Era difficile. Non che le altre presentazioni non lo fossero, però questa per come l’avevo pensata, era davvero una sfida, più con me stesso che con la gente. Ho deciso fin da subito di liberarmi del moderatore: quell’omino che si fregia del titolo di giornalista o critico o scrittore o tutti e tre e qualcun altro ancora, abbastanza noto nel circondario cittadino, pagato o non pagato per ricoprire l’autore e la sua opera di complimenti a prescindere, sottolineando il valore immenso di una voce giovane e brillante, magari proprio quella che la letteratura italiana aspettava da tempo.
“Chi ti presenta?” mi domandava qualcuno un paio di giorni prima. “Nessuno!” rispondevo con gli occhioni luccicanti di lacrime del Gatto con gli Stivali di Shrek. Non sono uno scrittore orfano che nessuno vuol presentare, la verità è che li avevo fatti fuori tutti perché volevo presentarmi da me. Il mio unico obiettivo era quello di raccontarmi e far conoscere il mio nuovo libro, non quello di sentirmi lo scrittore del millennio. E allora, con la complicità di Giampaolo, il cantante degli Intrigo, abbiamo dato vita alla serata con un piccolo sketch comico. Al microfono, nascosti dietro una tendina di canne, invisibili al pubblico: “Giampa’?!” “Oh!” “Ma hai visto quanta gente?” “Sì, ho visto!” “E mo’?!” “Eh, mo’ vai e fai la presentazione!” “Ma che dico?” “Non lo so, avrai preparato qualcosa.” “No, perché io pensavo che saremmo stati io, te, mia madre e il padrone del locale. Va be’, qualcosa m’inventerò, andiamo!”
Siamo entrati, anzi usciti su questo meraviglioso terrazzo con vista su L’Aquila, pieno di tavolini e di persone, ed è partito l’applauso giusto per cominciare alla grande. I due Jagermeister più quello che doveva essere un amaro alla liquirizia, e invece era una roba all’amarena che io ho comunque bevuto – tutto fa brodo! – , hanno fatto l’effetto sperato; procedevo come un treno alternando il mio gaudente parlare con il live degli Intrigo. Ad un certo punto ho totalmente perso la concezione del tempo perché dell’esistenza del tempo me ne sono dimenticato finché non mi sono accorto che erano le 8 e mezza e che avevo parlato per 2 ore di Luca Sognatore, dei suoi incontri, dei clienti e dei colleghi paranormali, del suo cinismo, della tenerezza che affiora all’improvviso. Ho deciso di chiudere nonostante avessi ancora un sacco di cose da dire. I festeggiamenti sono durati a lungo finché noi ultimi 4 verso le 11 siamo andati a mangiare al Cinese.
Dalle foto della serata che potete ammirare su Facebook (in queste due che ho postato o sembro magro o non compaio) mi sovviene una considerazione spontanea: sto ingrassando pure se il mio fidato specchio continua a mostrarmi un’immagine gradevole di me. 2 son le cose: o il mio è come lo specchio della strega di Biancaneve che non smette di adularmi (sotto minaccia) nonostante l’inesorabile passare degli anni, oppure sono molto specchiogenico e poco fotogenico. Oltre al mio specchio dovrei ripetere i ringraziamenti che ho fatto giovedì sera, ma ve li risparmio. Però qualche parola su mia madre e mio padre la devo dire. Chi mi segue dall’inizio, da quando un sacco di anni fa ho manifestato la mia passione e ho cominciato a coltivarla sul serio, sa bene che mio padre, ma soprattutto mia madre l’ha sempre considerata una perdita di tempo. La testa pazza di un figlio che non riusciva a dar loro alcuna soddisfazione lo spingeva verso un futuro di scribacchino illuso, fallito e patetico. Ero certo che fra i tanti complimenti avrei ricevuto le loro delicate mazzate pronte a trasformare una serata di successo in un flop colossale. Però li ho invitati comunque. Le parole uscite dalla bocca di mia madre sono state: “Non pensavo fossi così bravo”.
Non riesco a spiegare quello che ho provato in quel momento, però provate a immaginare cosa può voler dire sentirsi apprezzati da chi invece ha sempre manifestato ribrezzo per quello che per voi invece vale come la vita. Metteteci pure che quel chi è vostra madre. Ecco.
Questa è la mia vittoria più grande unita a una serata che porterò sempre nel cuore e che a questo punto m’impegnerò a ripetere altrove.
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Non pensavo fossi così bravo
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Vento Letterario
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Scrivi un commento →: Vento LetterarioIn questo preciso momento, steso a pancia in giù sul letto della mia stanza verde, col primo fresco di una giornata soffocante che penetra fra le persiane, sono tantissime le informazioni che giocano all’autoscontro nella mia testa. Devo fare una pausa per elaborarle. Una pausa non troppo lunga altrimenti chiudo gli occhi e buonanotte. Informazioni confuse si intrecciano, talvolta fondono, e quando due cose si fondono non è più possibile recuperarle singolarmente. Se poi gli elementi sono decine allora conviene fermarsi e godere delle sensazioni che restano, senza pretendere di isolarli per analizzarli.
Vento Letterario. Tre giorni splendidi segnati da incontri inaspettati. Sono gli incontri la discriminante di un’esperienza. Una piccola fiera a Finale Ligure in piazza Vittorio Emanuele II, che tutti gli abitanti del posto conoscono come Piazza dei Cannoni, dedicata all’editoria indipendente di qualità, quella degli editori che producono coi loro soldi gli autori in cui credono, per capirci. Stimolante il confronto con ISBN, nostri vicini di stand; con Luca della Bradipolibri che ringrazio per l’interessamento a me e alla mia storia, ma in generale felice di aver conosciuto di persona tutta una realtà editoriale fatta di nomi sinceri che lavorano con passione per far emergere giovani o vecchi talenti inascoltati e che fino al 16 luglio conoscevo soltanto attraverso la rete e le loro pubblicazioni. È un’esperienza che mi ha arricchito come autore, e che auguro ad Andrea e Carlotta, fra i principali organizzatori, di poter riproporre con successo anche il prossimo anno. Chissà cos’avranno pensato tutti di me e Sara l’editora che dormivamo soli soletti nel nostro bungalow al campeggio Tahiti. La vita è tutta un do ut des.
Un grande abbraccio alla bellissima famiglia che gestisce il bar Mapu poco distante dal campeggio. L’ho conosciuta per caso il secondo giorno, entrando con la voglia di un cappuccino e cornetto e riuscendo, oltre 2 ore dopo, con la pancia piena del pranzo. In bocca al lupo per la vostra storia d’amore nata grazie a uno scontrino e a un finanziere che ferma una bella fanciulla fuori da un locale. Di quei giorni mi mancheranno le mattinate in quello che Sara chiamava il tuo ufficio, e cioè uno spazio d’ombra dietro al bungalow in cui circolava ossigeno respirabile. Tavolino, bottiglia d’acqua e portatile e giù a scrivere. Mi mancheranno i pomeriggi e le serate allo stand, le chiacchiere coi colleghi e con gli strani personaggi che si avvicinavano a chiedere informazioni o a consegnare manoscritti e fascicoli esplicativi di progetti improbabili. La signora amante della letteratura postuma indicando Supermarket24: “L’autore di questo libro è morto?” e io lì intento a gesti scaramantici, grattatine e cornini con le dita. “Signora, Supermarket24 non fa per lei ché io voglio vivere ancora e tanto, soprattutto!” Mi mancheranno le pizze alla Caprazoppa, gigantesche e gustose, dove ci hanno trattato da principi. E poi la lunga passeggiata per tornare al Tahiti con Sara, stremati. Le chiacchierate fuori al bungalow, al venticello finalmente fresco fino alle quattro di notte; quelle altro che Mastercard.
Non mi mancherà mai il viaggio di ritorno in treno. Se tu paghi 59 euro e 90 e all’una e mezza ti dicono che si è rotta l’aria condizionata, t’incazzi un attimo o sono l’unico pazzo che tiene alla propria sopravvivenza? Mentre i miei compagni di carrozza agonizzavano imponendosi l’immobilità per sentire meno caldo io sono andato dal controllore e gli ho chiesto se potevo trasferirmi in un’altra carrozza. Lui ha risposto: “No, perché i posti sono numerati”. Quando gli ho fatto notare che avevo pagato 59 euro e 90 solo andata e l’ho invitato a farsi il resto del viaggio nella mia carrozza, accompagnando il tutto con l’espressione del viso che assumeva i connotati di una iena non tanto ridens, mi ha risposto che potevo. Non so in quanti siano sopravvissuti alla strage della carrozza 6 che, si vocifera, diventerà un film diretto da Stanley Kubrick.
A proposito di strage e morti diciamo tutti addio alle ciabattone di legno di faggio acquistate 7 anni fa nel corso di una vacanza per sostituire i saldali del Dottor Scholl, stroncati da una passeggiata. Lo stesso è accaduto ai ciabattoni. Tornavo dalla prima doccia, causa sasso stronzo + scivolata, si sono aperti in due e sono dovuto tornare al bungalow fluttuando come una madonnina e rassicurando con sorrisi di circostanza, peraltro naturalissimi, tutti coloro che osservavano questo ebete di 2 metri in accappatoio multicolor che procedeva a mezzo decimetro orario coi piedi sporchi di terra fingendo interesse per il mondo attorno, ovviamente unica causa di quel procedere stanco.
Speravo di racchiudere in un unico post (sono pigro io) tutti gli ultimi accadimenti letterari, ma già sta prendendo i connotati di un papiro e ne avrei di cose ancora da raccontare, tipo la presentazione di giovedì – tipo eh! – che rimando al prossimo.
Vado a nutrirmi delle esalazioni di fritto di nuggets e patatine Mc Donald’s, evviva la domenica!
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Mi riposo, son contento?
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Scrivi un commento →: Mi riposo, son contento?Da oggi ferie.
“Ti riposi, sei contento?” sento riecheggiare. Chi s’è azzardato a parlare? Non mi riposo per niente per i seguenti motivi.
– C’è un libro da consegnare entro settembre.
Non che scrivere sia diventato stancante, ma neanche è un week end alle terme. Parto dal presupposto che passerò ogni minuto libero di questa settimana immerso nelle atmosfere del nuovo romanzo. I minuti liberi non si possono programmare, sono ritagli che spuntano inaspettati perché salta un appuntamento o perché mi faccio negare ai perditempo che si stanno raggruppando e i grandi numeri creano pericoli. Hanno il potere di chiamarmi, cercarmi, linkarmi, facebookarmi, mailerarmi, suonarmi al citofono, mettersi a gridare fuori la porta della mia stanza (quella è mia madre quando è pronta la cena) sempre quando sono assorto in una ben precisa fase della giornata, quella più importante, quella senza la quale tutto andrebbe a rotoli: la logistica. Comunque mi sto abituando ad andare in giro col portatile incollato alle chiappe.
– Dal 16 luglio al 18, inclusi gli estremi, sarò a Finale Ligure per Vento Letterario.
Non si tratta di un cataclisma naturale in cui si vedono libri di Moccia volteggiare nell’aere e poi abbattersi rabbiosi e pesanti come mattoni di piombo su innocenti esseri umani che non avevano davvero fatto nulla per meritarsi una tale sciagura. Vento Letterario è la prima fiera dell’editoria indipendente di qualità. Questa definizione pone le basi per molteplici interrogativi del tipo: Chi la decide la qualità? Come si riconosce l’editoria di qualità dal porcaio? E soprattutto, se davvero quella di Finale Ligure è la fiera dell’editoria di qualità, che caXX ci stai a fare tu? Vi prego di fare lo sforzo di sorvolare sulla terza e poniamo l’attenzione sulle prime due. La qualità l’ha selezionata l’entità Fiera, perché lei, la signora, anzi signorina Vento (non sto parlando di Flavia, e non credo fosse necessario specificarlo, ma non si sa mai) è la prima fiera d’Italia che si avvale del potere imperialista di decidere quale editore entra e quale no. Il criterio non è la simpatia, ma la qualità e qui veniamo al punto due. Esistono due tipologie che identificano la stessa categoria “editore”, con un’infinità di sfaccettature che migliorano o peggiorano di un niente il concetto di base. Ci sono quelli che ti impolpettano la testa di storie che parlano di difficoltà del settore, di esordienti che non vendono, dell’Italia paese di capre e cavoli in cui nessuno legge, e allora nonostante il tuo libro sia l’opera d’arte che il pianeta Terra attendeva da secoli (qualcuno aveva dubbi al riguardo?), se vuoi vederlo travestito da libro, devi autoprodurti, anzi, partecipare alla produzione dicono, come se i tuoi soldi non fossero abbastanza per pubblicarne non uno, ma cinque di libri, oppure acquistare settecentomila copie a prezzo pieno. Insomma tirar fuori un mucchio di pippi sia che si tratti di una richiesta di contributo evidente sia di una celata come l’acquisto copie. L’arguto aspirante autore si ripete che deve credere nei propri sogni, che se non lo fa lui perché dovrebbe farlo qualcun altro e allora che fa? Corre in banca e fa il bonifico, ovvio, e ritrova le sue (bruttissime, perché realizzarle in modo dignitoso sarebbe costato troppo) settecentomila copie, scaricate da un camion direttamente nella sua stanza. E mo’ vendile! E poi ci sono quelli che pur navigando spesso in acque difficili, mai si sognerebbero di chiedere un centesimo ai pochi autori che possono permettersi di pubblicare. Quelli che lavorano accuratamente al libro passo passo perché quel libro lo devono vendere. Quelli che hanno un distributore vero, perché i loro libri li devono vendere. Quelli che ogni occasione è buona per una presentazione, perché quel libro lo devono vendere. Quelli che scrivono tutti i giorni comunicati stampa e segnalazioni ai giornali e siti web e pure alla TV che non si sa mai, perché quel libro lo devono vendere. Queste si chiamano promozione e distribuzione. E sapete perché lo devono vendere a tutti i costi? Perché quel libro, signori miei, l’hanno pagato loro. Parlerò di editoria a pagamento più in là, intanto cominciate a studiare a memoria la sacra bibbia della lotta contro i vampiri della parola, il Writer’s Dream diretto dalla condottiera più querelata d’Italia Linda Rando di cui sono ormai da mesi fedele adepto. Tagliando, alla fiera parteciperanno ventisei editori, alcuni noti (Marco Y Marcos, Stampa Alernativa) alcuni stra-noti (Minimum Fax (attualmente primo in classifica), Nottetempo, Voland) alcuni semisconosciuti come la mia piccola e appassionata Camelopardus, ma tutti accomunati dall’unica politica editoriale che merita di essere portata avanti e difesa e cioè, se non si era capito, quella della pubblicazione free.
La mia editrice è convinta che me ne starò buono buono allo stand a salutare le signore e a vendere qualche copia di Supermarket24 e invece mi incollerò come una medusa allo stand della Voland per farmi regalare (il sottolineato ha reso bene l’idea?) tutta la bibliografia della Nothomb e andrò in giro a conoscere e chiacchierare con chi da mesi scambio commenti, pareri e “mi piace” su Facebook: Andrea Malabaila e la sua bella Carlotta di Las Vegas (edizioni, ché lei è italianissima), per esempio che voglio ringraziare perché per la riuscita di questi tre giorni di libri ci stanno mettendo l’anima e un po’ più di tre giorni di lavoro e tempo.
– Il 22 luglio alle 18.00 aperitivo letterario per presentare Supermarket24 a L’Aquila.
Uno dice 22 luglio e pensa di avere ancora decenni per preparare la serata e invece mancano nove giorni di cui quattro sarò impotente per i motivi del suddetto punto e uno servirà per riprendermi dal jet lag. Le locandine e i volantini comunque arrivano domani perché Pino è un supereroe che li ha disegnati e spediti in sette minuti e mezzo (grazie di esistere!) e io dovrò attaccarli e distribuirli in un tempo simile. Vogliamo parlare del fatto che non so ancora chi canterà, perché qualcuno deve cantare, oppure ballare, oppure recitare. Chi sa fare qualcosa mi contatti perché a seguito di un casting lampo verrà assoldato per intrattenere i tanti (si spera) spettatori mentre il sottoscritto ingolla il sedicesimo spritz prima di ricominciare a parlare a macchinetta. Esiste un evento su Facebook la cui creazione, per un impedito come me, può esser già definita un evento. Andate e moltiplicatevi! Intanto le previsioni dicevano sole sole sole per tutta la settimana e qui si sta scatenando un nubifragio. Cosa potrebbe accadere il ventidue che sono previsti rannuvolamenti? Siete ancora convinti che mi riposerò in queste ferie? Spero di potercela fare a scrivere qualcosa nei giorni di fuoco, o anche prima. Altrimenti non pensate subito che mi sia suicidato. Potrebbe non essere andata così, siate fiduciosi. Sempre.
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Scrivi un commento →: Pescata a rubare la assumono e poi, ripescata a rubare, la licenziano
Cassino (Frosinone), 18 mag. – E’ stata sorpresa a rubare qualche pezzo di formaggio in un supermercato di un centro commerciale di Cassino. Una 50enne disperata ed affamata, madre di un ragazzo disabile, si era ridotta a rubare per poter mangiare. Qualche giorno fa’, e’ stata pero’ scoperta dalla sorveglianza che ha immediatamente allertato il proprietario ed i carabinieri. Quando il dirigente del cento commerciale e’ venuto a conoscenza della situazione di disagio che la signora e’ costretta a vivere, non solo ha deciso di non sporgere denuncia ma l’ha assunta nel supermercato. Una storia d’altri tempi questa, che fa onore a chi in un territorio come il cassinate, minato da disoccupazione e crisi economica, riesce ancora ad avere il coraggio di dare uno stipendio a chi ne ha strettamente bisogno.
Fonte AGI
Son belle storie queste qui. Spezziamo una lancia a favore dei direttori dei supermercati. Mica son tutti come il mio Dottore di Supermarket24! Certo è che la tentazione del formaggio tornerà a torturarla finché lei, come un criceto cinquantenne, ricadrà nel fallo. Stavolta però la licenziano e poi le porgono il conto di centoventimila euro: l’equivalente delle caciottine e crescenze prese in prestito e non ancora restituite.
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Io sono Zion, piacere!
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Scrivi un commento →: Io sono Zion, piacere!Mia sorella ha portato a casa una cagnetta e l’ha chiamata Zion che si pronuncia Zaion che sarebbe la città di Matrix, quella al centro della Terra. Zion ha un mese e mezzo e la lingua spugnosa e tiepida che quando ti lecca sembra che ti avvolga, non voglio pensare alla sensazione che mi darà la medesima leccata quando avrà un anno o due e la lingua sarà grande come uno straccio da cucina. È molto elegante, la signorina, ha pure lo smalto alle unghie che sono bianche e alcune nere, come i cuscinetti sotto le zampe che sono rosa e alcuni neri, però piange tanto che questa casa la notte sembra abitata da uno spettro. Le abbiamo messo un cesto con un cuscino che lei usa sì, ma come scalino per raggiungere il divano e là si addormenta.
Mia madre era partita con lo stabilire una serie di regole fondamentali per garantire alla cagnetta una convivenza civile con la sua psiche di casalinga disperata fra cui: Il cane non deve salire sui divani perché quando avrà il diritto di raggiungere il salotto non possiamo rischiare che con le zampe strappi la pelle verde del grande divano, orgoglio della villa. Ebbene, regola depennata. Zion può salire dove vuole, pure sui letti, l’importante è che non la si perda neanche un attimo di vista se no si accuccia e piscia e caca. La fa a tradimento. Sarà perché, come è giusto che sia, non vuole essere guardata mentre cura le sue faccende più intime.
Italia e Nerozza l’hanno accolta con grande affetto. Le mie tartarughe acquatiche che insieme a me compiono gli anni e son vecchiotte loro che spegneranno 4 candeline, io 29, ma si parlava di loro che son vecchiotte non di me che una bambina mi ha dato 20 anni e un bambino 1 anni (tralasciamo quello stronzetto decenne che me ne ha dati 39 che era di sicuro ubriaco) la vogliono dolcemente mangiare. Appena si avvicina all’acquario loro avanzano minacciose scambiandola probabilmente per un bastoncino vitaminico gigante. Ed è proprio la sua forma smagliante (a salsiccia) che le ha fatto guadagnare subito subito il titolo di Miss Magrezza.
Il rapporto che ha stabilito Iker finto labrador con lei è vicino alla rassegnazione passiva. Si fa fare di tutto e indietreggia per paura di farle male. Si abbandona a terra con la salsiccia che gli tira le orecchie e gli salta addosso e gli lecca la faccia mentre lui socchiude gli occhi e talvolta sbuffa. L’altra sera dev’essersi rotto i coglioni pure lui se a una certa è uscito dalla sua cuccia, si è avvicinato alla serranda del garage e dall’esterno ha lanciato due wof woooof! ma due di numero, poderosi e convincenti che l’hanno fatta ammutolire e non ha pianto più. Quella è stata l’unica notte della scorsa settimana in cui ho chiuso occhio.
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Supermarket24 al TG di TVuno
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Scrivi un commento →: Supermarket24 al TG di TVunoLa sedia da ufficio rossa con le rotelle su cui abitualmente appoggio il mio didietro quando scrivo, ma pure quando leggo, insomma quando mi siedo (ma va!), ultimamente è diventata un po’ scomoda. Devo fare un po’ d’ordine, o semplicemente acquistare all’Ikea, ma pure al Lidl, un pratico appendiabiti di un verdino che s’intoni allo stile della mia stanza, che possa restituire alla suddetta la sua originaria funzione di accogliere il mio didietro e farlo con la massima professionalità e confort.
Vado un po’ di fretta altrimenti arrivo in ritardo alla prova fragranze con la mia amica Francesca, nonché futura (prossimissima) sposa, che mi farà comprare non uno, non due, almeno tre, ma forse pure quattro o cinque profumi: “Praticamente identici agli originali”, ma che non sono gli originali e costano un terzo. È quel praticamente che mi preoccupa un po’, ma io sono fiducioso. Non vorrà mica gabbare il suo testimone di nozze!
Per tutti gli aquilani, e per tutti gli abitanti del mondo che posseggono Internet vi segnalo che all’edizione delle 13.45 e a quella delle 19.15 del TG di TVuno che è la televisione dell’Aquila, qualcuno parlerà di Supermarket24.
Potete seguirla sul satellite. Si dice così, ma io non saprei spiegarvi su quale dei tanti satelliti che orbitano nello spazio infinito si trovi il segnale. Che poi pare semplice, ma a me non sembra proprio cosa da tutti i giorni farsi una passeggiata fra buchi neri, nane bianche e stelle comete. La vedo più facile in streaming su: http://www.tvunoaq.tv
La tuta spaziale l’ho indossata già, il casco coi tubi ce l’ho in equilibrio sulla testa e son pronto a schiacciarlo sperando che mi entri, la navicella emette fumo da un’ora e mezza ormai fuori il cortile (son motori particolari, ci mettono tempo a scaldarsi). Sta per iniziare il countdown. Uno spruzzo di Acqua di Giò che non è Acqua di Giò, ma è identico e si parte.
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In Abruzzo noi proviamo a far letteratura
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Scrivi un commento →: In Abruzzo noi proviamo a far letteraturaSul nuovo numero di Monitor si parla di Supermarket24, di me e di altri giovani abruzzesi animati dalla passione per la letteratura.
Le parole raccontano il mondo. Alessio, Alessandra, Andrea e Matteo le usano per raccontare i loro mondi sommersi. E per far rivivere la loro terra, l’Abruzzo. Lo fanno senza scorciatoie. Non scrivono del terremoto, come hanno fatto molti, troppi in questo ultimo anno. Loro non vanno alla ricerca di un facile successo. Ma solo di un modo per raccontare se stessi e una terra che cerca la forza per riemergere. Anche e soprattutto attraverso i giovani. […]
E poi c’è Matteo Grimaldi, 29 anni, dell’Aquila. Vorrebbe essere Luca, il protagonista del suo romanzo “Supermarket24”. O almeno vorrebbe avere il cinismo con cui Luca, un giovane in cerca della propria indipendenza, affronta il primo giorno di
lavoro nel reparto ortofrutticolo di un supermercato. Il libro è la telecronaca delle 24 ore vissute da Luca, delle sensazioni provate e degli incontri fatti. Una situazione che Matteo ha vissuto personalmente. «Il libro non è autobiografico – precisa – Le situazioni che ho vissuto mi hanno dato l’ispirazione, ma sono sempre estremizzate ».
Alessio, Alessandra, Andrea e Matteo. Quattro ragazzi come tanti che hanno trovato nelle parole un modo per esprimere se stessi.Autrice dell’articolo è Angelarosa Pinto che ringrazio. Potete scaricare l’intero numero, che ci son tanti begli articoli, cliccando qui.
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Piccola intervista su Scrittori d’Italia
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Scrivi un commento →: Piccola intervista su Scrittori d’ItaliaEcco una nuova intervista stavolta sul forum di Scrittori d’Italia che vi riporto per intero perché mi piace l’effetto virgolettato con lo sfondo grigino. Apprendere nuove funzionalità di WordPress ti apre la porta su mondi meravigliosi.
1) Chi è, e perché scrive Matteo Grimaldi?
Matteo Grimaldi è uno che, nonostante i ventinove siano prossimi, non sa ancora cosa ne sarà della sua vita, stravolta come la città in cui vive, ma che intanto fa quello che gli piace, o meglio, infila quello che gli piace in giornate composte per la maggior parte di ore che non gli piacciono. Lavoro al Mc Donald’s dell’Aquila e mi manca la tesi per laurearmi in Informatica. A meno che non decida di venire alla luce da sola, per ora non se ne parla. Scrivo perché scrivere mi fa sentire bene. Trovo sia un ottimo rimedio alle arrabbiature che mi provoca la realtà.
2) Ti va di parlarci della tua ultima pubblicazione “Supermarket24”?
Supermarket24 è la storia di Luca Sognatore che a venticinque anni è stufo di dipendere dalla sua famiglia e allora s’imbarca in lavori di tutti i tipi finché non finisce al supermercato SpesaPiù di piazza Dante a L’Aquila. Il romanzo è la cronaca del suo primo giorno di prova al reparto frutta. Ventiquattro ore esatte fatte di incontri, confidenze, torture fisiche e psicologiche operate da clienti e colleghi con alle spalle vite dalle quali fuggono rifugiandosi in quelle otto, dieci ore giornaliere di lavoro. La particolarità del libro sta proprio nella molteplicità di vite che si incontrano e scontrano e che Luca, col suo sguardo cinico e spesso cattivo, non si fa problemi a giudicare. Ho provato a infilare in questo libro anche un po’ della nostra Italia, del senso di precarietà che investe i giovani che si ritrovano con un pezzo di carta o anche senza, ma con nessuno che abbia voglia di credere in loro. È un libro estremamente divertente, che vuole guardare la vita con ironia e prenderla a ridere, ma in alcuni passaggi commovente, perché su certe esperienze c’è poco da ridere e poi dolce, come i sentimenti che all’improvviso nascono nel cuore.
3) Lo hai pubblicato con la casa editrice Camelopardus. Mentre nel 2006 avevi esordito con la raccolta di racconti “Non farmi male” per la Kimerik. Quali sono state le differenze che hai subito notato tra queste due case editrici? Hai notato una evidente diversità di lavoro tra la casa editrice non a pagamento e la casa editrice a pagamento?
Intanto devo precisare per l’ennesima volta che io non ho tirato fuori un centesimo per pubblicare con Kimerik. Non conosco i contratti e le condizioni che la casa editrice propone agli autori, però posso parlare della mia esperienza. Di Non farmi male è stata fatta una primissima edizione molto limitata: 200 copie, una sorta di esperimento. Copie che sono andate esaurite in due settimane soltanto con gli ordini da internet. A questa edizione ne sono seguite due da 1000 copie ciascuna, tutte e tre a spese della casa editrice ed effettivamente distribuite nelle librerie. Io sono contrario all’editoria a pagamento. Non pagherei mai per vedermi pubblicato. Ritengo che ogni autore debba valutare un editore per la proposta che fa a lui, non per altro. La Kimerik è stata la prima casa editrice a credere nelle mie qualità e mi ha dato la possibilità di farmi conoscere e cominciare a percorrere la strada che poi mi ha portato alla Camelopardus e a Supermarket24. Sara Saorin di Camelopardus è un’editrice fantastica. Può permettersi di investire su pochi autori perché lei soldi non ne chiede a nessuno. È appassionata, si fa in quattro(mila) per promuovere i suoi libri realizzati al meglio in ogni singolo dettaglio a partire dall’estetica che non ha nulla da invidiare alle edizioni di editori blasonati. Con lei si è instaurato un rapporto d’amicizia e collaborazione. Mi sento molto fortunato ad essermici imbattuto, anche perché come forse nessuno sa, Supermarket24 doveva uscire con Edizioni di latta, editore giovane e distribuito da ALI che tutto a un tratto decide di chiudere. È stata una bella, anzi bruttissima botta e la Camelopardus ha rappresentato la mia rinascita.
4) Progetti per il futuro? Un sito dove possiamo trovarti?
Progetti sì, uno eccitante e molto ambizioso. Sto scrivendo il mio terzo libro e ci sto mettendo tutto quello che ho dentro. C’è tempo per parlarne. Potete trovarmi su www.matteogrimaldi.com e su Facebook in cui sono un po’ più interattivo. Un saluto e un abbraccio a tutti.
Grazie a Giuseppe Berardi.
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È una festa notturna, non è un funerale
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Scrivi un commento →: È una festa notturna, non è un funeraleEsco dal lavoro dopo dieci ore. Ho una fame che statemi lontani se no vi mangio a mozzichi crudeli, gnam gnam. La schiena mi ricorda della sua esistenza a colpi di sciabola (una curiosità: quanto impiega un nervo infiammato a smettere di esserlo e tornare nell’oblio a farsi i cazzi suoi indolore?) e l’antidolorifico ha finito l’effetto. Fuori fa un freddo che si fa notare, perché erano giorni che col sole l’aria tiepida mi aveva quasi illuso di una primavera stabile, invece ieri siamo arrivati a tre gradi sopra lo zero e un venticello per niente simpatico. Però ho un appuntamento e non c’è scusa che tenga.
È una festa notturna, non è un funerale. È passato un anno esatto e L’Aquila ha voluto dire a tutti che intanto esiste ancora, che è piena zeppa di gente che la ama e che quei 308 angeli se li ricorda eccome. L’ha voluto fare in una fiaccolata memorabile. Oltre 25 mila luci hanno percorso chilometri in un infinito serpente di persone che parlavano fra loro, che si conoscevano già o si conoscevano perché vicine, che sorridevano.
25 mila alle tre di notte non sono proprio 4 gatti. Sono 25 mila appunto.
Ho visto bambini tenersi per mano, ragazzini, adolescenti. Donne stanche ma con ancora addosso la voglia di sdrammatizzare: “Tu che sei alto che si vede?” e io anticipavo il percorso: “All’incrocio andiamo giù. Ora stanno girando. Si scende per via Strinella…”.
Ho visto un uomo anziano pregare inginocchio sul freddo pavimento di sampietrini della piazza. Ho visto universitari con al collo la foto di un loro amico sorridente, con l’alloro fra i capelli e una vita finita in una notte di merda. Una notte vergognosa, ma che c’è stata e che sarebbe un grande errore provare a dimenticare. Una notte ingiusta che l’amore, il buono, la dimostrazione, il calore, la vicinanza, le lacrime, gli abbracci, il silenzio rispettoso in quei lunghissimi 308 rintocchi, la dedizione, le mani, le carriole che secondo qualcuno non servono a niente, il lavoro onesto contro le risate dei criminali, il tempo, tanto tempo, dovranno riscattare. Questa è la missione degli aquilani: riscattare quella notte e dimostrare alla natura che se è vero che a lei bastano 30 secondi a rovinare 70 mila vite, a quei 70 mila potrà servire una vita intera, ma la loro città se vogliono (e vogliono) se la riprendono.
Che poi nella testa siano passate immagini inquinanti più del petrolio non è colpa mia. E non è neanche colpa mia che 25 mila persone non siano sufficienti a concedere il potere dell’invisibilità. E quindi ho rivisto e ho sofferto di rabbia.
Poi ho pensato che eravamo lì per motivazioni ben più importanti e allora ho scacciato quella rabbia che è tornata, perché non se n’era andata veramente, per uscire dagli occhi un’oretta dopo, in macchina. Quando mi trovo di fronte all’inconcluso mi sento inconcluso, che ha come conseguenza l’impotenza, la rabbia, poi la rabbia e pure la rabbia. Sarebbe una gran vittoria scavare nei più reconditi luoghi della mia mente e pescare da lì la saggezza per spegnere quella luce rimasta accesa, cementificare la mia vita dentro una cupola di mattoni, oppure ordinare ai miei uomini di scavare un fossato profondo che mi protegga dagli attacchi esterni e inaspettati. Vivo nel condizionale e finisce lì e così.
Questo è quello che ho scritto giusto un anno fa. (Abile mossa per cambiare argomento e tornare alle cose importanti. Comunque non l’ho deciso io che quell’altra non lo fosse.)
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Questioni pasquali
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Scrivi un commento →: Questioni pasqualiÈ Pasqua quindi buona Pasqua!
Neanche un uovo intero ho potuto slurparmi perché quest’anno è una Pasqua povera con un uovo soltanto, quello della Fra che si sposa il 27 giugno e io sarei il testimone. Scusate se è poco.
Madre e Padre hanno dichiarato di essere stati impossibilitati a far la spesa infatti, fra l’altro, è finito pure il latte.
“Evita le tazze di latte e cacao alle tre di notte se no a martedì non c’arriva!” “Sì, ma un uovo potevate comprarlo!” “T’ho detto che non siamo potuti andare a fare la spesa che tuo padre non si sentiva bene.” Io non me ne sono mica accorto di questi malori, però ci credo, parzialmente. Che poi uno che arriva la Pasqua lo sa con un largo anticipo, non è che se ne accorge all’ultimo momento. Due uova le potevano comprare pure una settimana fa e pure un mese fa. Sì sì, avrei potute comprarle io, ma a saperlo le compravo, mica no.
In compenso ho passato venticinque minuti a montare l’idrovolante della Kinder con il complicato motore a propulsione a elastico che ho posizionato sulla mensola vicino al toro di Madrid e al Winnie non Winnie, orsetto tarocco.
Comunque come faccio io ora privato del latte e cacao delle tre di notte fino a martedì?! È la mia medicina contro la depressione. Morgan si pippa la coca, io mi ammazzo di bicchieroni di latte e cacao. Ora però non cacciate pure me dal Festival di Santo Remo.
A proposito di Sanremo, è finito Amici (che è meglio di Sanremo perché per esempio Biaccio Antonacci ad Amici ci va). Ha vinto Emma Brown, sorella del Dan scrittore e amica della cantante salentina Alessandra Amoroso che aveva vinto l’anno scorso – andavano a farsi le maschere di bruttezza insieme. Tutti si chiedono perché la gente abbia preferito seguire la sua ascesa al trionfo invece che Porta a Porta col resoconto, attimo dopo attimo, scheda elettorale dopo scheda elettorale, della sconfitta per esempio dell’altra Emma (Bonino) nella regione Lazio conquistata dalla gaia sorrisevolezza della Scopettina Swiffer Polverini. A parte che una vittoria è meglio di una sconfitta. Vai a dormire sereno e per gli italiani la parola serenità rientra a tutti gli effetti fra quei vocaboli in via d’estinzione. Parrebbe che noi poveri analfabeti riusciamo a utilizzare soltanto 25oo parole e con quelle costruiamo i nostri bei discorsi. Le altre, che sono tante, ma tante di più, fra poco non le conoscerà più nessuno e faranno la fine dei triceratopi. E poi l’idea di ricostruire il tragico momento boniniano attraverso un plastico delle cabine elettorali laziali con quell’ammasso di nei parlante, e parlanti pure i nei, che ne studia tutte le dinamiche interloquendo col criminologo Massimo Picozzi, temo che faccia sugli italiani lo stesso effetto che sta facendo l’ultimo libro della Santacroce sul mio nervo infiammato.
Si è arrabbiata Isabella perché un tale Barilli ha stroncato Lulù Delacroix su Tuttolibri definendolo un libro noioso che fa il verso a Carroll così gli ha risposto con un raffinato post sul suo blog che casomai il verso lo fa lui, “che sia nel suono somigliante al ragliare di un asino però” e che dovrebbe recensire la sua intelligenza, stroncandola. Allora io non glielo dico che la penso come Barilli nonostante adori la Santacroce e abbia letto tutti i suoi romanzi perché se no dà dell’asino e del venduto pure a me. Poi Parente su Il giornale dice che è più bello dell’Alice di Carroll e allora proprio no. Dice pure che la Santacroce sta scrivendo una Divina Commedia moderna e dopo l’inferno di V.M.18 (sì, quello sì) e il paradiso di Lulù (insomma, insomma) arriverà il purgatorio e sarà un mattone di mille pagine. Non pensiamoci, per ora. Qualcuno però dovrebbe dire a Isa che Lulù Delacroix è il meno riuscito dei suoi libri. Che Alice nel Paese delle Meraviglie è rock e il suo è lento. Che Dante era Dante, tutta un’altra musica. Io però non glielo dico, ho un po’ paura. Intanto lei sul suo blog pubblica le ovazioni e ignora le stroncature eccezion fatta per quella di Barilli, che comunque non ha pubblicato, e molto sportivamente gli ha dato del venduto. Come si permette costui di criticare un (capo)lavoro di tre anni – se lo dice da sola- senza sicuramente averlo letto a fondo?
Io non lo so come la pensate voi, però secondo me uno in tre anni può scrivere pure una mezza schifezza. Dico schifezza pure se schifo è una brutta parola, che non si dovrebbe dire e che qualcuno giudica maleducata. Ma io lo faccio solo per non farla estinguere, per il bene della lingua italiana, insomma.