di gggiòòòvani e lavoro, gggiòòòvani e precarietà, i gggiòòòvani e il loro grande cuore. Non potevamo evitarlo visti i protagonisti dei nostri romanzi. C’è stata una bell’intesa e credo sia venuto fuori quello che avevamo l’urgenza di raccontare, quello che ci spinge ogni giorno a buttar giù dita e occhi sui tasti e non fermarci finché si può, quello che vive nei nostri libri. Io c’ho messo l’aspetto della mia personalità che non si abitua mai al contesto e va da sé, pronto a dissacrare le atmosfere seriose e a strappare una risata. Pur provandoci, quello a freno non lo tengo mai.
Grazie ancora a Luca Sacchieri di aver voluto condividere con me quest’esperienza. Grazie a Frank, Papi, Fabrice e Veru di aver riempito il viaggio di risate. Grazie a Vale e Raffy e poi ai simbiotici Alessandro e Marta, Luigi, Simone, Daniele (Geniale), Dani e la sua amica giornalista che è arrivata alle undici e, come promesso, scriverà del dopo presentazione (ah ah ah!), Andrea, Nicola, Rachele di SoloLibri e suo marito, Stefano Giovinazzo per aver pubblicato Luca, Sara Saorin per aver pubblicato me, Mangiaparole per averci ospitato e tutti coloro che hanno scelto di riempirlo e dedicarci un paio d’ore del loro tempo. Grazie a chi ha acquistato Supermarket24, conoscenti e non che spero mi faranno sapere cosa ne pensano. Tutti costoro sappiano che sono pronto a rimborsarli con gli interessi.
Questa era certamente l’ultima presentazione di Supermarket24 del 2010 di cui resta un documento video grazie al signor Mangiaparole che ha ripreso tutto e l’ha montato in sei minuti (io sono troppo scemo e il maglioncino è prugna non nero), ma non finisce qua (non finisce mai qua!) e allora ripartiamo il 2011, non so bene quando e da dove, ma so che sarà bello.
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Attenti a quei due!
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Scrivi un commento →: Attenti a quei due!Quella che pare una normale presentazione letteraria doppia invece nasconde invidie, riti oscuri, istinti omicidi latenti. Queste le scottanti rivelazioni che ho fatto ai microfoni di SoloLibri.net e, se io fossi in Luca Sacchieri, mi preoccuperei!
Matteo Grimaldi ci segnala la Sua prossima presentazione del libro “Supermarket24” a Roma e ci racconta la lunga strada da aspirante scrittore fino alla pubblicazione di due libri, entrambi rigorosamente senza contributi e con diverse ristampe sulle spalle. Un dietro alle quinte di come sia nata questa presentazione raccontato qui per noi da Matteo…
Ciao Matteo. Dopo molte peripezie, il tuo primo romanzo raggiunge anche la capitale! La tua sarà una presentazione doppia con un altro scrittore, che non conosciamo. Che ci puoi dire di lui?
Venerdì 3 dicembre presenterò a Roma (Caffè Letterario Mangiaparole – Via Manlio Capitolino 7/9 (Metro Furio Camillo) ‘Supermarket24’, insieme allo scrittore Luca Sacchieri che invece parlerà del suo ‘Boing Generation’.
Di Luca Sacchieri ho un’intera storia da raccontare! Me lo ricordo quando a diciotto anni vinse un concorso letterario col suo primo romanzo ‘Tributo a un ragazzo che come me’. Me lo ricordo perché io di anni ne avevo uno in più e lo invidiavo a morte. Scrivevo storie deliranti, piene di avverbi e paroloni desueti e orrendi, abusandone per convincere lo sfortunato lettore delle mie somme qualità. Non solo nessuno mi premiava, ma qualche amicale editore mi prendeva pure a male parole, invitandomi a cambiare mestiere. Nel frattempo, il ragazzo prodigio Sacchieri pubblicò il secondo romanzo ‘C.H.A.T’ con la Fermento e io continuavo a scrivere di stragi di condominio e a implorare chiunque di leggermi. Niente, non c’era verso di riuscire a farmi pubblicare neanche una parola, una sillaba. C’è mancato poco che realizzassi un bambolotto voodoo con qualche pezza dei suoi jeans o una sua ciocca bionda e sfogassi il mio rancore traforando la spugna con uno spillone… ZAC, ZAC!
E poi come è continuato il tuo percorso di aspirante scrittore fino alla pubblicazione del tuo primo libro di racconti?
Con il tempo le cose cambiarono. Cominciai a pubblicare racconti in antologie, cinque poesie, finché non avvenne il miracolo e nacque ‘Non farmi male’. Grazie all’affetto – più compassione, direi – dei lettori della Stanza del Matto, che allora toccava picchi di contatti giornalieri vertiginosi, il libro raggiunse la terza ristampa. Mollai il monitoraggio silenzioso di Luca Sacchieri per dedicarmi alla scrittura e a tutti i nodi irrisolti della mia vita. Poi c’è stato il terremoto de L’Aquila (dove vivo) e, dopo una travagliata agonia editoriale, riesce ad uscire ‘Supermarket24’.
Terminata la fase “invidia”, quado hai ritrovato sulla tua strada Luca Sacchieri?
Per caso quest’anno, quando scoprii il suo ultimo romanzo ‘Boing generation’ nel catalogo della casa editrice romana ‘Edizioni della Sera’. A caldo mi venne voglia di tirar fuori dal baule degli oggetti dimenticati il bambolotto voodoo, dargli una scrollata dalla polvere e riprendere il rituale, perché lui è sempre un libro avanti a me. Invece, ho avuto modo di conoscerlo e scoprire un bravo scrittore e un ragazzo che ragiona bene, simpatico e stimolante. Quando gli ho raccontato della mia giovanile ossessione nei suoi confronti, si è messo a ridere, non sapendo di aver avuto uno stalker alle calcagna.
Come è nata l’idea di una presentazione doppia?
La buttammo lì: “Facciamo una presentazione insieme a Roma?”. Luca venne a L’Aquila per incontrarmi, parlare di libri, (non soltanto dei nostri, che intanto ci eravamo scambiati), farci venire mezza idea su come realizzare la presentazione (che alla fine non è venuta), e vedere la situazione odierna della mia città. Non si aspettava di trovarla così: ferma, silenziosa, arresa. Fuori di qui dicono che è tutto apposto, che L’Aquila è stata ricostruita. Berlusconi parla di miracolo aquilano e buona parte dell’Italia ci crede finché gli occhi non vedono. Non è possibile modificare le immagini che gli occhi catturano: quelle nessuna campagna mediatica o elettorale, nessun telegiornale, nessun tono di voce può stravolgerle, perché io ai miei occhi ci credo e come me Luca Sacchieri che ha voluto non fidarsi delle parole dei potenti e camminare queste strade obbligate, per poi raccontare attraverso il suo blog (http://lucasacchieri.blogspot.com/), senza filtri, dai suoi occhi.
Hai letto “Boing Generation”: dacci un anticipo di cosa ne pensi…
Leggendo ‘Boing Generation’ scopro che intanto io sto attraversando proprio la fase dei protagonisti del libro. Potrei salire su un’automobile a caso e mettermi in marcia verso il niente, purché sia lontano da qui e da quello che faccio tutti i giorni per necessità. La cosa mi incuriosisce e preoccupa allo stesso tempo: non è detto che a un certo punto non scappi sul serio. Poi scopro che Luca Sognatore, il protagonista del mio ‘Supermarket24’, potrebbe tranquillamente trovarsi in macchina con me, o con i ragazzi della generazione Boing, che si costruiscono una corazza che li difenda dai fallimenti, che saltellano senza mai trovare un pezzo di terra su cui mettere radici, che scappano senza marsupio perché finora non hanno trovato niente di fondamentale da portare con loro.
Non ci resta che ripetere tutti i dati per vederti dal vivo e ricevere il tuo invito…!
L’appuntamento è per Venerdì 3 dicembre alle 21.00 al caffè letterario Mangiaparole, in via Manlio Capitolino 7/9, fermata metro Furio Camillo. Oltre a me, ci saranno Luca e il suo editore Stefano Giovinazzo e, si vocifera, qualcosa di simile ad un aperitivo per tutti i presenti. Siateci pure voi.
Ecco l’invito all’evento su Facebook: http://www.facebook.com/SoloLibri.n…
Ringrazio Rachele Landi e l’articolo lo trovate pure laggiù.