Questa è la scritta che campeggia sulla collina di Roio ben visibile dalla sede della Guardia di Finanza di Coppito dove oggi si sono incontrati gli otto capi di Stato, più altre delegazioni dal resto del Mondo, per il primo giorno di summit.
Yes we camp!
Un modo ironico per ricordare a chi ha fra le mani il potere di fare e disfare, che venticinquemila persone sono ancora nelle tende in situazioni di forte disagio. Noi siamo fatti così. L’avevate detto che gli aquilani sono un popolo che non molla, no? Ebbene, non molliamo. In Italia si pensa che la ricostruzione stia procedendo liscia, che gli aquilani siano tornati tutti nelle loro case e invece a tre mesi dal sisma la verità è un’altra. Mi stupiscono molti dei commenti di cui è disseminata la Rete. Chi, per esempio, umbro, rivendica per la sua terra lo stesso trattamento che starebbero riservando a L’Aquila, perché loro sì che sono stati abbandonati. Loro sì che hanno sofferto. Perché loro le case ancora non le rivedono, come se gli aquilani avessero visto un solo centesimo delle centinaia di milioni di euro che sono o dovrebbero essere arrivati.
Nelle tendopoli non hanno da mangiare. Ci sono giorni in cui finisce tutto e chi non ha potuto mangiare viene invitato a recarsi in un altro campo e provare a vedere se là è rimasto qualcosa, come un animale in caccia. “Non ci danno da mangiare, figurati se ci ricostruiranno le case” mi ha detto un giorno un signore che faceva la fila col piatto di plastica vuoto in mano.
La verità è che l’uomo sente il bisogno di primeggiare anche nelle sciagure. Qualunque cosa tu abbia passato, io l’ho vissuta doppia. Qualunque sofferenza tu stia vivendo, io sì che posso capirti e non sai quello che sta accadendo a me. Non è una condizione di privilegio essere un terremotato aquilano, come molti credono.
Fino al giorno prima delle elezioni l’obiettivo in Abruzzo era restituire agli aquilani le case che hanno perso. Qualche giorno dopo l’uscita del decreto, di cui ho già abbondantemente parlato, il Premier rilascia una dichiarazione, tra l’altro ripetuta ieri sera nella lunga conferenza stampa alla vigilia del G8, in cui sostiene che “il suo obiettivo è quello di restituire un tetto a tutti gli aquilani prima dell’inverno”. Non so se vi è arrivata, come un pugno in faccia, la sottile differenza fra le due dichiarazioni, che a prima vista appaiono concettualmente equivalenti.
Ricostruire agli aquilani le case che hanno perso vuol dire che Mario, che aveva il suo bell’appartamentino in centro, ora ridotto a un mucchio di mattoni che hanno già portato via, dovrà riavere un appartamento dello stesso valore. E significa pure che Mariella, che aveva la sua bella villetta circondata dal verde, dovrà riavere una villetta dello stesso valore. E significa anche che Gianclaudio che aveva una bella villetta e pure un bell’appartamentino che teneva affittato agli studenti, dovrà riavere la villetta e l’appartamento se sono entrambi crollati, non soltanto la villetta entro i prossimi 25 anni (fra quarant’anni, praticamente) e l’appartamento no perché era seconda casa. Come se uno poi, le seconde case le avesse trovate nell’uovo di pasqua. Come se uno sulle seconde e terze e dodicesime case non c’avesse pagato le tasse, ancor più care e salate che sulle prime, fra l’altro. Comunque io, che ho gran fiducia nel fantino delle mignotte, il Cavaliere, appunto, mi aspetto che le sue parole significhino questo e invece poi il suo obiettivo diventa restituire un tetto a tutti gli aquilani prima dell’inverno.
Quale tetto? Naturalmente quello di una delle C.A.S.E. (che è diverso da case) che verranno destinate agli sfollati che hanno perso tutto, perché, se ti è rimasto qualcosa, la cuccia del cane o la vasca idromassaggio con cabina doccia, l’appartamento non te lo danno in quanto risulti in possesso di tutti i mezzi per provvedere all’autonoma sistemazione.
C.A.S.E. sta per Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili. La strategia tradizionale, dopo un cataclisma di questa portata, prevede nell’immediatezza la sistemazione in tenda, poi una sistemazione provvisoria in baracche e poi (chissà quanto poi) quella definitiva in una casa vera e propria. Stavolta invece Berlusconi ci tiene a far notare che lui ha deciso di attuare una strategia alternativa, infatti dalle tende gli sfollati passeranno direttamente in uno degli appartamenti ad elevati standard abitativi e immersi nel verde di questi complessi che stanno costruendo contemporaneamente nei molteplici vastissimi cantieri attorno alla città. Questo, se da un lato fa pensare ad una buona mossa, perché ancora un po’ di pazienza e gli aquilani avranno un alloggio più che dignitoso (date un’occhiata) dall’altro viene spontaneo chiedersi se non sia un modo per lavarsene la coscienza senza rimorsi, e alle case vere, prima o poi, ci si penserà (impersonale), chissà.
Il primo giorno di G8 è andato. Non chiedetemi cos’è accaduto che io non esco di casa da quattro giorni per partito preso, se non, stamattina, per dire al poliziotto che suonava da quaranta minuti il campanello, che la Yaris grigia parcheggiata male non era la mia. “È sicuro?” “Un attimo che ci penso. Effettivamente, con tutte le automobili che ho, potrebbe essermi sfuggita”. So che Berlusconi ha portato Oby in gita fra le macerie e che stasera Silvio offrirà la cena a tutti i quarantuno membri presenti. Che alla fine lo sanno tutti che non pagherà lui, ma la Finanza con gli aiuti. Quindi noi, cioè voi.
-
Yes we camp!
Pubblicato il
Scrivi un commento →: Yes we camp!
-
Date il premio Strega a Franco Di Mare!
Pubblicato il
Scrivi un commento →: Date il premio Strega a Franco Di Mare!Quest’anno più che mai la serata finale del premio Strega sembrava il momento clou della festa di Sant’Apollonia a Catania, la fatidica estrazione del primo premio della lotteria abbinata, consistente nella statua di gesso a grandezza naturale della suddetta Santa protettrice dei dentisti, lei che i denti se l’è visti cavare uno ad uno con le tenaglie. Che simpatici i pagani del tempo!
Paolo Giordano, perfetto come valletto del prossimo Girofestival: “La cantautrice Ninni Nanni si aggiudica il premio della critica per il suo pezzo Dimmi se è il caso che smetta di fare la strimpella-stronzate in rime binarie, che sarà prodotto e distribuito sul territorio nazionale e – perché no – anche in America, dalla Gigi D’Alessio Productions (non è uno scherzo, esiste davvero. È la casa discografica di Anna Tatangelo. Quando si dice i casi della vita…)”.
Si giunge al momento della proclamazione. Chi si sarà aggiudicato il sessantatreesimo premio Strega fra Antonio Scurati, autore de Il bambino che sognava la fine del mondo, e Tiziano Scarpa, autore di Stabat Mater? Visto che sono passati cinque giorni lo sapete tutti che ha vinto Tiziano Scarpa con 119 voti contro i 118 di Scurati. Un voto di differenza, non era mai successo. Giordano dà la lieta (per Scarpa) novella (a Scurati gli s’è oscurato il volto. Perdonatemi la battuta di bassa lega, ma sono giorni che la penso) e il presentatore piomba in uno stato di fibrillazione confusa ed eccitata che lo porta ad affilare versi e parole scollegati fra loro neanche il premio Strega l’avesse vinto lui. Parliamo del signor Franco Di Mare che dopo aver condotto per tre anni Uno Mattina estate e Uno Mattina week end è riuscito finalmente a farsi affidare la conduzione di Uno Mattina e basta. Ripercorriamo insieme la meravigliosa sequenza del marinaio Franco ripartendo dalla dizione perfetta di Giordano: “A distanza di un punto, il vincitore della sessantatreesima edizione del premio Strega è Tiziano Scarpa con Stabat Mater, 119 voti”. Ed ecco che Di Mare si scatena: “Un punto… un punto… un punto… è incredibile… incredibile! Beh, io vorrei… aspetta… in genere, in genere, si fa l’intervista, l’intervista, al vincitore, ma in realtà la dovete fare tutti e due perché siete entrambi vincitori, i vincitori di questo Strega. Un solo voto, un solo voto. Prego (consegnano la bottiglia del liquore Strega al gaudente Tiziano Scarpa)! È una cosa che non credo si ricordi, non credo ci sia memoria. Un passo avanti prego per la foto opportunity (ma che sta dicendo?)… Tutti e due vi prego… io credo che non ci sia memoria…”.
A questo punto una voce fuori campo gli ricorda che Bevilacqua ha perso per due punti e che dice in giro che ancora se la ricorda quella sconfitta, ma Di Mare è troppo eccitato, sorride ai flash e non lo ferma più nessuno: “Ecco, ecco, ecco… siccome siamo in diretta ancora per qualche minuto vorrei… ecco, eeecco (ecco che?) eeeh… ve… sì… come no, sì. Il momento della… (bevuta?)” .
Torna la voce fuori campo che informa Franco Di Mare dell’arrivo di Gigi Marzullo e lui risponde: “Tanto i bambini a quest’ora sono a letto”. Ma povero Marzullo! Cos’è, un mostro? Il terrificante Babau che vive negli armadi e la notte esce a catturare i bambini? Marzullo annuncia la presenza di Tiziano Scarpa a Sottovoce dopo il TG1 (poteva invitare pure quello sfigato di Scurati, però) e viene subito liquidato da Franco Di Mare che, sentitosi improvvisamente defraudato della scena, cattura Scurati e lo costringe ad essere complice del suo delirio d’onnipotenza finale: “Io vorrei seguire… un solo voto… certo che è un po’ amara (sì, ma solo un po’ eh?!), un po’ amara come… immagine” e la telecamera inquadra Tiziano Scarpa che prima si bagna il collo con qualche goccia e poi prende a scolarsi la bottiglia del prestigioso liquore simbolo, senza ritegno. Aspettare di arrivare a casa era chiedere troppo? Gli alcolisti anonimi saranno felici di accogliere nella cerchia un nuovo non proprio anonimo iscritto. Torniamo a Di Mare: “Bevilacqua prima diceva: <<Ho perso per due voti e ancora me la ricordo>> (non era Bevilacqua prima, a meno che non si sia deciso a cambiare sesso evirandosi. Era una donna che riferiva di Bevilacqua) perdere per un voto è ancora peggio (no, guarda. È meglio)?” Che bella domanda! Scurati risponde: “Manuel Fangio (l’audio a questo punto non è chiarissimo, io l’ho ricondotto a lui che era un grande pilota e quindi potrebbe anche averla detta, ma magari si riferiva a un altro, poi glielo chiediamo) diceva <<El prim ciapa la copa e il secun non ciapa nien!>>”.
Ecco il video in cui potete verificare e seguire i dialoghi da me trascritti. Allora ditemi voi se Franco Di Mare non ha urgente bisogno di una potentissima pera di camomilla.
Sulle note di questa amara verità vi segnalo le 4 chiacchiere della settimana. Ho avuto il piacere di intervistare un giovane autore già di grande successo fra gli adolescenti e non solo. Francesco Gungui ci parla del suo ultimo romanzo L’importante è adesso, pubblicato da Mondadori.
-
La fiaccolata degli aquilani
Pubblicato il
Scrivi un commento →: La fiaccolata degli aquilaniUso per l’ennesima volta il blog a scopi personali – per cos’altro dovrei usarlo visto che è il mio? – mi sa che lo devo scrivere da qualche parte e in bella vista. Certe cose sembrano così ovvie e invece…
Mando un saluto ai quattro elicotteri che da ieri sera alle sette e mezza volteggiano ininterrottamente nel cielo sopra casa mia (ma il carburante non gli finisce mai? I potenti mezzi americani… Sì perché Obama, pure se ancora non arriva, comunque c’entra, lo sanno tutti) e mi salutano con il loro musicale vorticare di eliche che ha fatto felicissima compagnia alla mia notte solitaria in casetta. Non quella di Amici di Maria De Filippi che, rinfrescata della foglia di palma agitata dallo schiavo Garrison, che con l’altra mano intanto si copre i gingilli di famiglia, starà pensando alle proclamazioni per la prossima stagione imperiale di Uomini e Donne, ma quella di legno che ha fatto costruire mia madre, che non ha intenzione di rientrare a dormire in casa per i prossimi trent’anni.
Uh, eccoli che ripassano. Quando trascorri ore ed ore assieme a qualcuno, quando con costui ci condividi tutto, persino la notte, non può che stabilirsi fra voi un rapporto privilegiato. Non può che essere un’amicizia senza precedenti quella che lega me agli elicotteri. Salutate i miei amici, fate tutti ciao ciao con la manina, su! Pure Iker li saluta abbaiando di infinita gioia coi denti che colano bava. Se solo potesse, li sgretolerebbe fra le fauci, come lo squalo del film fa con la barca dei giovani avventurieri, tra cui il figlio dello sceriffo dell’isola di Amity che, alla fine, lo sopprimerà mi pare facendogli prendere la scossa o facendolo esplodere, non ricordo. Nel frattempo il mio cane si dedica all’inseguimento delle vespe che, strafregandosene del G8, sono tornate, fedeli come ogni anno, in villeggiatura nella mia siepe e che, l’anno scorso, gli hanno fatto ricordare l’estate pungendolo sul muso e facendogli venire un labbrone grosso come un cocomero.
Io sono due giorni che non esco di casa. Non che non possa farlo, è che mi rompe oltremodo sottostare a questo regime militarizzato. Che poi non è che fuori ci sia molto da fare, diciamocelo. L’unico posto dove si può andare a passare un po’ di tempo resta il CC L’Aquilone. Per il resto le attività commerciali provano ad organizzarsi sparpagliando container e casette di legno per le zone libere della città. Per scoprire dov’è andato a finire quel locale piuttosto che quell’altro, sempre se è andato a finire da qualche parte, bisogna affidarsi al passaparola o ai cartelli di carta attaccati con lo scotch ai pali della luce.
Ieri notte, a tre mesi esatti dalla calamità, c’è stata una fiaccolata partita dal Castello a mezzanotte e conclusasi alle 3.32 esatte, ora in cui sono state commemorate le trecento vittime del sisma. Hanno partecipato oltre quattromila persone partite da tutta Italia con autobus organizzati. Sembrerò impopolare, forse anche giustamente, però nutro un lieve fastidio al pensiero che della gente parta da chissà dove per venire in gita a camminare i luoghi distrutti, ora che le immagini delle macerie e delle chiese in pezzi continuano a fare il giro del mondo, e a commemorare, con una luce fra le mani, persone che neanche conoscevano. La stessa gente che fino a tre mesi fa di L’Aquila ne ignorava l’esistenza. Della sua storia, delle novantanove piazze, fontane e chiese che le avevano fatto guadagnare il nome di città del 99. Quella di ieri sera doveva restare la fiaccolata degli aquilani. Di chi quelle strade le ha camminate per anni. Di chi assieme alle proprie case e a quelle dei suoi amici ha visto crollare i luoghi che hanno segnato i momenti del suo passato, che ora fanno da sfondo alle foto più belle, negli album. Agli amori, alle litigate e alle feste a scuola. Alle passeggiate in centro con la pizza di Trippitelli coi chicchi di sale grossi, mentre in classe la professoressa di Latino interrogava a manetta. Per quanto sia apprezzabile il gesto di volerci essere, cosa c’entravano tutti gli altri?
-
Sulla faccia di Berlusconi
Pubblicato il
Scrivi un commento →: Sulla faccia di BerlusconiIeri ho sentito quattro scosse fino all’ultima, leggerissima, della notte, che m’ha indotto ad afferrare un libro, spegnere PC, stereo e luci, chiudere il portoncino e di corsa nella casetta di legno, in giardino. Quella di quattro punto uno mi ha ricordato il motivo per cui me n’ero andato da qui.
Sovrappensiero al caldo cocente dell’una, aspettavo fuori dal container dei carabinieri di Sassa che qualcuno mi consegnasse il pass che mi permetterà di poter camminare liberamente attorno a casa mia. Via Dell’Aringo, che è la strada in cui abito, quella che passa davanti all’aeroporto dove atterreranno gli otto potenti del mondo, sarà chiusa da domani pomeriggio al 12 luglio insieme a qualche altra strada vicina ai luoghi che saranno camminati da costoro. Dopo aver lasciato i documenti mi dicono che c’è da aspettare.
“Attenda fuori!”
Dovete sapere che creare dal niente un foglio di carta in cui si dice che Matteo Grimaldi ha il diritto di calpestare l’asfalto che conduce a casa sua (visto che il teletrasporto non è nelle mie facoltà e neanche il dono del volo, a dirla tutta. Comunque mi avrebbero sparato se solo avessi provato a librarmi nei cieli circostanti) comporta una tale molteplicità di azioni che non potete nemmeno immaginare. Insomma, si parla di un’infinità di tasti da schiacciare, solo il mio nome e cognome sono quattordici caratteri, pensate un po’. Poi bisogna dargli un senso compiuto e non è da tutti. Gli spazi, che fai, non ce li metti? Mica si può scrivere tutto appiccicato. Per non parlare del comando di stampare il foglio e del timbro, faticosa ultima incombenza. Ad apporre la firma invece si fa presto presto che son carabinieri ed è sufficiente una leggibile X a fondo pagina. Mezz’ora tutto compreso.
Il sole mi stava arrostendo così ho pensato bene di andarmi a sedere su una panchina all’ombra del grazioso balcone del primo piano del palazzo molto inagibile di fronte al container. D’un tratto TTTTRRRR, il mio culo trema violentemente. Scatto come un grillo, anche se Luca fa fatica a crederlo perché: “Non ti ci vedo a scattare come un grillo”. Ci mancava che mi crollasse il balcone del rudere sulla testa. Un tipo in camicia bianca esce dal container e vaneggiando da solo: “Ah, voi fate come vi pare, io me ne vado in Australia”. Si allontana a passo svelto e, sempre a passo svelto, dà una pizza cosmica con la faccia contro un palo della luce.
Il G8 è ormai alle porte e Berlusconi, diciamolo, si sta cagando sotto dalla paura. Forse immaginava che all’arrivo dei suoi amichetti sarebbe stato tutto finito. Lo sciame sismico di nuovo addormentato e le loro chiacchiere e passerelle al sicuro. Invece la terra non ha mai smesso di tremare e ora, nel timore che gli cada una trave fra capo e collo, stanno mettendo a punto piani d’emergenza fra i quali è previsto anche un possibile e improvviso dirottamento del G8, anche all’ultimo minuto, a Roma (volesse Dio). Intanto le misure di sicurezza si fanno sempre più ridicole. Da qualche parte ho letto che sarà vietato portare a pascolare le pecore in quei giorni, al che mi sono chiesto se io potrò portare a spasso Iker. No perché, con tutto il rispetto per Obama che è un brav’uomo, mica al mio cane gli si può chiedere di non cagare per una settimana. Parrebbe inoltre che a partire da domani pomeriggio saranno oscurate le comunicazioni. Non si potrà né ricevere né fare telefonate se non ai numeri di emergenza; e ci mancherebbe pure. “Sto morendooo!” “No, ci dispiace. C’è il G8, non puoi chiamare. Cerca di resistere fino al 12. Buona fortuna!” E, sempre da voci abbastanza attendibili, ma non poi così tanto, pare che anche internet sarà schermato. Se così dovesse essere, nonostante la tentazione di raccattare sei mutande, due jeans, tre magliette e partire col portatile per una meta qualunque, io resto qua, chiuso in casa, a scrivere. Se vi va passatemi a trovare, nella casetta c’è posto a volontà, facendo bene attenzione ad evitare l’area coperta dai lanciamissili che si son dovuti montare da soli nei pressi dell’aeroporto (è la cruda conseguenza di voler fare affari all’Ikea).
Ho la modestissima sensazione che, se architettassero un attentato (neanche troppo) fatto bene, considerata l’efficienza dimostrata dalle forze dell’ordine fino ad ora, andrebbe in porto in pieno. Per la serie: Buona la prima. Nutro il sottocutaneo desiderio che di attentato ne facciano uno ai danni di Berlusconi, gli aquilani, però. Ci vuole un certo coraggio a portare ancora la sua faccia di mer…lo in giro da queste parti, dopo tutte le puttanate che ha detto e non ha fatto. Massimo rispetto per le puttane.
Se oscurano internet fate come me. Avvicinatevi al balcone più vicino, va bene anche una finestra. Apritela e gridate a gran voce V-A-F-F-A-N-C-U-L-O! Al mio tre, pronti?
Uno.
Due.
Due e mezzo.
Due e tre quarti.
Due e tre quarti e mezzo più zero virgola due periodico.
Tre!
-
Ho finito gli esami. Vi giuro che è vero!
Pubblicato il
Scrivi un commento →: Ho finito gli esami. Vi giuro che è vero!Per tornare da Firenze a L’Aquila c’ho impiegato sette ore. Altre tre soltanto e avrei ricevuto, fra gli applausi scroscianti della Laguna Macao tutta, un kg di pasta, quattro pomodori, dodici telline e una padellina monodose per fare il soffritto come premio ricompensa per la prova superata. Sono arrivato a L’Aquila a mezzanotte e mezza. Si ringrazia per la gentile collaborazione il locomotore che ha smesso di funzionare e che ha costretto i poco equilibrati (me compreso) passeggeri del regionale a restare ad aspettare la partenza per più di quaranta minuti accovacciati sul sedile come sacchi di patate. Quell’umido afoso s’incolla al corpo e accentua la produzione, senza sforzo, di bottiglie di bibite saline tiepide gusto sudore. Quando uno dei controllori, correndo, ha frettolosamente gridato, mangiandosi cinque parole su otto: “È quasi tutto a posto, ma partiamo ugualmente!” l’ho fermato e: “Che vuol dire quasi? Se il treno è a posto partiamo, se no no!”. “Partiamo!” mi ha risposto lui con tono perentorio prima di riprendere la sua traversata fra gli scompartimenti. Ecco, mo’ deragliamo, così, dopo il terremoto, la mia collezione di catastrofi vissute sarà al completo, ho pensato.
Dopo la notizia dell’altro aereo precipitato con un solo superstite (nello scorso post ho scritto che i superstiti erano due. Mi perdonino i parenti del pilota, che si saranno illusi leggendo nella Stanza che il loro caro era sopravvissuto, ma devo correggermi. È sopravvissuta soltanto Baya Bakari, ragazzina di quattordici anni, rimasta per oltre dodici ore aggrappata ad un pezzo d’aereo in balia del mare) mi verrebbe da dire che non è proprio il momento migliore per guardare il mondo da un oblò e annoiarsi un po’. Il deragliamento del treno con me a bordo, in quest’aria da perenne disastro imminente, ci stava tutto. Poi ho letto l’oroscopo alle ultime pagine di una copia di Intercity di Roma, abbandonata sul sedile accanto al mio, immediatamente riempito dal culo di un vecchio che puzzava di vecchio, che diceva: Non c’è un aspetto della vostra vita che non andrà a gonfie vele. Accogliete tanta fortuna con ottimismo e grinta, godendo di tutto quello che di bello vi accadrà d’ora in poi e mi sono sentito subito meglio.
Sono arrivato a casa che puzzavo, ma talmente puzzavo che Italia e Nerozza, le mie due tartarughe d’acqua, hanno vomitato in sincronia alternata in segno d’affettuoso saluto: Italia prima, Nerozza poi, di nuovo Italia e infine Nerozza, che ha chiuso lo spettacolo espellendo dal suo deretano una pietra traslucida, di quelle che fanno bello l’acquario e che loro inghiottono per digerire (mi auguro sia normale questa cosa), come i cani fanno con l’erba, o mia sorella con le pasticche dell’erborista rumena.
Il fatidico terzo giorno volge al termine. Dovevano accadere cose determinanti e così è stato. Ora aspettiamo le evoluzioni anche se ho la netta percezione di aver tratto da questi giorni il massimo possibile, anche se poi non dovesse arrivare altro. Mica perché ieri ho preso venticinque all’esame. No, quello non è legato affatto allo stato di beatitudine che mi ha cullato per l’intera giornata. Affatto proprio. Mica perché quello che ho sostenuto a novanta km da L’Aquila – la sede l’hanno sbaraccata a Corropoli (corro che?), notissimo (alle linci e ai lupi) paesino della provincia teramana – era l’ultimo esame.
Capito? L’ultimo! Finiti. The end.
Ma no, non è per questo che sto da sedici ore espellendo continui e ininterrotti flussi di sperma sulla trapunta del letto. Ho studiato sputando sangue su quelle pagine per mesi. Ho studiato pure alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, sul binario 11, in attesa del regionale. Ho studiato pure sul regionale, per calmarmi, scansando il pensiero di prendere a calci quel controllore panciuto. Ieri mi sono svegliato alle sette per ripassare dopo essere andato a dormire alle tre. Non che pretenda un riconoscimento diverso dal Mongolino d’oro, tutto questo per dirvi che mi sento fiero di me. Perché non ho mollato la presa. Ora mi sa che non ho più scuse. Nel pomeriggio scrivo a un professore che mi è simpatico. L’ho incontrato che usciva di fretta da un’aula e gli ho domandato dove fosse il Mostro col quale dovevo sostenere il mio ultimo esame. “Deve cercarlo, si sarà preso un’auletta per divorare le sue vittime in pace!” Io gli ho sorriso pensando che la mia prossima preda sarà proprio lui, per una posta in palio che sfiora l’inestimabilità, come la Monna o i Girasoli: la mia tesi.
-
Mi sto muovendo e me ne accorgo
Pubblicato il
Scrivi un commento →: Mi sto muovendo e me ne accorgoLa festa di compleanno è stata bellissima. Innumerevoli le foto su Facebook. Chi non è iscritto si iscriva. È finita l’era degli intellettualoidi schizzinosi. Chi è iscritto mi aggiunga. Chi non era iscritto e dopo il mio invito avrà deciso di iscriversi, si ricordi di aggiungermi (se no che si è iscritto a fare?). Quando leggo certe parole scritte dai miei amici mi commuovo e quindi, a metà biglietto, pausa di silenzio e i lacrimoni lì lì per inondare la mia pizza ai quattro formaggi con crudo. Lo ricorderò come il giorno più felice degli ultimi tre o quattro mesi sicuramente, forse pure dell’intero anno.
Ancora grazie a tutti voi, pure a chi se l’è ricordato in ritardo che compivo gli anni, e pure a chi non se l’è ricordato per niente, ma, con un’ammirevole arte di arrampicamento sugli specchi, è riuscito a cavarsela.
Stasera rifarò di nuovo la valigia e domani salirò sul primo regionale pomeridiano per Roma e poi sull’autobus per L’Aquila. Lascerò qualcosa qui. Perché nella valigia non c’entra tutto e perché non ho seguito il consiglio di mia madre di comprare un borsone di quelli che non costano niente per avere più spazio. Lascerò qualcosa qui perché io ci devo tornare. Ora speriamo solo che il treno non deragli come quello di Viareggio. È la seconda volta che succede in questa zona solo che stavolta il treno merci trasportava gas che con l’impatto è esploso causando il crollo di due palazzine e tredici morti. Che sia il caso di dare una controllatina alla rete ferroviaria? E che dite se togliamo pure il malocchio all’aeroporto parigino? Dopo il disastro dell’Airbus misteriosamente precipitato nell’Atlantico, stanotte il bis. Un aereo della Yemen Airways decolla sempre da Parigi diretto alle isole Comore. Ad un certo punto sparisce dai radar e si tuffa nell’oceano Indiano. Dei centocinquantatre passeggeri si salvano soltanto un bambino di cinque anni che hanno ritrovato a sguazzare nell’oceano assieme ai barracuda, e pure il comandante che, appena starà meglio, potrà riferire che minchia è successo, visto che l’aereo stavolta lo guidava lui.
Ci sono un sacco di novità all’orizzonte, ed è un orizzonte vicinissimo. Tutte ipotesi, quindi magari poi a stringere il risultato si rivelerà il solito pantano. Però sono fiducioso e nel caso qualcosa dovesse andare stranamente in porto preparatevi alla fiesta.
Dipende quasi tutto da domani, e il resto del tutto da dopo domani. Però non è quasi niente definitivo.
Saluti con le dita incrociate.
-
Il Matto compie gli anni
Pubblicato il
Scrivi un commento →: Il Matto compie gli anniOggi è il mio compleanno. Ho deciso di smetterla di togliermi gli anni come Alessia Fabiani e quindi è il momento della verità. Ebbene, siamo a quota ventotto. Yes. È va bene che il tempo non esiste e che è solo un’invenzione dell’uomo, però ventotto anni, ammirati dall’angolazione della mia vita in tutto e per tutto precaria, non generano proprio pensieri di giubilo. E quindi abbandoniamo cotali riflessioni e impostiamo questa giornata in modalità party.
Pizzeria prenotata. Andiamo al Pipistrello, un nome un programma. Ho cercato qualche parere su internet. Parlano di un ambiente giovanile, accogliente e con oltre 150 tipi di pizza. La verità è che è l’unica che ho trovato aperta il lunedì, eccezion fatta per Pizzaman che, per carità, sfiora il divino, ma andarci ogni tre giorni è distruttivo. Spero di non ritrovare ali o interiora o baffetti di pipistrello nel sugo della pizza (ok, la prendo bianca), denti canini come segnaposti, paletti di frassino per appendiabiti e comode bare in mandorlo al posto delle sedie. Io, quando schiatterò, voglio una bara in legno di mandorlo. Fate in modo che vengano rispettate le mie volontà, vi prego! Ma tanto che ve lo dico a fare, che voi certamente morirete tutti prima di me.
Dopo questi nuovi pensieri gaudenti passiamo alla torta. Prenotata pure quella alla pasticceria Dolcissima. Compongo il numero di telefono e scatta il fax. Ho dovuto spiegargli i miei gusti urlando dalla finestra. Una piccola e graziosa millefoglie con crema chantilly e frutti di bosco. Non mi andava il solito cioccolato e questo periodo sono fissato con amarena e frutti di bosco. Il gelato, quando mi permettono di scegliere più di un terzo di gusto senza dover accendere un mutuo per pagarlo, accoppio amarena e fior di latte, oppure frutti di bosco e fior di latte. Lo spumante lo portano Linda e Lapo. Le candeline non so. Se la pasticceria non ce l’ha, vorrà dire che non risulteranno prove degli anni spenti.
Grazie a Luca e Niccolò che a mezzanotte in punto sono venuti nella mia stanza, che è il loro salotto (Einstein c’aveva visto giusto con la relatività) e mi hanno fatto gli auguri. Grazie a tutti coloro che mi hanno dimostrato affetto attraverso i molteplici canali che il 2009 consente. Gli SMS, le chiamate, la cascata di auguri su Facebook, i segnali di fumo nel cielo da parte delle tribù nemiche, che in questo giorno si sono unite nel mio nome, e le lampeggianti luci delle creature che dal profondo degli oceani fanno festa per me. O erano i resti dell’Airbus inabissato? Poco importa.Volevo lasciarvi con la dedica di Anastasia che ha in(s)tonato un motivetto per farmi gli auguri, ma Splinder mi dà problemi (che novità), quindi per ora la sua dignità è sana e salva.
Happy saluti.
-
Dissertazione sulla morte per allagamento
Pubblicato il
Scrivi un commento →: Dissertazione sulla morte per allagamentoLa biblioteca delle Oblate ieri ha subito un allagamento secondo soltanto alla storica alluvione del ‘66 e ovviamente, come in ogni catastrofe, posso esclamare a gran voce: “Io c’ero!” (non nel ’66, ehm ehm; intendevo dire all’allagamento di ieri).
Lo splendido chiostro dell’ex convento trecentesco delle suore Oblate, da due anni recuperato e adibito a biblioteca, coi tavolinetti sfiorati dai raggi del sole e dall’aria che, profumata di lavanda, ti rinfresca, ieri pomeriggio si è trasformato in un oceano tempestoso. Me ne stavo in piedi sulla mia zattera, il rotondo tavolino di ventiquattro cm di diametro, mentre il cielo tuonava (e fulminava. C’è mancato poco che ci restassi secco in più di un’occasione). La pioggia mi aggrediva a vento in gocce rumorose e grosse come palloni da calcio. Ho temuto di morire allagato, morte che differisce di gran lunga da quella per annegamento. Anneghi quando l’acqua ti arriva alla gola, cominci a bere, non respiri più, saluti il mondo perché sai che muori, chiudi gli occhi, ciao. Quella per allagamento, attenzione A-L-L-A-G-A-M-E-N-T-O, procede in modo analogo, ma è più subdola. L’acqua comincia ad entrarti dentro dai pertugi più impensabili, ma dentro dentro proprio. Buchi visibili e conosciuti ai più per le loro molteplici funzionalità. Le orecchie, gli occhi, la bocca e il culo, ma pure i pori della pelle che assorbono lentamente l’acqua invitandola ad inondare gli organi interni. La morte per allagamento è terrificante perché muori senza preavviso. Il cuore, i polmoni, il pancreas, il fegato, i reni vanno in apnea, l’immersione subacquea dura troppo e tu, paffete puffete: “Oddio, muoio!”
Tirate pure un sospiro di sollievo perché la mia era solo una dissertazione, molto accurata, interessantissima e in tutto e per tutto scientifica, certo, ma non riferita al mio specifico caso. Infatti, grazie agli omini pulitori, sono sano e salvo. Nessun rimprovero si può fare alla velocità e all’efficienza di questi piccoli e, in più esemplari, belli grassi, messaggeri dell’asciutto spuntati da rientranze nei muri e botole segrete che, armati di bolidi a quattro ruote e trentatre spazzole, hanno risucchiato le onde prima che potessero raggiungere gli umani studenti, me compreso.
Poi è tornato il sole e gli omini, non contenti, hanno deciso di fare le pulizie di primavera spruzzando prima il sapone poi l’acqua e poi aspiravano. Io me ne stavo beatamente assorto tra le mie nullafacenze internettiane quando ho cominciato a notare movimenti minacciosi attorno a me. Gli omini procedevano con un chiaro piano d’attacco che di primo acchito non m’è parso così efficace. Finché la distanza si è ridotta drammaticamente e io d’improvviso mi son ritrovato con gli schizzi di sapone sulla tastiera, le braccia bagnate e i tavoli ammassati alla mia sinistra per fare spazio. La macchina, che dal rombo doveva avere il motore della Ferrari con la differenza che a guidarla non c’era Raikkonen, ma un ciccionen, mi girava attorno disegnando cerchi concentrici. Arrivato al centro, col mio tavolo e la mia sedia e il mio corpo seduto, il pilota ha girato la chiavetta dell’accensione e sbuffando: “Ti dovresti spostare”. “Guardi, io sto qui, proprio qui (indico quella precisa mattonella di cotto) perché c’è la presa elettrica.” “La presa è anche là!” Lui indica un pezzo di muro. Mi sposto. Allagano il pavimento che circonda il mio tavolino e muore anch’esso per allagamento, il pavimento. La presa è ricoperta di scotch, rotta. Vaglielo a spiegare che il buon funzionamento era una discriminante rilevante. Jumbopc è potentissimo, ok, ma a succhiare energia oltrepassando la barriera del nastro adesivo ancora non è abilitato. Come se non bastasse gli omini hanno cominciato ad avvicinarsi forti della loro viscida tattica. Stanno reiterano i cerchi concentrici e arriveranno di nuovo a me. Ho capito, sono alieni e quegli oggetti non identificati che rombano e sputano acqua schiumosa sono i loro dischi volanti. Si avvicinano. Ecco gli schizzi e il sapone. La biblioteca chiude alle ventidue. E allora perché questi alle diciassette e trentasei si sono messi in mente di portare le Oblate alla lavanderia? Jumbopc ha l’autonomia di sedici minuti. Ok, hanno vinto loro. Me ne vado.
Oggi nuovo temporale, ma degli omini nessuna traccia, come nessuna traccia di comprensione. Quell’articolo non mi scende e l’esame è alle porte e pure alle finestre. A un certo punto di piovere ha smesso. Il sole stavolta non è uscito. Il cielo non ha cambiato colore. Può restare grigio, se vuole. La paura è diversa. E anche se stasera non sto proprio alle stelle, respiro nuovamente.
Vi segnalo le nuove 4 chiacchiere (contate). Questa settimana incontriamo Ilaria Giannini, giovane giornalista che esordisce come scrittrice col romanzo Facciamo finta che sia per sempre, pubblicato da Intermezzi.
Fuori cantano e ballano per la Notte Bianca. Strana sensazione che dalle finestre della saletta, di cui, per usucapione, ho acquisito la proprietà, trasformandola nella mia camera da letto, giungano le note di un ballo caraibico e da quelle della cucina, dove mi trovo a scrivere, Britney Spears, e non è che possa chiuderle, sempre se non voglio sentirmi come Paul Newman ne L’inferno di cristallo. Fate una buona domenica!
-
Strani accoppiamenti fra automobili
Pubblicato il
Scrivi un commento →: Strani accoppiamenti fra automobiliIeri sera Firenze era bellissima. Non che gli altri giorni non lo sia, ma ieri sera di più. Anzi, maestosa, come direbbe il bambino dei cigni. Per lui i cigni sono maestosi e non c’è verso che siano altro. Non grandi, bianchi, eleganti. Nulla di tutto questo. Maestosi. Fissava quel cigno ipnotizzato, poi si voltava ad ammirare i fuochi nel cielo e di nuovo gli occhi al cigno che giocava con l’acqua. La gente si è riversata sulle strade per festeggiare San Giovanni, il patrono di Firenze. I ponti della città e i lungarni da lontano sembravano canali percorsi da formiche che si fermano quando arrivano a una buona visuale sull’Arno, da cui sarebbero partiti, di lì a pochi minuti, i fuochi. Mentre tentavo di raggiungere il ponte che sta dopo il ponte che sta dopo ponte Vecchio (non ponte Vecchio, non quello dopo, l’altro ancora, insomma. Come si chiama leggetelo sulla cartina), sono stato quasi investito da due scooter che sfrecciavano sul marciapiede, nella direzione opposta. Mi hanno anche urlato contro qualcosa. Ed io che ero rimasto all’idea che sui marciapiedi i pedoni potessero sentirsi tranquilli, senza temere di perdere l’uso di una gamba sotto un cerchione all’improvviso. Invece Firenze dev’essere regolamentata da un codice della strada alternativo. Ho notato, per esempio, che ai semafori, quando scatta il giallo, le automobili inchiodano. Per il sottoscritto, che ha sempre cercato di sfruttare pure i primi decimi di secondo del rosso pur di attraversare e non dover aspettare ancora, è una cosa strana, questa che, alla prima occasione, lo porterebbe di certo in groppa all’utilitaria antistante. Nonostante l’immagine di cavallerizzi e cavalli rievochi pensieri sessualmente stuzzicanti, in tal caso non credo che ne godrebbe particolarmente né la mia Matiz verde acqua né tantomeno quella del tipo che come minimo mi spacca la faccia a pietrate focaie. Un’altra cosa strana che ho notato – strana sempre per il suo essere aliena dalle mie abitudini, come sarebbero strane le dimissioni di Berlusconi o l’ascesa al Paradiso del signor sua maestà illustrissima Benedetto Papa – è legata alle strisce pedonali. Hanno un potere sugli automobilisti fiorentini che neanche il Triangolo delle Bermuda coi vascelli risucchiati. Se sul ciglio di una strada, può essere una qualunque, anche una tangenziale su cui sfrecciano come razzi (un’autostrada è poco calzante come esempio. Non mi pare di aver mai visto strisce pedonali in autostrada, che se accosti per soccorrere un’automobile incidentata e ti beccano, ti levano la patente finché campi ( e dubito che te la ridiano nell’Aldilà). Per la serie: Hai appena fatto un incidente in autostrada? Muori pure e grazie per aver scelto Autostrade per l’Italia!) appoggi il piedino sul bianco della prima striscia pedonale, l’automobile in arrivo si paralizza e scorgi un sorriso dietro il vetro che ti fa cenno di passare. Io, quando guido, tendo all’abbattimento degli ostacoli che bloccano il passaggio. Trovo sia una pratica veloce e logica. Io devo passare lì, tu stai in mezzo alle palle, io ti abbatto. Lo diceva anche un proverbio che parlava di sbarazzarsi dei macigni che impediscono di procedere sulla strada della vita. Io lo faccio pure con le persone e non è che stia a badare se il terreno sotto i loro piedi sia tutto nero oppure zebrato.
Ho visto anche giovani sull’autobus cedere il posto agli anziani che non sempre gradiscono il generoso gesto. La vecchia di stamattina a Stefano (che c’è venuto a trovare da Avezzano, grazie per la giornata e per il flurry smarties!) che si era alzato per farla accomodare, ha risposto: “No grazie, sto meglio dritta!”
È per questo che io non mi alzo mai, quando sto sull’autobus. Anche perché pure io comincio ad avere una certa età che, tra pochi giorni, verrà incrementata di un’altra unità. E io a festeggiare resto qua. Me lo devo.
-
C’è gente che la pensa come Berlusconi. L’ho vista.
Pubblicato il
Scrivi un commento →: C’è gente che la pensa come Berlusconi. L’ho vista.Ero abbastanza sicuro che questa cosa di Berlusconi capo del governo fosse una specie di finzione teatrale. Lo scherzo più lungo nella storia di Scherzi a Parte. Che i risultati delle votazioni fossero tutte le volte (perde quello, guadagna quell’altro, si scioglie quel partito, si uniscono quegli altri sedici. Gira che ti rigira non cambia niente) il frutto di un divertente gioco che sarebbe finito prima o poi con un: “C’eri cascato eh?! Ora andiamo a votare sul serio, dai!” e invece no. Mi dispiace dare questa notizia a chi, come me, sperava di risvegliarsi, ma è tutto vero. Berlusconi esiste ed è il nano che vedete ogni giorno ovunque guardiate. Il viscido delle false promesse. L’atroce sorriso disumano che rassicura e ipnotizza le masse. In questo, come in tante altre cose, tipo fare soldi, lui che, come spesso racconta, ha creato la sua fortuna da un’arancia (di tutta risposta io ho iniziato a farmi le pere) è bravissimo. È stata un’amara scoperta venire a contatto con gente che la pensa come lui. Ho scoperto che esiste gente che afferma con convinzione che è giusto che gli aquilani si ricostruiscano le case che hanno perso, a loro spese. Non che Berlusconi l’abbia detto direttamente, ma l’ha fatto scrivere nel suo ammirevole decreto. Il terremoto non è colpa di nessuno, tantomeno dello Stato. Tu hai speso trecentocinquantamila euro per comprarti un appartamento? I soldi di una vita (qua ci sta bene). C’hai pagato le tasse per venticinque anni? (Tasse mi ricorda un po’ Stato, comunque…) Una notte di cazzo si scatena il mondo nel terremoto più forte del millennio e casa tua si sbriciola? Beh, che aspetti, ricostruiscitela tu, perché lo Stato ha altre necessità. Allo stato i soldi servono. Se no Berlusconi con cosa glielo compra il regalo dei diciotto anni a Noemi? Come fanno i parlamentari a fare merenda con la schiacciata dal fornaio, se qualcuno dovesse osare ridurgli di un pelino pubico i quindicimila ++ euro al mese che prendono per russare come maiali sulle poltrone vellutate, senza neanche conoscere i congiuntivi?
C’è gente, e ve lo dico perché c’ho parlato, che è convinta che sia tutto giusto così com’è. Che si unisce al grido di: “Berlusconi ha ragione!” mentre tutto il mondo dei media lo sta prendendo per il culo per quello che dice e che fa. Io mi vergogno un po’ di essere governato da uno zimbello mondiale. Mi vergogno e mi dispiace di non poter chiamare l’Italia un paese civile. L’Italia è un gigantesco circo e la gente paga cari i biglietti per assistere allo spettacolo, di lorsignori giocolieri che si arricchiscono godendo dei disastri, che portano nelle loro tasche pubblicità e voti.
Ah, poi ho scoperto pure che il terremoto aquilano non è l’unico sfacelo mondiale. Ho scoperto che esistono cose tipo la guerra o la fame, e i bambini che in Africa muoiono con le pance gonfie di malaria, senz’acqua. Ho scoperto che l’ecosistema terrestre è corrotto da tempo e che presto schiatteremo tutti perché il nostro pianeta ad un certo punto s’incazzerà di brutto e ce la farà pagare. Poi magari arriva una meteora e chiude il discorso. Io non le sapevo proprio tutte queste cose. Io pensavo che esistesse soltanto il terremoto aquilano, pensate un po’. Fortuna che qualcuno me l’ha fatto notare altrimenti non l’avrei mai immaginato. Vedevo il mondo attorno come una specie di paradiso terrestre e la nostra Italia il punto nero da spremere o in caso estremo asportare chirurgicamente, per ritrovare la perfezione perduta.
Avete presente quelli che, mentre tu parli di X e Y, e di quanto a tuo avviso sia grave la situazione che li lega, alzano la mano e con fare saccente rispondono: “Voi state qua a parlare di X e Y quando nel mondo muoiono i bambini, ci sono gli tsunami, esplodono le bombe in mano alle madri innocenti…”
Ho forse detto che la questione di X e Y è meno grave delle madri senza mani? No. Sto semplicemente affrontando la questione del terremoto. Sto guardando questo pezzo di realtà. Per farlo debbo prima accertarmi che sia meritevole di discuterne, che sia per gravità superiore a quanto affligge il resto dell’umanità? Cosa c’entrano le guerre e le carestie?
Trovo sia intelligente seguire un discorso e, se si sente il bisogno di parlare, alzare la mano e dire una cosa sensata e soprattutto C-O-L-L-E-G-A-T-A. Altrimenti state zitti. Non voi, lettori del blog. Mi rivolgo ai vanverini che sono come le vecchie che, con l’arrivo della primavera, si accucciano agli scalini di pietra della loro casetta di paese e parlano a vanvera. Mica uno deve parlare per forza. Trovo.