• Cominciamo col dire che ho la polmonite. Non è ancora sicuro, ma siam lì. Non sto a descrivere il malessere della febbre a 39.5 perché non credo di essere l’unico al mondo ad averlo provato. Quel dolore lancinante dietro la schiena, però, non l’avevo provato mai. Come spade conficcate fin dentro ai polmoni, che stanno lì e non c’è verso. In piedi proprio non è pensabile stare. Immobile nel letto, l’unica soluzione, sebbene quel dolore mi arrivasse al cervello.
    Oddio mio, pensavo. Oddio, deliravo mentre Mamy voltava e rivoltava continuamente la pezza che si scaldava in un paio di secondi sulla fronte, e poi andava di là e la bagnava e poi tornava e io stavo pochissimo meglio. C’ho anche litigato parecchio durante la notte. La accusavo di non essersi saputa spiegare col medico, perché non era possibile che oltre all’antibiotico non le avesse dato un antidolorifico. Ad un certo punto mi sono messo a piangere. Il punto dell’impotenza. Volevo strapparmi quel male da dietro la schiena e invece c’era da aspettare la notte, poi il giorno dopo e chissà quanto ancora.
    Disperato e contro il volere di Mamy che urlava: “Se non te l’ha dato, l’antidolorifico, vuol dire che non ti serve!” afferro il telefono e richiamo il medico.
    “Paolo, io questo dolore alla schiena non lo sopporto.” “Quale dolore alla schiena?” “Il dolore interno, dentro, il dolore alla schiena, ma mia madre quando è passata non te l’ha detto?” “Mi ha parlato di tosse e febbre.” In quel preciso momento avrei voluto strangolarla, e undici ore di agonia sarebbero state un motivo più che valido, ma mantengo la calma e lui aggiunge: “Prenditi Brufen bustine, due volte al giorno a stomaco pieno”.
    Homer, l’antibiotico, mi ha tolto la febbre. I polmoni è come se fossero avvolti da uno strato di zucchero spesso e all’apparenza compatto che mi fa sentire un fastidio leggero perché il male sta tutto dentro. Solo che col passare delle ore lo zucchero comincia a sciogliersi e lo strato spesso e compatto ad assottigliarsi, col diminuire dell’effetto dell’antidolorifico Brufen, finché tornano le lame ed è l’ora di una nuova bustina.
    Va bene la polmonite, va bene la bronchite, va bene la broncopolmonite, va bene tutto, ma una cosa mi fa incazzare a morte (non posso dire: incavolare o inalberare o inquietare se mi fa incazzare).
    Stasera, giovedì 25 marzo 2010, c’è il concerto di Carmen Consoli al teatro comunale di Teramo. I biglietti me li ha regalati Luca a Natale. Argomentiamo la faccenda con un altro dato di fatto. Io sono quasi tre anni che non mi ammalo. Ebbene. Doveva prendermi questa bordata ancora non ben definita di malanni proprio proprio proprio ora?!
    Evidentemente sì. Grazie eh. Ma io, che sono uno che non ci sta, c’ho provato così: “Paolo, senti, domani c’è il concerto di Carmen Consoli a Teramo, no?” “Mbè?!” “No è che io ho i biglietti da tre mesi e me li ha regalati il mio migliore amico e ci tengo da morire ad andare.” “Quindi?” “Lo sai cosa significa Carmen per me?” “No, e neanche mi interessa. Quindi?” “Se facessi una scappatella? Tanto è un’oretta scarsa che Carmen non è una che canta tantissimo. Poi è un teatro, mi copro bene, il tempo di andare e tornare – giuro – e poi non esco più.” “Allora Matte’, mo’ ti dico una cosa. Se da qui a dieci giorni ti azzardi a metter piede fuori da casa, ti conviene cambiare medico perché io smetterò di curarti per l’eternità.”
    Morale della favola: chi vuole andare al concerto basta che segua Franco e la Papi nei loro spostamenti e tenda loro un agguato. Stanno partendo adesso da Sassa in una Ka azzurra nuova. Non fatevi ingannare dal fango che la ricopre, è una tecnica della Papi per scoraggiare eventuali idee di qualche malintenzionato ahum ahum. Vi do qualche altro dettaglio. Ha un porta CD spugnoso di Hello Kitty bene in vista sul cruscotto. I biglietti sono in una busta da lettere bianca nella borsa piumata della Papi.

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  • Ho avuto un’idea geniale.
    Le idee geniali vanno mantenute supersegretissime.
    Consiglio breve e pratico: imparate a chiudere la bocca sennò arriva uno stronzo che acchiappa l’idea, cambia due cose e magari la migliora pure – a migliorare un’idea geniale non ci vuole niente, è nell’averla l’idea il vero merito – e ci fa su nel migliore dei casi una gran figura (quella che meritavate voi), nel peggiore (per voi) una gran carriera, mentre voi continuate a spalare la merda dei cani, per dire.
    Ci voleva (cazzo) quest’idea! Ci voleva a dare spinta, carica, energie, linfa vitale, rabbia, reazione e velocità al mio nuovo progetto letterario. Che a sua volta dà spinta, carica e tutte quelle belle parole appena scritte, alla mia vita che di spinta, carica e velocità ne vanta quanta un verme drogato. È una catena di spinte, che non è una cosa hard, ma una giostra.
    C’è un sacco di musica ora nella mia testa che si aggroviglia e cambia continuamente restando fissa sulla stessa stazione. 
    Che poi chi lo stabilisce se e quanto un’idea è geniale?! Tutte sembrano geniali, finché si perdono. Quella geniale veramente ti salva la vita, come la sterzata di volante che la mia amica Papi ha dato l’altra notte.
    Guidavo per modo di dire. Procedevo con la faccia che guardava lei, sul sedile del passeggero – gran bella ragazza la Papi – e col piede che non smetteva di ritenere opportuno premere sull’acceleratore. Finché un grido.
    “Oddio!” La mano della Papi sul volante. La mia Gets devia bloccandosi a una spanna da un vecchio che salta per la paura.
    “Ma togliti dalla strada rimba!”
    Come facevo a non insultarlo? Lui rispondeva senza emettere suoni. Tipo un pesce. Sarà stato lo shock. Che poi insomma, a una certa età, che problema c’è se t’investono e muori? Hai vissuto. Hai comprato casa ai tuoi figli. Hai comprato lecca lecca ai tuoi nipoti. Hai comprato dentiere a volontà.
    “Tu sei un assassino!” Pronuncia lentamente la Papi sbigottita, scandendo ogni sillaba proprio così: T U S E I U N A S S A S S I N O.
    “Dai, mica è morto. Non l’ho neanche colpito!” “Oddio, cosa sarebbe accaduto se l’avessimo ucciso?!” “Eh, ce ne saremmo andati, tanto non c’ha visto nessuno!”
    Io comunque, a parte l’idea geniale, in questo post ci tengo a precisare che non sono un senzacuore come sembrerebbe. Pensate che ho persino salvato una cimice che si era ribaltata su se stessa nella stanza d’albergo dove sono stato per una notte, non a cavalcare puledrine, ma per un corso di pronto intervento e primo soccorso. Mi ci ha mandato il mio direttore. È fondamentale che io sappia rianimare manichini e spegnere incendi di quaranta cm per un metro.
    Poteva restare vuota quella stanza d’hotel. Potevo rientrare troppo tardi e invece.
    Che gran botta di culo quella cimice!

    Scrivi un commento →: T U S E I U N A S S A S S I N O
  • Continua a seppellire i miei ricordi. Continua a mascherare il mondo. A riempire gli squarci degli edifici esplosi. A far tacere le voci inutili e le risatine sarcastiche. A raffreddare i sentimenti e a riscaldare i boccioli invisibili. Continua ad annebbiare la vista di chi impotente sbuffa. Ad appesantire le tegole di un tetto che non ha ceduto. Continua a farti odiare da me che gradualmente ti capisco, perché ritrovo in te tutto quello che nessuno ha mai afferrato, amato e portato via di Matteo.
    Siamo uguali perché prendi la vita per stanchezza. Alla fine a qualcuno simpatica dovrai esserlo per forza perché, vuoi o non vuoi, tu continuerai a cadere, incurante di chi ha un appuntamento, incurante di chi vuole il sole e le stelle.
    Che noia il sole e le stelle se non sai con chi lasciarti accecare, se non sai con chi contarle.
    Forse è per questo che ti odiavo prima, perché non ero capace di capirti, afferrarti e portarti via. Io non mi capisco quasi mai. Comincia a infastidirmi questa stupida convinzione di avere il cuore più grande del mare. Come ho smesso di odiare te forse un giorno imparerò a comprendermi e ad apprezzare il dubbio di quel rosso, che brucia all’idea che un’altra volta, incurante, l’amore abbia proseguito, per niente attratto da un tale calore. Avrei proseguito anch’io se fossi stato l’amore. Avrei proseguito anch’io per niente attratto da un tale calore. Quale calore?
    Il mio fuoco brucia senza scaldare. Brucia tutto in poche settimane e non lascia niente, neanche la cenere. Non c’è bisogno di ripulire i resti, non ci sono resti.
    Dopo tanta neve. Dopo che il cielo in mille modi ha provato a gridarmi: “Ehi, io sono la neve e tu devi amarmi”. Niente da fare, maledetta neve. Anzi, smetti pure di cadere perché mi stai rovinando l’esistenza, mi stai togliendo emozioni, mi stai facendo odiare la poesia della neve che sei.
    Quanto poco orizzonte vedevano i miei occhi. Quanto inutile male gridavo al cielo che così tentava di tenermi al riparo, coprirmi di neve per non farmi vedere a nessuno. Segnare distanze chiare. Costruire barriere che impedissero alla pelle di incollarsi troppo e definitivamente, interrompendo di continuo il processo di fusione.
    E ora cammino sui sampietrini farinosi di freddo, guidato dal fruscio ovattato dei fiocchi che cadono leggeri sui ricordi. Ci sono solo io fra queste strade abbandonate da undici mesi. Io e la neve che si liquefa e scivola per il corso, i portici. Bagna i davanzali, gli uffici, il pavimento piastrellato della profumeria. In questo teatro triste nessuno spettacolo verrà più rappresentato.
    Cammino a fatica e tengo le lacrime nel cuore. Cammino fra le macerie.
    Le macerie.
    Le macerie.
    Le macerie.
    E, abbracciato da questa neve coraggiosa, mi sento invincibile.

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  • La luce è ancora fredda, ma questo azzurro è incredibile per quanto non riscaldi neanche un po’. Non va per niente bene, ma sono comunque qui, meno felice di prima. La vita è adesso, non ieri e neanche domani. Non è cambiata molto, anzi è cambiata troppo. Ha smesso di nevicare da due giorni. Mi ha fatto ridere tutta quella neve il cinque marzo. Non era una risata divertita la mia, più grottesca. Paradossale neve fuori stagione come me, che non trovo la mia di stagione.
    Devo distribuire le mie faccende nelle ore dei giorni delle settimane dell’anno di tutti gli anni della vita. È un problema finto, però di problemi ne include parecchi. È un involucro di problemi che stanno lì e guai a chi li tocca. Il fatto che siano imballati da metri di cellophane mi fa sentire da un lato come se avessi tutto sotto controllo, come se avessi le mani su ogni cosa che non può scappare perché non è fatta di sabbia. Affrontare la sabbia cambierebbe il discorso. Dall’altro mi fa mancare l’aria, perché stretto in quel cellophane spesse volte mi ci ritrovo anch’io che divento all’improvviso un problema per qualcun altro. Senza averlo chiesto. Senza aver fatto nulla di male a nessuno, anzi. Senza aver smesso di fare del bene a quel qualcuno.
    Oddio quanto bene!
    Inquantificabile bene che non credevo di possedere e inqualificabile silenzio. Come la neve, paradossale.
    Che fai quando ti accorgi di indossare scarpe che cominciano ad aprirsi. Scarpe rovinate e fuori moda da anni, in cui entra l’acqua dagli squarci quando per sbaglio finisci in una pozzanghera? Gli altri hanno tutti scarpe più belle delle tue, di quelle che attraggono gli altrui occhi quando passeggiano per il corso.
    Che fai quando arrivi alla normale conclusione che le tue scarpe hanno fatto il loro tempo?
    La risposta è semplice: le butti. Non facciamola così drammatica, si tratta pur sempre di scarpe. Poi, se sei un maniaco del collezionismo senza regole e casa tua è diventata negli anni un museo di robaccia incontrata dalla pubertà a oggi, le appoggi su una mensola, le chiudi in qualche scatola, riservi loro un angolo del tuo museo, ma comunque ai piedi ora hai fiammanti Adidas o quello che ti pare, ma non quelle lì. Ti guardi allo specchio e pensi: Cazzo che figata le mie scarpe nuove!
    Saresti un folle se pensassi di spendere anche solo due minuti per spiegare a quelle vecchie scarpe di tela logore come sono andate le cose e il perché di quell’abbandono.
    Il problema nasce quando si parla di persone. Esseri umani fatti non soltanto di carne e sangue e ossa e muscoli e organi, ma pure di sensazioni, battiti, pulsioni, assenze d’ossigeno, palpitazioni, mancamenti, sorrisi. Bisogna rendere conto a tutto questo. Non puoi scendere dalla giostra perché stufo, cambiare gioco e magari luna park senza neanche salutare. O meglio, puoi. Solo che poi in quel luna park non ci puoi tornare più.
    Certe volte non basta il mondo che dai a farti meritare di riavere indietro una mollica di rispetto e io questo proprio non potevo crederlo.

    “Ero triste perché i momenti troppo felici si dileguano senza lasciare traccia, è l’angoscia che non ha piume, oppure troppo peso per volar via.”

    Emily Dickinson

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  • Il post post-natalizio ci sta tutto soprattutto con la voce di Norah Jones in sottofondo che mi conferma che questo Natale è stato diverso. Non nel CD, quindi non compratelo se volete sentirvi dire ciò. È un messaggio strettamente personale, fra Norah e me insomma. Mai come quest’anno avrei dovuto sentire il Natale come un gigantesco vuoto divoratutto. Mi ero preparato a provare la sensazione del triste nulla e invece in questi giorni un’emozione calda mi sorprende e mi lascia ammirato e senza parole. Speechless, diciamo. Sorrido incantato all’eventualità che questo possa rivelarsi come uno dei migliori ultimi dell’anno di sempre. Sapete quei sorrisi che mentre ridi non pensi a niente, perso?
    Come fai a festeggiare la nascita di Gesù Cristo se vivi a L’Aquila? Come fai a sentirti così, dopo un duemilanove così? Sono due così che stanno agli estremi. Eppure sì, è proprio così: una fusione impossibile, ma riuscita.
    Qui abbiamo tutti fatto finta di non voler bene al Natale, di non sentirlo più, di non veder l’ora che arrivasse il duemiladieci. Volevamo liberarci di quest’anno, lasciarcelo alle spalle e non sentire il bisogno di buttare uno sguardo indietro, anche se dalle spalle non se ne va di certo.
    Eppure è impossibile non vedere la voglia che hanno gli aquilani di riprendersi la loro città, ora più di ieri e meno di domani. Non vogliono luminosi campus ancora impacchettati, non vogliono nuovi centri storici, nuovi luoghi di ritrovo, nuove piazze, chiese e fontane. Gli aquilani rivogliono L’Aquila e, se fino a qualche settimana fa non c’avrei scommesso un centesimo sull’eventualità di recuperarne l’anima, ora un pensierino ce lo faccio. Tocca arrendersi di fronte alla forza di questa gente molto più caparbia di me. Mi sorprende e mi trascina come una corrente oceanica. Alla messa di mezzanotte alla basilica di Collemaggio che non è stata ricostruita, ma solo rimessa un po’ in sesto per l’occasione, hanno partecipato più di mille persone. Mille persone, ragazzi. Vicino la piazza hanno riaperto la banca, il bar e la tabaccheria.
    Dopo il bombardamento si può abbandonare il campo di battaglia devastato, oppure ripartire proprio da lì. Dalla polvere e dai brividi che affiorano sulle braccia quando la mente torna a vedere quello che c’era e chi c’era. C’era mia nonna a casa, la madre di mio padre. Non ricordo l’ultima volta che aveva messo piede in casa nostra prima di questo Natale. Non ha molta importanza. Ecco, è come se l’essere andati così vicino al non aver più nulla, neanche una vita, avesse dato agli aquilani la giusta percezione, non proprio di tutto, ma dell’importanza dei rapporti, quello sì. Mia nonna che prega Santa Rita la santa degli impossibili ogni volta che pensa di non riuscire a cavarsela. Quando le tocca salire quella infinita e ripida rampa di scale di ferro che la separa dall’entrata della nuova casa che le hanno dato. Quando tenta d’infilare il filo da cucire nell’ago e non c’indovina mai. Mia nonna che ha un Mantegna in casa. Un acquerello comprato più di sessant’anni fa da un rigattiere a Roma per cinquantamila lire. Lei dice di essere una grande intenditrice di quadri, in realtà si accatta tutto quello che in qualche modo l’attrae, che probabilmente è il modo migliore per vivere la vita. L’ho visto il suo Mantegna e in effetti c’è scritto Mantegna in basso a sinistra. Se è originale sono pronto a riconoscere la sua competenza in cambio di anche solo un ventesimo del valore di quel quadretto. Non che sia tutta colpa di qualcun altro, ma mia nonna non la conosco per niente. Forse è tardi per cominciare, però che ci volesse il terremoto per invitarla a pranzo è un po’ vergognoso. Questo mi fa pensare. Non che io sia mai andato da lei, neanche una volta negli ultimi due o tre anni, ma forse pure dieci, tanto per ribadire il concetto della ripartizione delle colpe.
    Per raccontarvi il Capodanno dovrei prendere un gigantesco telone, grande come il cielo potrebbe andar bene, riempirlo di vento e condurvi lontano, fra le stelle di un paesino senza neve, ma pur sempre meraviglioso. L’aria non è fredda come me l’aspettavo e quel vento fortissimo attraversa i capelli e l’acqua di molteplici ruscelletti, avvicinandomi alla vita.
    Quest’anno è iniziato come nessun anno prima. Anche se non sono molto presente ultimamente sul blog, volevo raccontarvi di come sto. Mi auguro che anche voi sentiate nel cuore quello che sento io, la gioia di due nuvolette che svolazzano assieme e magari arrivano pure a Londra.
    Buon 2010!

    Scrivi un commento →: Buon 2010 da L’Aquila
  • Buondì. Ripartire da Padova è stato come precipitare da un aereo, risvegliarsi in mezzo alla merda dopo aver sognato zucchero filato, ingozzarsi di tortellini con la panna di un discount dopo una prelibata cenetta in un hotel di sei stelle. Non proprio così, però una sorta di ritorno alla vita, e questo non vuol dire che la mia sia una vita di merda, ecco. Anzi, devo dire che questi ultimi mesi hanno visto il mio umore salire vertiginosamente per via di qualche (non troppi, ma la quantità – si sa – è irrilevante rispetto all’intensità e alla qualità delle meraviglie) accadimento inaspettato, imprevedibile direi, visto quello che sono e quello che mi dice lo specchio. Le presentazioni sono andate alla grandissima. Non mi aspettavo due cose.
    1. Vedere così tanti sconosciuti entusiasti del libro di uno sconosciuto.
    2. Vedere così tanti sconosciuti con in mano una, due, tre e addirittura sei copie, del libro di uno sconosciuto e ciò che definirei sorprendente è che alla fine le hanno pure pagate.
    Ecco. Queste due cose non me le aspettavo proprio. Quando Sara, la mia editrice, a cinque minuti dall’inizio, mi ripeteva: “Abbi fede!” io, sul fatto che sarebbero venuti così in tanti, trascinando pure mariti, mogli, fidanzati, bambini, cani, gatti e criceti, proprio non c’avrei scommesso un centesimo e invece, come sempre, aveva ragione lei.
    Conoscere Sara è stato come incontrare un’amica che conosci da secoli. Non per l’età eh, che noi siamo gggiòòòvani, ma per l’affinità, che in questi sei mesi di lavoro a Supermarket24 abbiamo scoperto e coltivato. Nessuna sorpresa, lei era la Sara e io il Grimaldi.
    “Hai proprio la faccia da Grimaldi!”
    In effetti…
    Ho conosciuto i Lanternati e ho avuto l’onore e il piacere di partecipare alla loro segretissima cena di Natale a porte chiuse, con tanto di rituale finale della pesca miracolosa dei libri con dedica. Io mi son beccato La vita davanti a sé. Noi, che siamo affetti dal morbo della disattenzione, avevamo dimenticato i nostri libri del cuore in macchina, e così Sara ha messo in palio tre copie di Supermarket24. Coloro i quali hanno avuto il bacio della sorte e le hanno pescate, sono stati vinti da reazioni psicofisiche contrastanti, ma estreme, comunque apparentemente entusiasmanti, sempre se strapparsi convulsamente i capelli e mettersi a vomitare tutto il cous cous dentro e fuori dal piatto possa essere definito un segno di commovente entusiasmo.
    E poi Didi e Yuri, i piccoletti di Sara che progettano ottovolanti al computer.
    “Io sono più bravo di Yuri perché li faccio anche senza le rotaie!” “E come… cioè come cammin… si muovono, sì, insomma, volano?” “No, scoppiano!” “Ah, va be’. Tu fammi sapere se qualcuno un giorno ne costruisce uno dai tuoi progetti che sull’ottovolante kamikaze non ci salgo!”
    E poi la Ivana che ringrazio per l’incredibile affetto che mi ha dimostrato, invitandomi fra l’altro nella splendida Rodi, dove vive – mi sono autoinvitato, in verità, sfruttando con subdola astuzia la dedica sulla sua copia di Supermarket24 – e lei ha detto che, dato il mio metro e novanta e qualcosa, sarà costretta ad allungare il letto.
    Insomma due giornate grandiose in cui mi sono sentito importante non come si sentirebbe un pavone, ma di esser riuscito in qualcosa che valesse, che avesse un senso profondo per me e per gli altri. Soprattutto per me, perché io solo so cosa avevo nel cuore nel vedere tanto entusiasmo attorno alla mia storia, che ho concepito e cresciuto e visto crollare, e che a un certo punto ho quasi ucciso – come ho potuto! – prima di rimettermi in strada a cercare.
    Non potevo sperare in una partenza migliore. A allora, nell’attesa che mi arrivino le copie, nell’attesa delle foto del weekend in quel di Padova, vi ricordo che fino al 15 gennaio, chi acquista tre libri camelopardici direttamente dal sito, si becca il trenta per cento di sconto e zero spese di spedizione.
    Il mio potete prenderlo da qua:
    http://www.camelopardus.it/info/libri/supermarket
    Pure per pietà, ma fatelo! Ah ah ah.

    Scrivi un commento →: Supermarket24 fra Este e Padova
  • presentazione11Molto brevemente, visto che sono le due e trentasette della notte e domani dovrò costringere i miei occhi a sbarrarsi alle sette e qualcosa, alle otto dovrò già (e ci riuscirò a) essere operativo in giro per la città, perché L’Aquila era e resta una città, nel tentativo di portare a termine una molteplicità di giri, tutti fondamelntalissimi, a partire dai biglietti per Rovigo.
    Gli appuntamenti ufficiali per brindare in anteprima a Supermarket24 sono due: il primo a Padova l’11, domani, alle ore 18.00 all’Huracane Bar in via Altinate 157; il secondo il giorno dopo, sabato, alle ore 11.00 stavolta a Este, all’Opera in via Isidoro Alessi 1 (sul ponte di S. Francesco). Assieme a me ci sarà l’editora Sara e tanti cameloamici. Vi aspetto e vi ricordo che chiunque volesse può ordinare Supermarket24 direttamente dal sito dell’editore: http://www.camelopardus.it/info/libri/supermarket e, se ne prendete tre copie, avete diritto al trenta per cento di sconto e neanche pagate le spedizioni.
    Ci sentiamo qua e là. Buon week!

    Scrivi un commento →: Supermarket24 tour: tappa 1 e 2
  • Cominciamo con la notizia numero 1. L’uscita ufficiale di Supermarket24, per i giornali (mi riferisco soprattutto ai giornaletti di due facciate che distribuiscono nelle scuole con, in prima pagina, la foto della professoressa stronza beccata in flagrante mentre rolla una canna nel cesso), le radio, le TV di tutto il mondo, gli scaffali delle librerie e pure per tutte le librerie on-line è il 22 gennaio. Quindi, da quella data in avanti, potrete pretendere da qualunque libraio/a la vostra copia di Supermarket24 e mandarlo/a affanculo se inventa balle tipo che non esiste e stronzate del genere a cui ormai non faccio più caso. Ma, e state bene attenti perché questo è un punto focale, o cruciale, o clou, da ADESSO è possibile ordinare il libro direttamente dal sito di Camelopardus: www.camelopardus.it in cui lo vedete trionfalmente in home page. Notizia numero 2, la mia editrice è pazza, e questo l’ho capito nel momento in cui ha deciso di pubblicarmi, ma ne ho avuto la sacra riprova quando mi ha annunciato la promozione natalizia che non ha eguali e che varrà fino al 15 gennaio. Tutti i libri Camelopardus scontati del trenta per cento a patto che se ne acquistino tre, e non è finita qua: spese di spedizione azzerate. Questo vuol dire che verrà un omino a casa vostra e vi lascerà le copie senza farvi pagare il servizio. Facciamo un esempio calzante. Chi decide di acquistare tre copie di Supermarket24 (ma vale per qualunque combinazione dei libri della Camelopardus, quindi che so, due Grimaldi e un Bobin (libro che dovreste leggere tutti, Mille candele danzanti, perché apre il cuore a sensazioni dolci e malinconiche), o un Grimaldi e due Bacchiani, o nessun Grimaldi e va be’, siete stronzi, però, ecc.) paga, tornando all’ipotesi più meravigliòòòsa, cioè quella dei  tre Supermarket24, che ci fate i regalini di Natale, trentacinque euro al posto di quarantadue, e vi arrivano dritti dritti a casa senza ulteriori spese di spedizione.
    Notizia numero 2. L’11 e 12 dicembre sarò a Padova o giù di lì per aperitivo/presentazione lancio con allegata, a seguire, cena con editrice Sara e tanta altra bella gente che non vedo l’ora di conoscere.  Sarà una specie di anteprima mondiale. Il luogo ancora non è noto. Diciamo che gli scagnozzi di Sara ci stanno lavorando. Poi vi aggiorno così, chi capita da quelle parti, sempre se ha voglia di una birra pagata da me, potrà godere della mia compagnia (nel vero e proprio senso del termine, sì proprio quello di senso). Solo per vòòòi della Stanza, la birra gratis, dico. Va be’ che se state leggendo ciò è perché siete nella Stanza, quindi seppur per pura casualità una birretta (media, che voglio essere generosissimo) ve la meritate.
    Sara_Sup24Ok, smetto i panni da venditore di quadri col catarro e cambiamo argomento. E questa è la notizia numero 3. Dopo settimane di lunghe e ponderate riflessioni ho deciso di acquistare un computer portatile. E dopo settimane di lunghe e ponderate riflessioni, consigli, consulti, chiamate all’899, incontri con maghi, veggenti e pure con Stefania Nobile, che lei non sbaglia e dal vivo è ancora più cesso, ho optato per un Sony Vajo da quindici pollici (io lo volevo di quattordici, ma duecento euro in più per due centimetri in meno mi sembravano obiettivamente un capriccio da stronzetto). E poi io non è che col computer ci debba progettare ottovolanti, come il piccoletto di Sara, l’editora, io ci devo solo scrivere e cazzeggiare su Internet. Quindi è perfettissimo. Sono circa quarantasette minuti che sta aggiornando Messenger, questo per farvi capire le mie priorità.

    Vi lascio col bel faccione di Sara al primo brindisi col Sup24 in mano. Almeno lei, dice che era il primo, di brindisi, ma dagli occhi direi che si trattava già del sesto o settimo.
    Vado a brindare anch’io, a suon di coca cole, sprite senza ghiaccio e incazzature da purga per la quinta chiusura consecutiva. Prima di crollare a terra stremato vi lascio il link della scheda di Supermarket24 sul camelosito: www.camelopardus.it/info/libri/supermarket. Potete ordinarlo da lì e, se ne prendete tre, supersconto del trenta per cento, zero spedizioni, e grande regalo a me, non tanto economico quanto ai miei sogni. Quindi, fatelo!

    Scrivi un commento →: Supermarket24 per tutti!
  • Sto male, ma non devo stare male, per questo faccio di tutto per impedire all’influenza di impossibilitarmi le giornate. Fare di tutto non è che sia concettualmente corretto, perché si tratta di pochi semplici accorgimenti, in fondo. Basta sostituire i biscotti della colazione con un paio di pasticconi di efferalgan 1000, il tè delle cinque con sette vitamine c sciolte in un tazzone d’acqua, il limoncello della sera con qualche cicchetto di actigrip e prima di andare a dormire vi infilate dritto dritto nell’epicentro del deretano un missile unto di tachipirina 1000 (voi, io la tachipirina me la prendo per bocca). E al risveglio riprendete la vita ricordandovi sempre i suddetti appuntamenti fissi. Tre giorni di trattamento e sarete più in forma di Hulk.
    Al lavoro l’altra sera stavo per svenire. Non riuscivo a stare in piedi. Neanche i gianduiotti in ufficio, mandati giù in numero decisamente considerevole, riuscivano a farmi stare meglio. Fortuna che è capitato al Mc Donald’s un ragazzo che lavora in ospedale e che portava dietro una bustina di aspirina, di quelle in polvere che si prendono per bocca a effetto immediato. L’ho mandata giù con negli occhi la stessa brama di un tossico che punta il suo cocktail chimico e, visto che aveva un saporaccio, ci ho bevuto sopra della zuccherosa coca cola. La reazione per poco non è stata letale.
    Come non sono morto per poco, quando, poco dopo, un ubriaco ha fatto irruzione nel locale. Era venuta la polizia un quarto d’ora prima a chiedere se andasse tutto bene. Visto che andava tutto bene (era un quarto d’ora prima, ciò significa che non potevo che ignorare cosa sarebbe accaduto) ho risposto: “Sì, perché?!” “No, è solo un controllo”. Tu non mi rispondere: “È  solo un controllo” se sai che c’è un ubriaco pericoloso che vaga da quelle parti. Per di più poi se ne vanno e TAC, spunta l’uomo. Prima alla finestrella del drive. Io provo ad assecondarlo e in effetti mi dispiace che stia solo qui, con la sua famiglia a Brescia, e passi le sue giornate a bere e a cercare cibo e sigarette e pare anche un lavoro, e le sue nottate dentro a una chiesa. Solo che poi ha cambiato espressione e ho letto nei suoi occhi come una minaccia, allora ho tagliato corto e l’ho salutato chiudendo la finestrella. Me lo sono ritrovato nel locale, che correva e sbatteva alle porte. Poi cade a terra si rialza e grida contro la gente. Avrei dovuto chiamare la polizia, però m’è venuto da portarlo fuori e mettermici a parlare. Ho chiuso il locale a fatica e quando siamo usciti, all’una e mezza di notte, ce lo siamo ritrovati lì, nel parcheggio dietro al Mc dove lasciamo le macchine noi dipendenti.
    Io salto nella Mini grigina della Papi, una prodezza non proprio senza conseguenze. Ho dato una capocciata alla tempia sinistra che in un nanosecondo ho visto tutte le stelle dei mondi e l’ho pure contate, poi ho letto il terzo mistero di Fatima e ho visitato pure la stanza segreta fra le zampe della Sfinge, ho dato una sbirciatina ai documenti in essa contenuti che attestano, senza ombra di dubbio, l’esistenza della leggendaria e meravigliosa popolazione di Atlantide. La Papi non ci pensa due volte, ingrana la prima e con un rombo che neanche Barrichello ai tempi d’oro, parte e si dilegua nel buio (fra l’altro l’ha quasi ucciso quel povero disgraziato). Le altre due ragazze della chiusura non dimostrano la stessa prontezza della Papi. Restano paralizzate in macchina a fissarlo mentre lui avanza verso di loro.
    “Papi, dobbiamo andarle a salvare!” “E a me chi mi salva?!”
    Ecco, insomma, grazie all’indomito coraggio di Papi, che nella vita ha affrontato le peggiori peripezie, dall’esser riuscita a farsi scontare una borsa Gucci di ben centocinquanta euro, all’aver scansato una vecchia che riposava su Ponte Alle Grazie a Firenze perché lei doveva farsi una foto con la vista migliore, ci rigiriamo e torniamo sul luogo del delitto, ma della macchina delle ragazze nessuna traccia. Non ho il loro cellulare, ma non può averle rapite dai. Andiamo via pensando che sono scappate. Il giorno scopriamo, con nostro grande sollievo, che erano ancora vive. Ora, dopo le due famiglie di zingari che dormono nei macchinoni bianchi coi teli di plastica fuori, ci mancava l’ubriaco pazzo bresciano. Non mi sorprenderei se stasera, dopo la chiusura, lì dietro ci trovassi tre o quattro prostitute a ballare il tip tap in tacchi a spillo rossi e gonna… gonna… non gonna.

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  • Tornato a L’Aquila. Non ho fatto in tempo a dire che erano finite le ferie che già mi ritrovo affannato a ritrovare camicia e pantaloni della divisa, scoprire che mia madre non è riuscita nell’impossibile impresa di far sparire i pallini bianchi di varecchina che mi sono inavvertitamente spruzzato addosso l’ultima sera di lavoro – dovevo versare in una condizione seriamente devastata per tentare di autoeliminarmi, come una macchia nera di sporco –  e pensare alle tre chiusure consecutive che mi aspettano a partire da oggi. Oddio, mi sono perso pure la targhetta col nome, e la mia cinta con la M arrotondata del Mc Donald’s, qualcuno l’ha vista, per caso? L’importante è che le pile siano di nuovo cariche, nonostante questo non sia per tutti noi un momento di quelli da festeggiare fino al mattino dopo, con bottiglie stappate e brindisi senza senso. Che poi, dopo l’ultima volta, è meglio che mi do una calmata prima che mi facciano un trapianto di fegato. Però c’è nell’aria sentore di cambiamento. Nell’aria c’è polline di te, insomma. Dopo questa direi: un antistaminico al più presto, grazie!
    Comunque è come se il vento spingesse in quella direzione. Della novità, dell’inspirare aria nuova e neanche tanto fredda, a dire la verità. Chissà cos’è che tiene il caldo sulla città nonostante sia quasi dicembre. I lavori continuano fra disagi che non finiscono mai e di cui non ha neanche senso lamentarsi, visto l’intento che muove le azioni di tutti.
    Ieri, quando è arrivata solita la domanda che si ripete da mesi: Com’è la situazione a L’Aquila? mi è passata davanti la mano devastatrice della Natura. Una mano più forte della pietra e indistruttibile come un diamante, tagliente e luccicante come la lama di un taglierino e spietata come uno schiacciasassi. Riflettevo sulla differenza. Noi che ricostruiamo da sette mesi. Cosa sono sette mesi quando c’è una città da rimettere in sesto? E la mano che passa e in trenta secondi annienta trecentotto vite e ne segna quasi settantamila. Sbriciola case neanche fossero biscotti. E ora ci vorranno generazioni per poter rivedere una città. Generazioni contro trenta secondi. Il potere del tempo che non esiste, dicono, e invece esiste eccome, come esisteva L’Aquila. Il vento positivo c’è. Fin qua sembra che io stia muovendomi verso i soliti pianti sul latte versato. No. Ci sono degli uomini e delle donne che stanno ricominciando. Ci sono case che prendono forma e negozi che riaprono, qua e non sulla costa. C’è gente di merda, tifosi del Verona che spero decida di spendere due parole per scusarsi, almeno, che sugli spalti dell’Adriatico, hanno battuto le mani e cantato in coro: “Terremotati, voi siete terremotati” a cui non voglio rispondere. Ma come si fa, dio mio! Ci sono persone silenziose e infaticabili e c’è il sindaco Cialente, che spende i suoi pomeriggi in palestra. È pur vero che noi siamo uomini, fatti di carne e non di diamante. Non sappiamo tagliare, al massimo ci lasciamo ferire. Non siamo indistruttibili, tutt’altro, basta poco per affossare l’umore e sentirci tristi, malinconici, sconfitti. Non ci permettiamo di sfidare Madre Natura a duello, quello no, però stiamo ricostruendo L’Aquila, signori miei, e scusate se è la nostra città.

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sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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