• Io non credo tanto nell’oroscopo anzi, per niente proprio, però so cosa l’oroscopo dovrebbe dirmi perché io possa concedere agli astri e a chi li legge il beneficio del dubbio. E questo c’ha beccato, perché io mi sento così.

    Quest’anno le stelle vi spingeranno a non farvi più sentire perfettamente soddisfatti nel vostro guscio in modo da dovervi concentrare non dico sul futuro, ma quantomeno sul presente e sui voi stessi. Siete i romantici dello zodiaco e spesso siete talmente legati al passato o ad occuparvi della cura del vostro nido che non vi rendete conto che il mondo intorno a voi e, soprattutto, le vostre esigenze, nel tempo sono cambiate.
    Sarà Giove con la sua spinta al futuro a farvi provare questo senso di irrequietezza e malessere entrando a Gennaio in Acquario e formando un aspetto di quinconce al vostro Sole per tutta la durata dell’anno. Anche il definitivo passaggio di Plutone in Capricorno, contribuirà a questa situazione mettendo a fuoco obiettivi e tematiche apparentemente non in sintonia con voi.
    Non lamentatevi però, lo scopo di tirarvi fuori dalla vostra conchiglia è quello di liberarvi da un passato che non vi appartiene più, di rimettervi a contatto con i vostri bisogni profondi e di imparare ad amare e nutrire prima di tutti di voi stessi. Che grande ricchezza sarà allora poter disporre di tutta la vostra sensibilità e premura sia nella vostra professione che nella vita privata!

    E visto che siamo a febbraio e l’aspetto di quinconce al mio Sole è ormai bello che radicato e la mia conchiglia è una specie di carcere con 99 cancelli, 99 porte blindate, 99 celle, 99 sbarre, tutto 99, ieri ho cominciato a valutare la possibilità di pensare al pensare di lasciare la prigione un po’ prima del previsto. Ho pensato che potrei pensare, insomma. Il passo successivo è pensare se farlo, e si presenterà al momento della fine, non del mondo, che quei simpaticoni dei Maya hanno pronosticato per il 21 dicembre 2012, quindi c’è ancora tempo (tanto a loro che gli fregava), ma delle sofferenze. Perché le sofferenze interiori, se quella fine ce l’hanno e tu la vedi, hai il dovere di perseguirla. Stamattina mi son svegliato che, se non mi fossi teletrasportato al bagno nell’arco di un decimo di secondo, sarei esploso, e mi son sentito tanto felice di non soffrire d’incontinenza e, nel tragitto dalla mia stanza al bagno, mi veniva da cantare L’inquietudine di Nek. Mentre espletavo mi son ricordato che avevo sognato che ero in vacanza al mare coi miei amici, e la famigliola del bungalow di fronte  al nostro non faceva che ascoltare ‘sta canzone, a ripetizione per tutto il giorno (non dovevano star molto bene). Per forza poi uno si perde in certe riflessioni di irrequietezza e cambiamenti e fughe.
    Domani puntata numero 1 di 4 chiacchiere (contate) con… Ho un po’ di cose belle da dirvi al riguardo.
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  • Torno dal professore, armato del mio irresistibile sorriso di latta e di un taglierino affilato. Dopo la lunga assenza dal suo studio, che ricorda più una sparizione, non si sa mai che provi a inscenare la pantomima del finto tonto che non mi riconosce. Prima di me un ragazzo decide di aspettare che Birba si scolli dal cellulare narrandomi di quanto fosse stato sicuro stavolta di aver superato l’esame per poi rimanere deluso, perché lui il metodo del simplesso lo conosce benissimo (che non è l’amplesso, quello lo conosco pure io). Che gli tornava lo stesso risultato, ma il professore gl’aveva dato soltanto 3 punti su 6 a quell’esercizio e quindi niente di fatto, ma lui vuole vedere il compito. Vuole vedere, perché è convinto che sia stato Birba a sbagliare. Ha altri esami da preparare e non possono rovinargli i piani così. E io son d’accordo, ma neanche lui può rovinare la giornata a me che delle sue disperate vicissitudini me ne sbatto. Entra, viene divorato. “Sta aspettando me?” domanda, facendo capolino fuori la porta. No, la prozia di mio nonno, vorrei rispondere. “Prego, si accomodi!” Mi siedo e solo per qualche millimetro non mi ribalto su quella sediolina girevole francamente pericolosissima. Esclamo: “Ops!” aggrappandomi al tavolo. “Mi dica!” “Eh, intanto mi scusi se ho lasciato passare così tanto tempo.” “Così tanto tempo da cosa?” “Dall’ultima volta che ci siamo visti.” “Ah, perché ci siamo già visti?” Quanto sei prevedibile! Io, che son arguto, tiro fuori il taglierino la cui lama risplende al sol artificiale del monitor del PC nuovo, grande come quello della tv del mio salotto. Chissà come mai, in quel preciso istante, proprio quando il luccichio del lindo metallo gli bagna l’iride, lui si ricorda di me. “Lei è quello che lavora da Mc Donald’s, ricordo. Ne è passato di tempo!” Ripongo il taglierino. “Ho studiato quella parte che mi aveva assegnato.” “Io non ricordo neanche quale.” I miei occhi gridano: Stai attento che stavolta il taglierino lo uso! “Allora mi parli di quello che ha studiato.” Parto con la mia pappardella a cui pone fine dopo neanche mezzo minuto con un: “Va be’, queste sono cose semplici semplici…” Io mi azzittisco pensando che per capirle vagamente ho impiegato mesi, mentre lui volta le paginette del mio quadernone, opportunamente scritto per dimostrare il mio indiscutibile impegno, come se stesse manipolando fogli di diarrea di suino essiccata. Si trascina al PC e mi domanda: “Lei legge in inglese?”. A quel punto potrei rispondergli: Of course! Ma, chissà perché, la mia bocca sputa fuori un: “Ehm…” tremolante. Poi penso che in fondo lui m’ha chiesto se leggo in inglese, mica se capisco quello che leggo, nel caso in cui mi trovassi nella remota costrizione di dover affrontare pagine in idioma anglosassone, che son 2 cose diverse e allora, tossicchiando, faccio un cenno affermativo. “Wagner Whitin lo conosce?” “Chiii?!” “È un algoritmo!” “Ahhh!” “Allora…” legge un file pdf che ha appena scaricato in funzione di una qualche ispirazione improvvisa, uno a caso da Google. Mi immobilizzo sulla sedia francamente pericolosissima e penso che se mi fa leggere in inglese è la volta buona che espatrio, mentre lui borbotta: “Cos’è ‘sta roba…” poi si volta verso di me e: “Va be’, facciamo così. Incentriamo il suo esame sullo studio di un caso. Lei si studia Wagner Whitin, poi si dà un’occhiata a questo articolo (di 55 pagine in inglese) e vediamo se ha le capacità per comprendere e farmi comprendere cos’è che fanno questi signori.”

    Lascio lo studio di Birba inebriato da nuove speranze, perché ha pronunciato ancora una volta la parola esame, ma ho come la sensazione che io quelle capacità di cui parla non tanto ce l’ho. Però la speranza non l’ammazza nessuno – si sa – la mia poi…

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  • Credevo che saper contare fino a 3 e poi riuscire ad arrivare a 10 e quindi 20, 100 e 1000 significasse saper contare fino a qualunque cifra possibile. Niente di più sbagliato. L’ho capito quando ieri mi sono imbattuto in un articolo dedicato a Mark Zuckerberg. Si tratta del milionario più giovane del mondo. Ha 23 anni e il suo patrimonio è valutato 4,5 bilioni (con la b) di dollari. È nato fottutamente ricco come Paris Hilton? No, c’è diventato grazie al demone del momento, perché questo ragazzo dalla faccia da 15enne sfigato coi denti gialli (no che non sono invidioso, per niente proprio) ha avuto la brillante (a dir poco) idea di inventarsi Facebook, che ora è valutato 15 bilioni (sempre con la b) di dollari. Lui, possedendo il 30 per cento della compagnia, dorme sonni tranquilli sui suoi 4,5 bilioni di dollari, che stanno tra le doghe in legno e il suo materasso ortopedico, e che nei prossimi mesi lieviteranno facendolo di certo entrare nella classifica dei 20 uomini più ricchi del mondo. Non avendo, per ovvi motivi, mai avuto a che fare con questo termine e col suo significato intrinseco, mi son chiesto: Cos’è un bilione?
    Wikipedia dice: Il bilione (1.000.000.000.000, o 1012) è il numero naturale dopo il 999999999999 e prima del 1000000000001. Quindi 1000 miliardi. Andiamo a fare un calcolo. 1000 miliardi moltiplicato per 4,5 fa 4000 miliardi e mezzo di dollari. 1 euro = 1,2823 dollari quindi 4000 miliardi e mezzo diviso 1,2823 fa 3500 miliardi di euro che in lire, tanto per essere sadici e massacrarci, fa 6milioni e 776000 miliardi di lire. Forse mi son perso perché mi paiono tanti 776000 miliardi, figuriamoci poi i 6milioni, ecco perché dico che da un certo punto in poi uno non sa più contare. Fortuna che io non ho problemi di questo tipo, perché da Mc Donald’s, che ai dipendenti ci tengono e gli vogliono bene e li amano pure e non vogliono affatto metterli in difficoltà, per avere una vaga idea dell’ammontare delle buste paga bastano i regoli delle elementari.
    Aggiornamento lampo: ho letto e corretto e moltiplicato e diviso le cifre di questo post un’infinità di volte, meno sicuramente dei bilioni di Mark.
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  • Ieri una devastante domenica sera al Mc Donald’s. Direttore e manager(s) tutti, all inclusive e l’ansia – non la mia che ero tranquillissimo e pensavo che erano 2 o 3 giorni che stranamente non pioveva – potevi tagliarla a listelli e metterla nel Tasty, sotto alle 2 fette di formaggio bianco, al posto del bacon. Offese e una valanga di lacrime per un cestello di crocchette formaggio e spinaci che cuoceva senza tempo, salvato per miracolo dalla combustione. Chi aveva messo quel cestello a cuocere? Era stata lei a non impostare il tempo oppure qualche sbadato che, quando il timer ha suonato, l’ha spento dimenticandosi di alzare il cestello dall’olio? Un testimone non troppo attendibile ha fornito la sua dichiarazione e io, fortunatamente, per una volta, non solo non c’entravo, ma neanche mi sono accorto di niente. Quando ho visto la Ory in lacrime pensavo si stesse sentendo male. Le ho chiesto se era tutto ok, mi ha risposto di sì. Insomma una specie di puntatona di Nel segno del giallo, che io e Franchino dovevamo portare a termine dopo aver staccato, sciogliendo l’atroce dubbio che ha tormentato le nostre notti dopo la soporifera visione di Revolutionary road: il dubbio che fosse meglio Il dubbio con protagonista, l’ormai abbonata alla nomination per l’Oscar, Meryl Streep, del polpettone depressivo di Kate e Leo. Io non è che avessi molta voglia di tornare a Malpensa, solo che poi il pensiero che son mesi che non ho una vita sociale apprezzabile, mi ha spinto a rituffarmi fra gli sconosciuti a fare il cinefilo sapientino.   
    Il film è tutto incentrato sul sospetto che un prete, padre Flynn, abbia abusato di un giovane allievo di colore della scuola St. Nicholas, nel Bronx, di cui è preside sorella Aloysius interpretata appunto da Maryl Streep, che indice una vera e propria crociata contro il prete, senza uno straccio di prova, basandosi solo sul sospetto e sulla sua sicurezza morale, incurante delle possibili conseguenze. Battagliera decisa in un’epoca definita dalle condanne morali, non combatte solo contro il prete anticonformista ma contro le forze del cambiamento che le aleggiano attorno. La sua lotta ostinata e senza remore farebbe pensare che in lei non regni il dubbio, così non è. Non vi dico se Flynn ha abusato o no di quel ragazzino però vi dico che la fine non m’è piaciuta granché e, nonostante questo, vi consiglio di andarlo a vedere. Se non altro per l’interpretazione di Maryl Streep. Una scena in particolare: l’accesa discussione col prete, tanto intensa da provocarmi un velo lucido sugli occhi, nonostante fosse tutt’altro che commovente. Questo è il trailer, vedete voi. Io aspetto The reader. Volevo mettervi pure quello di trailer solo che l’ho trovato soltanto in inglese e, onde evitare di farvi sentire come mi son sentito io quando l’ho visto, e cioè un perfetto delfino nel deserto, ho evitato.
    Scrivi un commento →: Nel dubbio sono andato a vedere Il dubbio
  • Ieri sera io e Franchino abbiamo staccato alle 22.30 e alle 22.35 eravamo al Movieplex, e ci siam anche dovuti cambiare. Istallare il teletrasporto nello spogliatoio del Mc Donald’s – devo dire – è stata una grande idea. Per lo spostamento d’aria provocato dal nostro passaggio la manager, in evidente stato confusionale, è caduta fra i sacchi della spazzatura che grondavano liquami alieni. Franco s’è fatto un panino di nascosto e se l’è ingurgitato in bagno. Io così non ce la faccio, ho bisogno dei miei tempi di masticazione e assaporamento, e quindi a mangiare c’ho rinunciato. Al cinema c’era una fila che sembrava l’area check-in dell’aeroporto di Malpensa. La gente era disposta in un lungo serpente che strisciava verso le 2 casse. Avevamo un dubbio: ci vediamo Il dubbio, o un altro film a caso?
    “Viaggio al centro della Terra, l’ho visto è una cagata” captano le mie orecchie. Italians proprio non m’ispira, e poi ho un blocco molto radicato nell’anima e nel culo, che m’impedisce di vedermi un qualunque film dove compaia anche per un solo istante Scamarcio. “Revolutionary road cos’è?” “Boh!” La fila procede. “Scusi!” La signorina continua a parlare col suo fidanzato. “Scusi leiii?!” Franco le dà un cazzotto sulla spalla, lei si volta terrorizzata. “Mi allunga la recensione di Revolutionary road?” Quella è stata l’ultima cosa che ha fatto. Estremamente dolorante per la botta subita, è stata portata subito in ospedale ed è morta dopo un’agonia di 9 ore. “Uh, il film con Kate Winslet e Di Caprio! Sì andiamo a vederci questo!” “Matte’ sei sicuro? Ho il dubbio che sia meglio Il dubbio!” “Ma che dubbio e dubbio, ho deciso!” “Sì, ma…” “2 biglietti per Revolutionary road!” “15 euro!” “Cheeee?!” Gli do un calcio e Franco si azzittisce. Paghiamo e lo spingo oltre la transenna, prima che si lasci andare a uno dei suoi commenti inopportuni e incontrollati, ad altissima voce. “Prendiamo l’ascensore!” “Ma che ascensore Fra, saranno 2 scale!” “No, ne sono tante e poi sta arrivando!” “Forza che è tardi!” E parto per le scale; 6 rampe ragazzi. Arriviamo alla sala 3 che dopo 5 ore di lavoro e il teletrasporto e la corsa per le scale ci sentiam come quando hai pestato l’uva per un’intera giornata e poi all’improvviso, qualcuno ha pestato te. Il film comincia con una litigata tra Kate e Leo. Lei sognava di far l’attrice e si ritrova a un’età indefinita, ma meno di 40 anni, a fare le recite del paese. Si sente frustrata, incompresa, fallita, piena zeppa di sogni e imprigionata in una casetta bianca con giardino in Revolutionary road che è più una prigione. Lui ha un lavoro che non lo soddisfa, ma è l’unica possibilità per portare avanti la famiglia coi loro 2 figlioletti. Il primo tempo è – credetemi – una palla pazzesca. Più di un’ora a suon di litigate e urla e silenzi, ma nessuna evoluzione. Per la serie: L’abbiamo capito che la vostra vita fa schifo, ma proviamo ad andare avanti. La scena clou è quando la signora Givings, la vecchia agente immobiliare che ha venduto loro la casetta, che poi è Kathy Bates, mica per ricordare Titanic, no no, suona al campanello. Kate apre la porta nel solito stato depressivo che le appartiene per tutto il film, lei le sorride e: “Cara, ho notato che il tuo giardinetto è un po’ arido, smorto, e così ti ho portato delle piccole piantine ornamentali che hanno bisogno di appena uno schizzetto d’acqua al giorno!” Il secondo tempo è un po’ più vivo, con quelle 2 trombate lampo in cui Di Caprio viene dopo 12 secondi (per essere generoso) e, se fossi in lui, mi preoccuperei un attimo, ma l’esito non cambia. Ricordiamo anche la scena clou del secondo tempo che è, senza ombra di dubbio, quella in cui Kate dice a Leo che anche secondo lei quella era stata una colazione speciale e, considerato che hanno parlato solo di quanto fosse deliziosa la frittata, spero che questo basti a farvi rimuovere la malinconica tentazione di rivederli insieme. Il film fa schifo. Kate Winslet che, per carità, recita da dio – ha beccato pure il Golden Globe come migliore attrice per questo film – stavolta non è riuscita a trovare una tavola a cui aggrapparsi ed è affondata appresso al suo Jack che, dopo Titanic, s’è messo a mangiare di brutto visto che è triplicato di dimensioni.
    Avete capito, lasciate perdere e andatevi a vedere Beverly Hills Chihuahua, che sicuramente è meglio.
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  • Rullino tutte trombe, squillino i tamburi perché ci siamo. Signore e signori ecco a voi la puntata numero 0 della mia primissima rubrica ufficiale 4 chiacchiere (contate) con… (è un gran giorno questo).
    Ve l’ho detto, cominciamo col botto. Il protagonista è uno dei massimi esponenti della letteratura italiana, forse il più grande di sempre, e mai più ne verrà fuori uno dal così indiscutibile, sopraffino, elegante talento. Scopritelo voi di chi stiamo parlando. Poi si sa che de gustibus…

    4 chiacchiere (contate) con… [0]

    Non prendete impegni per i prossimi sabato perché questo sarà l’appuntamento fisso del week end da qui a non si sa quando, ma molto lontano. E leggetela con attenzione che ci son grandi anticipazioni che spero vi piaceranno.
    Scrivi un commento →: 4 chiacchiere (contate) con… [o]
  • Ieri ho provato ripetutamente ad accendere il PC puntando sul monitor il telecomando della TV, questo giusto per farvi render conto di quanto stia fulminato ultimamente. Sempre ieri, nella fatidica doccia, mi son messo a pensare, perché io nella doccia non canto – preferisco evitare che il barattolo di shampoo rosa, che sembra la melma psicomagneterica che intasava le fogne nel celebre Ghostbuster 2, decida di piombarmi sull’alluce per farmi smettere – però penso, spesso anche ad alta voce. Riflettevo su quante cose stia facendo in questo periodo. Ho stilato un elenco e son rimasto sconvolto. Questo mi ha portato a chiedere, con lettera scritta e sottoscritta a Benedetto XVI, di ufficializzare la prima santità di persona viva e, all’evidenza di tutti, dotata di ubiquità: io.
    Accade che mi salti in testa l’idea di una rubrica; mica sotto la doccia, qualche mese fa. I lettori della Stanza sanno bene che io ogni tanto ne lancio una, ma questa non era destinata a restare nella Stanza del Matto e allora l’ho tenuta per me, sperando un giorno di trovare la sua giusta collocazione. Ed ecco la supernovità di cui vi parlavo. Da domani sul sito Sololibri.net parte 4 chiacchiere (contate) con… la mia rubrica di interviste agli scrittori. Ogni sabato intervisterò uno scrittore, che sia emergente, emerso o affondato non importa; l’importante è che stimoli la mia curiosità. Eviterò le solite pappardelle chilometriche fatte di domande scontate di chi, di quell’autore e del libro che ha scritto, in realtà, se ne frega. Le mie saranno come 4 chiacchiere davanti a un Mojito in un bar non troppo affollato. Di più non posso dirvi, ma vi assicuro che sarà una gran figata. Alla vigilia di quest’avventura voglio ringraziare tutto lo staff di Sololibri.net che, intanto, mi permette da tempo di pubblicare recensioni per il loro portale, e in particolare Rachele Landi, che ha creduto nella mia idea buttata lì un giorno per caso, e ha cooperato intelligentemente con me perché tutto fosse giusto. C’è molto lavoro dietro quella che appare una cosa lampo, lavoro che non si vede come non si vedono spesso coloro che ne sono gli artefici. Quindi grazie per quello che hai fatto, grazie per l’opportunità immensa che hai voluto darmi, e grazie per quello che farai. Poi vorrei ringraziare gli scrittori che, entusiasti, mi han detto di sì, e tutti quelli che si lasceranno torturare dalle mie non troppo innocue 4 chiacchiere. Invito chi volesse partecipare a scrivermi a: matteo1077@gmail.com, ma ormai la mia e-mail la conoscete.
    Detto questo, domani si parte, e cominciamo col botto perché il primo è, a mio avviso, il più grande autore di narrativa vivente che, fra le altre cose, ci darà delle anticipazioni sulla sua prossima uscita ormai imminente. Uno scoop, insomma. Fortuna che lo conosco come le mie tasche, quindi non è stato complicato convincerlo a lasciarsi intervistare. Se c’è un autore che conoscete di persona o per i suoi scritti, o che non conoscete, ma vi pacerebbe vederlo nella rubrica, non esitate a segnalarmelo e a segnalare a lui l’iniziativa. I vostri consigli sono oro.
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  • Ieri non ho avuto neanche il tempo di farmi il bidet, mannaggia. Ho studiato come uno studentello sfigatello secchioncello tutto il giorno. E, quando dico tutto, vuol dire dalle 10 di mattina alle 5 di sera: l’ora X del ricevimento del prof. Ho fatto anche carbonizzare la minestra di farro acquatica. Dopo un tot di tempo, l’acqua, per quanto potesse essere abbondante – ci potevi gettar dentro un pesce rosso, avrebbe respirato senza problemi – s’è prevedibilmente ritirata, e poi il farro e le patate e i fagioli e quei filamenti arancioni che mi parevan tanto i tentacoli di una medusa, fino a formare un tutt’uno col fondo della pentola (non è evaporata pure quella soltanto perché è Mondial Casa), e quando te n’accorgi è sempre troppo tardi. Fortuna che c’erano gli straccetti in padella al pomodoro, se no mi toccava ripranzare con una tazza di latte con dentro 5 cucchiai di cacao amaro che non si mischia e mezza busta di biscotti alle uvette dell’antica pasticceria nonsoché, duri che l’altra sera c’ho piantato un chiodo sulla parete sopra al letto, per mettere un quadretto che già m’ha stufato, solo che ormai ho bucato. Mi son legato alla scrivania con una corda d’acciaio e ho impostato la modalità: sedia dura, perché su quella girevole imbottita che ho davanti al PC poi mi metto a molleggiare e a girare e mi lancio con le rotelle, e vengo risucchiato nel mare denso dei blog e delle e-mail e dei file Word e dei romanzi; e al prof poi che gli racconto, i blog e i file Word e il mare denso come la minestra prima di tramutarsi in silicone sigillante? Alle 17.25 ero fuori dal suo studio. Stavolta i 5 minuti che avevo calcolato perché non mi ricordo mai che piano è, non son serviti; l’ho beccato al primo tentativo, lo studio. Busso, provo ad aprire. La porta è chiusa a chiave, lui non c’è, arretro, mi accomodo sul termosifone a 2 tubi, e attendo. Passano 5 minuti. Passano 10 minuti. La Invy esce dal suo ufficio con l’osso troglodita tra i ricci sfibrati e va via prenotando le pizze al telefono. Non ha molto tempo per sistemarsi l’acconciatura, né per cucinare, lei che è fra i primi 10 scienziati riconosciuti al mondo nell’ingegneria informatica. Quell’altro marpione di Corty la segue e, fingendo l’incontro casuale, prova a domandarle qualcosa su nuovi corsi da tenere e borse di studio da far prendere a qualcuno. Birba non si vede e sono ormai le 17 e 50. Chiamo Niccolò. “Vedi se ha messo un avviso sul suo sito, tipo che oggi sta a New York e che quindi il ricevimento non si fa?” “Sul sito dice che l’orario di ricevimento è dalle 11.00 alle 12.30.” “What’s?” “Sì sì, dice così.” “E perché sul sito di informatica dice che è alle 17 e 30?”
    Per un attimo penso che posso ancora farcela. Se solo dietro quel bitubo tiepido su cui sono abbandonato si celasse una seppur primordiale macchina del tempo, mi basterebbe impostare il timer a poche ora fa. Giro la manopola di plastica per provare, e il termosifone comincia a sputarmi addosso acqua bollente che puzza pure. Torno a casa col fegato ormai ridotto alle dimensioni di una Zigulì. Che poi ho scoperto che quello delle 11 è il ricevimento a Ingegneria, perché lui insegna anche là. Così alle 2 e mezza di notte mi son ricordato di scrivergli per segnalargli l’accaduto. Ho come la sensazione che non sarà una risposta dolcificata (come dice Garrison) la sua.
    Ieri mi son visto Amici. Qualche lampo: Alessandra Amoroso, se non la producono, non capiscono una ceppa, e questo è più che probabile. Intanto quella ragazza, col suo inedito Immobile è prima nei download. La De Filippi portava un vestito che sembrava le fosse esplosa una bomba fra le cosce, o che dovesse decollare da un momento all’altro e fare il giro del mondo lanciando volantini di Scialla dall’alto dei cieli. A proposito, Bonolis, che a un certo punto è comparso a fare promozione per Sanremo, ha detto che il disco di Amici ha venduto 120mila copie in una settimana. Che sarà primo posso anche crederci, ma 120mila copie in Italia non le vende in una settimana neanche Madonna. Ma perché uno deve prendere per dementi i telespettatori? Platinette, con Bonolis davanti, aveva la possibilità di fare un intervento sensato e chiedergli ad esempio perché nel 2009 debba essere concesso a qualcuno di cantare una roba che s’intitola Luca era gay. Non diciamo che bisognerà ascoltarla, leggere il testo, e cagate simili. Il titolo è di per sé offensivo all’idea di civiltà. Comunque Povia non è la brava persona che pareva quando con quel visino angelico cantava di bambini che fanno oh. L’ex manager ha dichiarato che tutti i proventi dei Bambini fanno quel verso là, sono andati in beneficenza sì, ma in becchine per piccioni di città. Infatti pare che Povia se li sia intascati tutti quanti ahum ahum e, considerato che è stato in classifica più di un anno, non son proprio 4 monete di cioccolata. E invece Platinette gli chiede perché ha scelto Maria come compagna d’eccezione per l’ultima serata, che è un po’ affine al perché ha voluto che partecipasse Marco Carta. Perché Sanremo, da quest’anno, non è più Sanremo, ma, come dice Platy, una sorta di Amici versione old. Ce lo vedo Albano che litiga con Jurman perché non ha estensione, interpretativamente parlando (l’accostamento di parole più pronunciato della serata e più orribile che abbia mai sentito). Domani vi spiego la super novità, ora vado a farmi la doccia.
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  • Il tempo, inteso come inesistente elemento che l’uomo ha teorizzato per regolarsi, dovrebbe mantenere costante la sua velocità di crociera, se non erro. (Io a scuola non ho mai aperto un libro al di là della copertina, avete presente la prima pagina bianca dove si provano le penne? Quindi fate conto che tutto quello che dico è frutto di mie intuizioni alla vista di fenomeni naturali. Capite ora perché sono un genio?) Il tempo procede senza metter fretta a nessuno e senza neanche impantanare nessuno e, fondamentale, senza sbalzi di velocità. Mi vien difficile pensare che il tempo abbia fretta o che sia stanco e decida di rallentare. Non come il Titanic che, per fare lo sparone e arrivar prima, perché era la nave più imponente che fosse mai stata costruita e – sia ben chiaro – inaffondabile, è capitato nella notte ad attraversar una zona vagamente pericolosa e, va bene che l’omino, che ha il compito di urlare alla visione del pericolo, stava facendo uno dei sogni più erotici di sempre: trombare la poppa di un’orca assassina in poppa, però andar più piano e affrontare la distesa di iceberg di giorno, pareva brutto? Che poi, secondo me, in quell’occasione, se la son tirata da soli. Io non ricordo, Titanic escluso, sia mai stato detto di una nave che era inaffondabile, invece quelli continuavano a ripeterlo ai pranzi in prima classe e ai concertini, e mentre Jack e Rose si alitavano in faccia nella carrozza appannata, e alla fine è affondato. Per la serie: Così impari, gne gne gne gneggne!
    Comunque pure se un secondo è un secondo e un’ora è sempre un’ora, ci sono istanti e istanti, e minuti e minuti. Ricordo la prima volta che dovevano bucherellarmi il braccio per guardare nel mio sangue. Seduto su una sedia di plastica bianca accanto a una signora con le vene gonfie, che aveva il numeretto successivo al mio e borbottava che doveva andare a fare la spesa. L’ho fatta passare avanti non certo perché preoccupato del suo sostentamento – la mia vita sarebbe comunque andata avanti serenamente pure se fosse morta di fame, la vecchia – ma per dilatare al massimo quell’attesa, per vedere quell’ago il più tardi possibile. Poi ci son mesi che volano e non riesco proprio a stargli dietro. E giorni che s’incollano sulla palle insieme alle lancette dell’orologio che ticchettano, ma non si spostano. Non è vero che il tempo è sempre uguale, penso mentre svuoto un barattolo di Nutella mezza congelata a colpi di forchetta. Pensate alle 8 ore della notte per esempio (beato chi le dorme). Quelle son troppo veloci per essere 8 come le ore al lavoro, che sembra che alla fine debbano darti una specie di premio alla resistenza, neanche avessi superato il training per L’isola dei famosi, o fossi riuscito ad ascoltare l’intero CD di Tony Dallara senza vomitare rane scoppiate.
    A proposito di vomitare, vorrei invitare Wendy ad andarci piano coi rum e pera perché io, la prossima volta, dentro casa sua alle 4 di mattina, che siam dovuti entrare dal garage che la porta non si apriva perché i suoi avevano giustamente messo la chiave dietro, non ce la riporto. Che mi son anche dovuto sentir un uomo sospetto quando – tu guarda la sorte! – il cognato è rientrato mentre io uscivo dal garage. Tra l’altro io mica lo sapevo che era il cognato quello, e mi son messo anche una cerca paura vedendo uno sconosciuto che s’infilava in casa sua di notte con lei in quelle condizioni sul divanetto della taverna, e non ho neanche dormito all’eventualità che quell’uomo potesse abusar di lei. O che, conoscendola, lei potesse abusar di lui, ecco.
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  • Milk

    Volete sapere perché Gomorra è stato escluso dagli Oscar? Perché per sfortuna dell’Italia, di Saviano, di Garrone, ma mi vien da ringraziare Dio per il mondo intero, invece, esistono film come Milk. Sono andato a vederlo ieri sera. Lo davano al Massimo, il cinema che da un po’ di anni a questa parte sembra voler fare soltanto scelte di qualità, quei film la cui risonanza appare minore a dispetto di una loro consistenza fortissima, spesso incompresa ai molti. In sala eravamo 6, mentre Italians al Movieplex faceva il tutto esaurito. Non che a me Verdone non piaccia, anzi, ma avevo voglia di farmi trasportare dal racconto di un’esistenza capace di evocarmi riflessioni forti. È la storia di Harvey Milk e del suo coraggio. Come molte altre persone omosessuali dei primi anni 70, Milk si trasferì a San Francisco, dove si stabilì con il suo compagno Scott Smith e aprì un negozio di fotografia nel quartiere gay di Castro. Emerse ben presto come un leader della comunità gay fungendo da rappresentante per gli interessi del quartiere nelle relazioni con il governo cittadino. A dispetto di un clima ostile a livello nazionale agli omosessuali, si candidò 3 volte (senza successo) a cariche elettive. Emerse così come portavoce della vasta comunità gay di San Francisco finché, nel 1977, venne finalmente eletto consigliere comunale, risultando così il primo rappresentante eletto di una delle maggiori città degli Stati Uniti ad essere apertamente gay. Si batté in difesa di una legge per i diritti dei gay. Fu decisivo nel rigetto della Proposition 6, supportata dal senatore dello stato Briggs, che avrebbe permesso il licenziamento degli insegnanti dichiaratamente gay in base alla loro identità sessuale. Harvey Milk venne assassinato il 27 novembre 1978 all’interno del Municipio, dall’ex consigliere comunale Dan White. White aveva rassegnato le dimissioni pochi giorni prima, a seguito dell’entrata in vigore di una proposta di legge sui diritti dei gay a cui si era opposto. Entrò in municipio attraverso una finestra aperta del seminterrato, per evitare che venisse scoperto con la pistola e con i 10 caricatori che aveva in tasca. Dopo essersi fatto strada fino all’ufficio del Sindaco, incontrò Moscone e cercò di convincerlo a riconfermarlo. Non riuscendoci gli sparò ripetutamente. White ricaricò l’arma e si aprì la strada fino alla parte opposta dell’edificio, dove incontrò Milk e gli sparò al petto. Milk collassò a terra privo di sensi. White continuò a sparargli un altro intero caricatore a bruciapelo sulla testa. Milk, consapevole del rischio che correva, aveva registrato numerose audiocassette da ascoltare qualora fosse stato assassinato. In una di queste registrazioni sono immortalate le sue parole ormai celebri: Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese”.
    Non si intraprendono battaglie contro concetti calcificati in milioni di teste, senza essere un po’ folli. Un uomo immensamente coraggioso a capo di un movimento che chiedeva soltanto il diritto di un’esistenza giusta, quella che dovrebbe garantire ogni luogo civile. Ha convinto un intero Paese a dare ascolto alle parole di una minoranza considerata ancora il frutto di una qualche strana modificazione genetica o addirittura del Male come antagonista di Dio. Un film che consiglio senza alcun dubbio, e mi auguro che le 8 statuette dorate degli Oscar se le porti a casa tutte.

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sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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