• Ieri mi han detto che sono un sofista e il tono era più o meno lo stesso di quando mi dicono: “Sei uno stronzo!” così pensavo che sofista fosse uguale a stronzo, seppur udendo riecheggiar il suono di questa parola nell’antichità, quella antica antica, prima che nascesse quel capellone del Cristo, per intenderci. E allora mi son messo a chiamare il telefono Google-amico e a chiacchierare coi gentili operatori volontari ed è venuto fuori che sofista no che non è un’offesa, ma una grandioso complimento per me. I sofisti, che non vi sto a dire che erano esponenti di una corrente filosofica nata nel IV secolo a.C. e palle così considerato che questa non è la terza ora di filosofia di un boccheggiante sabato mattina di quarto liceo, negavano la possibilità di raggiungere una verità definitiva, per cui tutto poteva essere messo in discussione, tutto era relativo, e quindi confutarlo diventava una sfida da vincere attraverso una raffinata tecnica verbale. Per farvi meglio comprendere ecco un aneddoto. Si narra che Aristippo, che non era il nonno di Heidi, ma un sofista (ma va!) al padre di un suo allievo che contestava il prezzo troppo alto della retta annuale: “500 dracme? Ma io con 500 dracme ci compro uno schiavo!” rispose: “E tu compralo, questo schiavo. Così ne avrai 2 in casa, questo e tuo figlio”. Erano sostanzialmente dei gran rigiratori di frittate. Così sarei io: uno capace di aver sempre ragione perché dotato di una proprietà di linguaggio e astuzia tale per cui alla fine l’interlocutore deve piegarsi e ammettere, con irrefrenabili movimenti sì e sì e sì del capo, che la sua versione era tutta sbagliata e la mia tutta giusta. Un fondo di verità c’è. Io sono sostenitore della teoria, che non è una teoria, ma un mio pensiero, quindi una mia teoria, se vogliamo, che non è vero che la ragione è dei fessi, ma la ragione è di chi ce l’ha o di chi se la inventa (potrei far stampare anche miliardi di bandierine da sandwich così da divulgare alle masse il suddetto messaggio). Io spesso ce l’ho, il restante delle occasioni, che è quantitativamente parlando equivalente, occasione più, occasione meno, me la invento, la ragione, di conseguenza me la merito senza dovermi sentir dare del fesso.
    Ieri notte a chiusura un mio collega, che avrà sui 19 anni, era in ansia per un sms che doveva inviargli una ragazza. Lo aspettava come segno di conferma di lei che gli ha preso il cuore e: “se non arriva vuol dire che non mi pensa tanto. Perché uno, quando esce dal lavoro, spera di ritrovare il pensiero di lei che ti chiede com’è andata. Sarebbe l’ennesimo spillo nel cuore”. Mi ha fatto molta tenerezza perché mi son rivisto quando tanto tempo fa facevo tutto col cellulare in mano sperando squillasse, pure l’Albero di Natale. Mi ricordo che fu bruttissimo perché io provavo a non pensarci concentrando l’attenzione sulle fantasie cromatiche delle palle o dei fili o cercando di risolvere il problema che ogni anno si ripresenta di ficcare 5 luci nelle 5 punte della stella, però quel telefono non suonava mai e io ci stavo male. Di tempo ne è passato e la prova l’ho avuta anche ieri dal fatto che si è staccato il poster di Carmen Consoli che sta dietro la porta della mia stanza e che di anni ne ha almeno 10. Poi il messaggio c’era e lui è tornato zampettante e con un sorrisone al lavoro e ha fatto sorridere anche me, che ho ancor più riso quando ho letto che Gomorra, dopo la stangata ai Golden Globe, dove non ha beccato neanche un mappamondo di plastica, non è rientrato tra i 9 semifinalisti degli Oscar. E scusate se son contento, perché ce la crediamo troppo signori miei, è questa la verità.

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  • Qualcuno si sarà accorto che La stanza del Matto, aperta con quella e azzurra assassina di Explorer, negli ultimi 3 giorni appariva come un luogo desolato tutto cielo, un solo post neanche commentabile, e la colonna di destra inglobata dal nulla. Quel qualcuno non sono io, che uso Mozilla che non ha mai avuto problemi e quindi, quando tutto a un tratto son cominciati a piovere PVT allarmati dai cornicioni come roba verdina dal didietro dei piccioni, mi son messo lì a far le prove ed effettivamente Explorer non caricava il blog. Visto che la metà + 1 del popolo universale naviga nell’impervio oceano del WWW ancora a bordo di quella zattera di pali fradici d’acqua che è IE, un po’ m’è dispiaciuto, ma giuro che ‘sti 2 giorni son stato maluccio con la testa e il raffreddore e gli occhi che lacrimano e gli starnuti multipli sui Big Tasty e allora, di tentar di risolvere il problema, neanche a parlarne. Non che ora stia meglio, però ieri, mentre sulla tazza del cesso facevo un po’ quello che fanno i piccioni di cui sopra, mi son chiesto: Ma non è che è per colpa di Miriana Trevisan gravida di Pago, protagonista dell’ultimo post (unico momento della sua vita in cui sia stata protagonista, mi vien da dire), che ora non si vede più la Stanza? Lo so che sembra abbastanza folle, perché in fondo quelle sono soltanto parole come le altre, caratteri e link come in millemila post passati, ma in questo caso il discorso è diverso. Si sta parlando di Miriana Trevisan e della sua riconosciuta pericolosità; con lei bisogna andarci piano e forse io ho un po’ esagerato. Così ho deciso di comportarmi da persona saggia e, prima di distruggere il template a forza di modifiche disperate del codice che poi perdo il controllo e addio Stanza è stato bello, ma non tornerai più quella di prima perché io mi son perso per strada 14 tag e non è che quelli tornino a casa da soli, ho deciso di eliminare l’ultimo post, e distruggere la Trevisan all’improvviso e senza mezze misure. Tolto il post è tornato tutto come prima e allora mi dispiace per i commenti che avevate lasciato, ma non ho potuto fare altrimenti e son certo che capirete che con Miriana Trevisan non si scherza. Io comunque il post indemoniato l’ho conservato, ma col cavolo che lo ripubblico. Son però disposto a venderlo al migliore offerente. Avete un blog che invidiate, odiate, schifate, che vi è antipatico perché vi ruba i lettori o perché è scritto meglio del vostro, o peggio e ha più successo, insomma che volete eliminare senza che nessuno possa risalire a voi? Vi basterà acquistare il post di Miriana Trevisan senza intermediari direttamente da me, a un prezzo di fabbrica, e incollarlo in un commento al blog preda della vostra vendetta e il gioco è fatto; di quel blog non ne sentirete più parlare. Pensateci che ‘sti giorni ci son anche i saldi e quindi vi faccio un buon prezzo, uno di quelli che finiscono per 99 centesimi, per intenderci.  
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  • Che uno resti a guardare un’immaginetta di 3 cm per 3, tipo fototessera, per 2 ore e mezza spezzate solo dalla pausa pranzo, ci starebbe pure, se solo il soggetto della foto fosse quantomeno conosciuto, legato a costui da una qualche forma di affetto non importa se ricambiato; sarebbe grave, ma almeno giustificabile. Invece no. Quindi mi dico che non è un periodo di piena sanità mentale, visto che mi son ritrovato rapito da una contemplazione anche un po’ ridicola per la mia pur sempre giovane età. Sabato sono andato a vedere Sette anime che non c’entra niente con la contemplazione di cui sopra. Ero convinto che la fortunata accoppiata Muccino – Smith non potesse essere in grado di bissare il capolavoro che è stato La ricerca della felicità dell’anno scorso, che io ho rivisto 3 volte pagando per 3 volte il biglietto e sappiate che ho bisogno di rivederlo al più presto. Se qualcuno dispone di una copia originale o tarocca del film ha la possibilità di dimostrare una generosità grandiosa invitandomi a guardarlo insieme che magari ci si conosce e ci si ama, oppure masterizzandolo e inviandomelo a Casa Matto, che la mia connessione non riesce a scaricare neanche un aforisma di 2 righe scritte grandi. Ho varcato la porta scorrevole con fare supponente, col sigaro in bocca e lo sguardo schifato verso tutti, pure verso il tronchetto della felicità all’ingresso, perché sapevo a priori ed ero pronto a criticare velenosamente, non per scarsa fiducia negli attori o nel regista, ma perché, non deludere dopo La ricerca della felicità, era parecchio complicato; i paragoni sono facile arma sulla bocca di tutti. Ebbene, mi sbagliavo, perché Sette anime è un gran bel film, e lo speravo. Una storia commovente e straziante che non voglio rivelare nei dettagli come faccio di solito, perché mi piacerebbe che stavolta andaste al cinema a vederlo tutti senza ritrovarmi messaggi minatori scritti coi pezzi di giornale o cuori di cerbiatti pulsanti nella posta, che lasciano intendere che ai lettori della Stanza non è tanto piaciuta la mia iniziativa rivelatrice. Muccino ha saputo tirar fuori il Will Smith attore che le americanate che lo avevano visto protagonista insieme agli alieni e alle catastrofi planetarie e alle esplosioni dei mondi non avevano evidenziato, tanto che consideravo Smith un attore mediocre prima de La ricerca della felicità. La regia di Muccino è riconoscibile e un vanto per l’Italia. Will Smith è incredibilmente intenso in tutto il talento che ha, perché ne ha e neanche poco, in espressioni toccanti, silenzi prolungati e più espressivi di inseguimenti e urla. Per questo dico che il Gabriele nostro che ora tante richieste ha dall’America, è riuscito a far emergere lo Smith attore. Intanto in America pare stia battendo tutte le previsioni superando gli 80 milioni di dollari d’incasso. Non fa molto testo, ma ieri la sala 1 del cinema Movieplex a L’Aquila era piena zeppa tanto che c’hanno sbaraccato all’angolino della fila 5 col telone del megaschermo a 10 cm dalla faccia. Il finale mi ha sorpreso. Mi è piaciuto perché in grazia di Dio ha una sua conclusione vera, definita e punto. Non come va di moda ultimamente che all’improvviso puff, schermata nera e titoli di coda accompagnati da una musica di violini che ti vien voglia di sparare una bestemmia, secondo la logica che la vita non finisce e può succedere di tutto e allora non finisce neanche il film. I 7 euro del biglietto, quelli so’ finiti però, e tu rimani deluso come quando compri 6 cartelle a tombola spendendo 12 euro e non becchi neanche un ambo da 35 centesimi. Invece Sette anime riempie e commuove. Una scena in particolare che ha fatto piangere miliardi… no, milioni… no, centinaia di migliaia… no, centinaia e basta di… no, decine… no. 1 spettatore: Franchino che, quando Will ha portato in braccio la vecchia paralitica maltrattata e torturata, al bagno, ordinando al padrone dell’ospizio di farla immediatamente lavare, è scoppiato in un pianto disperato e convulso scatenando anche il fastidio degli spettatori paganti, che non riuscivano più ad ascoltare le parole del film tanto erano acuti i singulti impasticciati di lacrime di Franchino, che, sotto mio consiglio è stato immediatamente accompagnato fuori dalla sala 1 e dal cinema e gettato ai margini del viottolo sopra un sacco di spazzatura semiaperto da un cane, che rovistava e gl’ha fatto pure la pipì sulle scarpe nuove comprate il giorno stesso ai saldi per 24 euro e 90.

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  • “Gianni, sei di uno squallore guarda…” “Se c’è una persona squallida qua dentro sei tu, cara Erminia, che offendi senza avere arte né parte” “Gianni, perché tu che lavoro fai, eh? Il ballerino? Suvvia, non farmi ridere!”
    La Stanza del Matto ha sempre difeso quel grande artista del piccolo schermo che è Gianni Sperti e non può starsene in silenzio mentre la Mortisia analfabeta e pure cornuta di Uomini e Donne, che fa tanto quella raffinata, quella dotta, quella che sa articolare un pensiero e invece non conosce un congiuntivo, infanga il nome del ballerino più bravo del mondo. E allora, son qui chiamato a render giustizia a un uomo che ha fatto la storia della danza, e che ora sia prigioniero di una poltrona bianca a sparare minchiate dentro quel gallinaio prepomeridiano è un altro discorso. Maria lo tiene in pugno come un burattino, e per risvegliarlo dalla sua condizione soporifera, causata dal raggiungimento della consapevolezza che ormai i vecchi fasti son andati alle ortiche e quella panzetta che ha nutrito a suon di pop corn e panini con la mortadella davanti alla tv, a fissare con occhi malinconici i finti capelli platinati della sua Paola divorata dalle tarantole, certo non l’aiuta, gl’ha scatenato contro quella vipera velenosa e ignorante e pure altre cose, tipo che io certe volte mi stupisco di come spari affermazioni che non c’entrano niente con quello di cui si parla, quindi penso pure un po’ stupida, ma Gianni non sembra reagire granché. Perché Gianni è un artista vero e continuerà a ballare finché Maria santissima glielo concederà. Va bene? È inutile che ridete. Che Gianni Sperti sia il ballerino più bravo del mondo è risaputo e ve lo posso provare riproponendovi il momento topico della sua carriera.

    Guardate che evoluzione, e… che botta! Mentre Maura Paparo ride sotto i baffi, che secondo me è stata punta da una vipera della specie delle Erminiose, perché fino all’anno scorso era buona come una fatina e adesso calpesterebbe il corpo dei suoi studenti peggiori con le sue Nike rosa e dorate, e accoltellerebbe la Celentano alla tetta sinistra, se solo le fosse concesso.
    Se ne facciano una ragione coloro i quali pensavano di essersi liberati di Gianni, sostenendo che la sua carriera fosse al capolinea, non è così. Gianni si è rimesso in sesto ed è pronto per affrontare nuove straordinarie e pericolosissime coreografie di Gay-rrison e Steve Lascia-telo sta, no? Ma che v’ha fatto ‘sto poveruomo che c’ha pure un’età? Noi comunque siam qui che lo aspettiamo e se lui vuole sono anche pronto a televotarlo perché Maria lo liberi da quella sedia; e preghiamo Diopadre che non ammazzi nessuno con una presa fallita.
    Stasera vado al cinema a vedere Sette anime. Se qualcuno l’ha visto non mi anticipi nulla, domani vi dico, ma tanto sicuro mi piace, che a me i film del Muccino Gabriele (il fratello bravo, non l’altro che sembra che quando recita sta masticando una polpetta) aggradano parecchio e fan sempre scendere qualche lacrimuccia.
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  • Che qualcuno aiuti mia madre che sta sprofondando risucchiata dall’oscurità delle sue psicosi, e mi sento un po’ in colpa. Ieri è tornata e un demone l’ha posseduta soltanto perché avevo inavvertitamente aperto la segretissima busta targata Telecom, contenente il codice autobloccante per le chiamate interurbane e verso i cellulari. C’è da dire che le ultime 2 bollette son state più salate degli spaghetti che ha preparato la settimana scorsa la sorella della fioraia di fiducia della vicina di casa (in realtà non è lei la persona, ma visto che la salatrice in questione legge e, se non legge lei, legge qualcun altro che poi riferisce (in questo mondo di spie!), e non è bello, ripiego sulla sorella della fioraia di fiducia della vicina di casa come termine di paragone, che non so se ha una fioraia di fiducia e se quella ha a sua volta una sorella). Così, dopo innumerevoli interrogatori ai quali io e mia sorella ci siamo sottoposti negando entrambi, senza mai tradirci, di essere gli artefici delle oltre 70 chiamate ai cellulari a bimestre, accusandoci a vicenda e (grande idea) accusando anche gli inquisitori che a loro volta hanno preso ad accusarsi, ed è uscita pure la storia di un’amante, Mother and Father hanno deciso di bloccarle definitivamente con un codice. Solo che i furboni della Telecom il codice l’hanno inviato a casa. Io ho aperto la busta, ho capito di che si trattava e, nella mia più profonda onestà ho richiuso la busta (dopo aver imparato il codice a memoria). Mia madre ha chiamato la Telecom dipingendo i suoi figli come dei furfanti senza cuore, e ora dice di aver risolto. Tutto questo per nulla perché le chiamate ai cellulari erano legate a una situazione che ora non esiste più, ne consegue che non esisteranno più neanche le chiamate, ma esisteranno i 13 euro che mia madre ha sborsato per pagare il servizio.
    Poi ha cominciato con la storia dei termosifoni. Io sono l’unico in questa casa che in 5 anni che viviamo qua ha capito come funzionano i termostati, che poi non è che ci voglia la laurea, la dimostrazione son io che però un giorno l’avrò. Esiste un libricino d’istruzioni in italiano e pure piccolo che spiega passo passo come scegliere e impostare i programmi di riscaldamento. C’è quello per gli inverni rigidi, quello per gli inverni freddissimi, quello per gli inverni freddini e via dicendo per tutte le stagioni, e c’è quello manuale. Maledetto a me e maledetto il giorno che gliel’ho fatto presente, che lei poteva scegliersi le ore e le temperature di tutti i giorni della settimana. Da quell’istante, mia madre ha ritrovato, nell’impostare i termosifoni, quello spirito creativo che credeva di aver perso nell’età post-adolescenziale. Ed ecco che ogni 4 giorni cambia idea e ordina al sottoscritto, come un perentorio direttore d’orchestra farebbe col suo più scarso suonatore di triangolo, che i termosifoni partano alle 6 e 45 piuttosto che alle 7 o che si spengano prima il pomeriggio, che lei accende la stufa a pellet che s’è comprata per risparmiare mezz’ora al giorno di elettricità (consumando una busta di pellet, che non è proprio gratis). Ieri, nel pieno di una crisi isterica dalla quale mi son protetto negandole l’accesso nella mia stanza, mi accusava da fuori la porta di volerla far impazzire modificando a sua insaputa le temperature del termoregolatore del piano di sopra dove, tra le altre, c’è la sua stanza. Io stavolta sono davvero innocente, quindi 2 son le cose: o non sono più l’unico a saper affrontare quell’oggettino pieno di pulsanti e numerini (che è anche probabile visto che alla fin fine i pulsanti saranno una decina scarsa e i numerini sono quelli dell’orologio e dei gradi) oppure mia madre sta impazzendo davvero, che è probabile almeno quanto la prima ipotesi considerato anche il messaggio minatorio che ho ritrovato stamane accanto alla tazza per la colazione. “Sono uscita con la tua automobile e l’assicurazione scaduta così, quando mi faranno la multa, pagherai anche quella!” Ieri notte ho prelevato e quindi, appena tornerà, avrà i suoi maledetti soldi, comunque non sta bene.
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  • Se mi chiedete come si fa un Big o un Tasty o un Piccolo Piacere o che differenza c’è tra la coca cola Zero e la Light (no, questa non chiedetemela che è una storia lunga che tra l’altro ho già ben descritto in un post che ritrovarlo è chiedermi troppo) vi rispondo, perché sono preparatissimo. Quando poi il discorso slitta su derivate e integrali, un’improvvisa vampata di calore m’investe e mi prendono i brividi bollenti e svengo ogni 15 secondi risvegliandomi giusto in tempo per non cadere. Sono svenimenti in piedi di cui nessuno si accorge perché mi si chiudono gli occhi per pochi istanti e ai passanti la cosa appare alquanto normale perché tutti chiudiamo di tanto in tanto gli occhi, ma, mentre gli altri chiudono gli occhi e li riaprono, io chiudo gli occhi, svengo, e li riapro; vi è chiara la non tanto sottile differenza?
    Stamattina mi son messo lì col mio bel foglio delle regole di integrazione stampato a cercar di capire come ciufolo si faccia l’integrale di una funzione che poi mi son ricordato, perché l’ho letto, che fare l’integrale di una funzione vuol dire calcolare l’area della funzione da un certo punto a un altro. E visto che la funzione non è praticamente mai un triangolo, né un quadrato e quindi, ahimé, non si può fare base per altezza fratto 2 né lato per lato, c’è bisogno di questa cosa che è tipo una esse allungata (che non è il supermercato dove faceva la cassiera Giusy Ferreri) e che segue una valanga di regole strane. Sarebbe tutto più semplice se ogni oggetto appartenente al reale avesse inizio e fine e trama a sé, come un racconto. E invece no. Gli integrali, come un po’ tutta la matematica in generale, sono come Beautiful che se non hai seguito gli ultimi 5 milioni di puntate non sperar proprio di comprendere alcunché. Ecco come si risolvono gli integrali, con le primitive che non sono le donne del Paleolitico, ma oggetti matematici che equivalgono alla funzione che derivata ridà la funzione iniziale, se ho capito bene, ma è molto probabile che così non sia. A questo punto sorge la domanda: Che vuol dire derivata? Vallo a sapere! Neanche il generoso uomo di università che ha pubblicato on line un manuale di matematica per deficienti con problemi ha saputo essermi d’aiuto. Non si chiama così il manuale, ma la profondità e il linguaggio che utilizza per illustrare regole, funzioni e retroscena (sembra il trailer di un film e invece sto parlando di numeri e numeri e simboli e numeri, che poi sono i simboli il problema) lascia chiaramente intendere che il pubblico a cui ha pensato quando l’ha partorito è quello, i deficienti con problemi appunto. Ma io, visto il grado d’apprendimento,  devo appartenere addirittura a una branchia sottosviluppata dei deficienti con problemi. Il fatto è che devo violentarmi, non con un oggetto oblungo che di certo preferirei, ma con pagine e pagine di una roba che mi fa svenire, oltre che vomitare e cacare e non fatemi dire cos’altro, ma immaginate manifestazioni corporee e verbali non di quelle dolci e carine, insomma. Devo, perché ieri è tornato il dead-moment con tutti i soliti discorsi delle cose che non cambiano e anche se oggi va meglio quello è stronzo, si sa, e sta sempre là, pronto a zomparti addosso e buttarti giù di brutto. Intanto aspetto che mia sorella richiami. Ha chiamato un’oretta e mezza fa implorandomi di andarla a prendere. Io prima le ho risposto di no. Poi le ho detto di arrivare all’ospedale col bus, così faccio meno strada, e di richiamarmi quando è scesa, così aspetta lei e non aspetto io. Lei mi ha detto che non ha i soldi al cellulare e che richiamerà da una cabina. Io ho sbuffato e ho riagganciato. Poi mi son girato verso la finestra e ho notato che fuori piove e nevica, un po’ e un po’. Ho provato a richiamarla, ma non risponde. Ho ri-riprovato dopo un quarto d’ora e ha pigiato il pulsante rosso del rifiuto perché ho sentito quel tu-tu-tu triplo, che lo sai che ti hanno rifiutato. Chissà dove sarà! Questo per dirvi che io son proprio cattivo.
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  • Quando una (uno è più difficile) rimane incinta è un po’ un problema. Lo sa bene il conte Wronski che, qualche ora prima di partecipare a una gara a cavallo decide di fare una sorpresa all’amata Anna (Karénina, 1038 pagine scritte fitte e siamo più o meno alla 260), sfruttando la momentanea lontananza del marito e del figlio Seriogia. La sorpresa gliela fa lei confessandogli di essere incinta. S’era capito che questi 2 ci stavano dando sotto come ricci ingrifati, però chi se l’aspettava? Io, dal profondo del mio letto infagottato dentro lenzuola e coperte e pure copertoni delle gomme antineve, per sicurezza, e illuminato dall’accecante neon, comprato a Emmezeta non certo meno di 3 anni fa e pagato 5 euro cash, alle 2 e mezza della notte ho esclamato: “Oh mamma saura!”. Wronski sembra felice e desideroso di fuggire con lei, lei non sa come abbandonare la sua famiglia e si stupisce del suo essere così titubante quando di stronze che lo fanno è pieno il mondo. A proposito di bimbi, dopo 9 mesi meno un quarto d’ora esatti, è finalmente nato Leonardo, il nipotino di McWendy. Dalle prime indiscrezioni pare abbia il nasone, e non soltanto quello di lungo. Se il buongiorno si vede dal mattino McWendy può essere orgogliosa di lui e può iniziare fin da subito a tramandargli i trucchi del mestiere perché, raggiunta la maggiore età, possa distinguersi come trombador d’eccezione.
    Ieri sera al Mc secondo round di Al mio segnale scatenate l’inferno. Dovrebbero aprire una casa d’accoglienza per quanti una casa non ce l’hanno e vengono tutti i giorni a fare la fila per un panino riscaldato da Mc Donald’s, perché è una grossa fetta della società di cui nessuno si cura. Quando verso le 22.00 la situazione si era stabilizzata ed ero ormai fuori pericolo, infilo in bocca una crocchetta parmigiano e spinaci e, proprio in quell’istante, arriva di gran carriera il manager in cucina. Naturalmente è vietato fare piccoli spuntini durante l’orario di lavoro, ma tutti se ne fregano e farlo diventa una sfida con la morte. Io, più che una sfida, avevo bisogno di ingerire qualcosa se no svenivo e morivo, visto che non avevo neanche cenato. Riesco a masticare lentamente la pallina fritta dal contenuto incandescente che mi sale fino al cervello e inizia a bruciare i pochi neuroni rimasti attivi. Gli occhi prendono a sudare salsa barbecue. Mentre penso: Evviva, non mi ha scoperto, sento: “Matteo che cosa stai mangiando?” “Niente!” rispondo, mentre con la lingua mi lavo visibilmente i denti. “No, stai mangiando!” “Non è vero!” L’accusa, dopo un lungo Sì stai mangiando – No, non è vero ha dovuto cedere e sono stato prosciolto per mancanza di prove e testimoni.
    Stanotte ho sognato che stavo costruendo una sorta di fortino per rifugiarmi non so da cosa, il bello è che mi affannavo a rivestirlo di scotch marrone per i pacchi, che mi faceva sentire al sicuro. Saranno stati gli spinaci e il parmigiano incandescenti a provocarmelo. Sono stato svegliato da mio padre che alle 6 e mezza ha scambiato la porta della mia stanza per il sacco della palestra e si è messo ad assestare cazzotti per farsi dare le chiavi per spostare la macchina, che le sue ce l’ha il carrozziere, così ha detto. Che poi mica l’ho capita questa cosa. La macchina sta in garage e le chiavi dal carrozziere? Vorrei infine comunicare al signore grasso che alle ore 19 e 15 ha pensato bene, alla guida di un camion dalle dimensioni non proprio di una micromachine, di entrare in corsia drive, incollarsi il tettuccio rosso e fuggire, che qualcuno, armato di tovagliolino di carta e penna, ha preso la targa quindi, visto che chi rompe paga, lui, a meno che non fugga stanotte stessa in esilio in qualche paradiso tropicale sconosciuto, sarà costretto a comprare un tettuccio nuovo, che sia rosso.

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  • Quella ridicola donna ultracentenaria che attende come un incubo la notte del 5 gennaio quando, a cavallo della sua scopa volante (non ho capito perché ancora non l’ha brevettata così si fa i soldi e si vive gli scarsi 3mila anni che le restano nell’ozio perenne, perché le freddure diventano pericolose a una certa età e quella mantella bucherellata non credo le sia molto d’aiuto), dovrà farsi il giro del mondo in 7 ore e riempire calze vecchie appese ai camini di dolciumi vecchi di un anno, ha ben pensato di liquidarmi con un leggerissimo foglietto anche colorato che io pensavo fosse, che so, un biglietto aereo per i Caraibi o il biglietto vincente della Lotteria Italia che pescano stasera e che io non ho comprato, ma spero di vincere lo stesso perché la speranza è sempre l’ultima a morire, e invece era il tagliando dell’assicurazione della mia Matiz scaduta il 31 dicembre, che ammonta a 450 euro. Cancella il mio indirizzo dalla lista delle tue visite e di’ a Babbo di fare lo stesso!
    “Mamma, volevo parlarti di una faccenda.” “Sì?” “È arrivata una rata unica dell’assicurazione, quando io l’avevo divisa in 2 rate da 225 euro; ne sai qualcosa?” “Perché, dopo che tu l’hai divisa in 2 rate, io le ho fatte accorpare in una rata unica a dicembre, almeno ci leviamo il dente e stiamo a posto tutto l’anno.” “E perché non me l’hai detto?” “Ti devo comunicare tutte le migliorie che faccio?” “Non è una miglioria questa.” “Se ti piace stare sempre a pagare non lo è, a me no e quindi ho deciso così.” “Sì, ma perché parli di te riferendoti all’assicurazione della mia macchina che dovrò pagare io nella sua interezza?” “Perché è una questione anche psicologica, vedersi arrivare tutte queste cose da pagare, è una cosa in meno, no?” “Ho capito, ma per me è una cifra un po’ proibitiva tutta in una volta.” “Sì, ma te l’ha ordinato il medico di comprarti una macchina?”
    Quando mi raggiunge la consapevolezza che potrei continuare a discutere con lei per ore tanto sarebbe sempre capace di sviare il discorso, emetto un paio di sospiri e annuendo procedo alla ricerca di una distanza di sicurezza. Sospiri particolari, tipo quelli che riecheggiavano nella minuscola stanzetta da notte della casetta di capodanno e che nessuno è riuscito a provare scientificamente appartenessero a me, come sostenevano i miei numerosi coinquilini di letto che detto così sembra un’orgia, che poi l’ho sentiti pure io i sospiri (e chiamali sospiri, sembrava la bora triestina) e dubito avessi subìto una sorta di sdoppiamento o viaggio extracorporeo nella notte, quindi escludo possa esserne stato io l’artefice. Ieri al Mc Donald’s sembrava l’inferno della storica scena del Gladiatore, nell’attimo immediatamente successivo al suo segnale. Non ho mai visto tanta gente disposta a farsi code interminabili, a consumare il pasto appoggiandosi l’uno all’altro, in piedi come statuine col vassoietto in mano, sparsi per tutta la sala, perché di tavolini liberi neanche l’ombra. A un certo punto mi è venuto anche da ridere perché non riuscivo a star dietro alle cotture delle cotolette chicken. Ne mettevo a cuocere 12, cioè la portata massima del cestello, e nei 4 minuti necessari alla cottura ne ordinavano 14, 15. Ho provato una pena immensa per quelle persone che dopo aver trascorso l’intera giornata in giro per le bancarelle della fiera, accalcati, a spintonarsi per accaparrarsi un paio di stivali, o un portafogli, o il grattino per le carote a poco prezzo, pensano bene di prolungare la loro agonia per un panino.   
    Visto che l’Epifania tutte le feste porta via e visto che a me le poesie non piacciono, perché nella maggior parte dei casi, diciamo quasi totalità, non si tratta di poesie ma di versi incolonnati che, se mi ci metto, in una giornata ne produco anche 500, ma le filastrocche quelle le adoro, e visto che la storia della Befana che vien di notte con le calze tutte rotte ha un po’ rotto, come le calze, ho deciso di salutarvi con una, un po’ bruttina, di Rodari Gianni che si accontenta di poco, devo dire, ma mi piaceva per augurarvi definitivamente un buon anno, perché da domani si ricomincia sul serio.


    Fammi gli auguri per tutto l’anno:
    voglio un gennaio col sole d’aprile,
    un luglio fresco, un marzo gentile;
    voglio un giorno senza sera,
    voglio un mare senza bufera;
    voglio un pane sempre fresco,
    sul cipresso il fiore del pesco;
    che siano amici il gatto e il cane,
    che diano latte le fontane.
    Se voglio troppo, non darmi niente,
    dammi una faccia allegra solamente.

    L’avevo detto che era bruttina, eh.
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  • In questi giorni sulla home page di Splinder troneggiano ben 2 banner pubblicitari, uno più grande, ma dal medesimo contenuto che recita così: vinci una macchina fotogarphica Sony e un viaggio per due presone a Parigi. Chi l’ha ideato e trascritto il testo, un teppistello di Io speriamo che me la cavo? Che poi neanche a dire: sa, è un romanzo di 1038 pagine scritte fitte (Anna Karénina e il conte Vronski si stanno dando alla pazza gioia mentre Kitty sta morendo di dolore per il rifiuto del conte, e l’alto funzionario zarista, marito della Karénina, indossa con eleganza 2 corna ramificate. Il bello è che lo sa, ma per ora tende a far finta di niente per salvare la faccia. Stefano, fratello di Anna e marito di Dolly (sorella di Kitty) ha appena beccato una sòla pazzesca vendendo un grosso appezzamento di terreno a molto meno di quanto realmente valesse. Levin, innamorato perso di Ktty e amico di Stefano glielo fa notare ma a lui poco frega, l’importante è che ci fa 4 soldi, sporchi maledetti e subito) e allora qualche errore ci può scappare, ma sono 2 righe, cosa ci voleva a rileggerlo prima di pubblicarlo? Comunque io non lo clicco perché, considerata la professionalità che trasuda da ogni pixel, come minimo m’acchiappo un virus al solo sfioramento di mouse e, se poi vinco il viaggio a Parigi (che tanto ci vado lo stesso), sicuro il loro aereo precipita con me a bordo e a quel punto di una macchina fotogarphica non saprei che farmene.
    Ieri sera ho mangiato il primo kebab (e non certo l’ultimo) della mia vita. Una delizia. “Che ci mettiamo?” “Eh, non lo so. Mettiamoci quello che va in un kebab, no?” “Quello che vuoi!” Davanti a me ci sono 4 vasche. In una riconosco l’insalata, in un’altra i pomodori, in un’altra forse so cosa c’è, se è cipolla quella massa di schegge umide incollate in matrimonio. Il contenuto dell’ultima mi è ignoto; non mi viene in mente nulla di fisicamente affine a quella roba bianchina che dà sul verde. “Insalata, pomodori, poi cipolla?” chiedo dubbioso. “Sì, la vuoi?” “No, per carità!” “La verza la vuoi?” “Oddio è verza quella?” “Sì!” “No, mi fa schifo, scusa” e poi aggiungo: “Questa che salsa è?” “Piccante” “Ok, un po’ di quella e a posto così” “Che altro ci vuoi?” Ho detto a posto così, e poi sono finite le opzioni, mi pare, a meno che non sia concesso ficcarci un supplì o uno di quei dolcetti collosi che non mi ricordo mai come si chiamano; perché mi chiedi che altro ci voglio? “Va bene così grazie.” Avrei potuto gustare, pagare e andare via, il fatto è che io sono curioso e pochi spruzzi di quella salsa avevano trasformato il mio kebab in un vulcano e a me il piccante fa impazzire, lo metto dappertutto pure sui tortellini con la panna (nel latte no, ma la cioccolata al peperoncino è fantastica). E allora ho sentito un bisogno fisico di approfondire l’argomento. “Come la fate questa salsa?” “Con questo” e mi mette sotto il naso un barattolo che sembra di pomodoro e invece è un composto rosso piccantissimo. “Lo voglio, dove si compra?” “Io lo prendo a Roma” “E io lo posso prendere da te?” Rimane in silenzio in bilico. “Dai, solo un barattolo!” e faccio gli occhioni del gatto con gli stivali. Ancora in silenzio finché: “Sì, anche se io non lo vendo di solito eh!” Me l’ha fatto pagare 5 euro; secondo me ho fatto un affare peggio di Stefano coi suoi terreni, se consideriamo il viaggio L’Aquila-Roma già sono 20 euro di autobus andata e ritorno. Non vi pare? Evviva domani un paio di cucchiaini di Sauce Piquante de Tunisie nel sugo e passa la paura; spero di non mettermi a eruttare lava. Se non dovessi riuscire a consumarla entro il 26 ottobre 2010 che scade, invito la vicina di casa a pranzo, quella che prende a calci il suo cane per intenderci, e l’avveleno.
    Ieri sera mi arriva questo PVT: Ciao, scusa l’intrusione ma questo vuole essere il mio ultimo tentativo per tornare a vivere. Ti prego, passa nel mio blog, prova anche tu ad aiutarci. Se puoi e non hai pregiudizi, spargi la voce della mia esistenza. Spero qualcuno possa realmente tirarmi fuori da questo incubo. Sono andato a dare un’occhiata e ho deciso di assecondare nel mio piccolo la richiesta disperata di questa famiglia provando a diffondere la storia di Nicholas, bambino bellissimo sottratto ai genitori da un sistema sociale che forse pensa così di fare il suo bene. Il blog è Aiutiamo Nicholas. Aiutarlo a tornare a casa si può, intanto parlandone.

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  • La notizia della morte di Valentina Giovagnini mi ha scioccato. Ricordo quel Sanremo giovani e ricordo benissimo quando al momento in cui fu decretata vincitrice Anna Tatangelo pensai: “Non è possibile!” perché era così evidente che in mezzo a tanto orrore (Tatangelo inclusa) Il passo silenzioso della neve illuminava e stravolgeva l’aria soporifera dell’Ariston. Claudio Cecchetto disse: "Non ho parole ma un voto: 10". Victoria Cabello: "9". Daniele Bossari: "Pelle d’oca: 10". Chiara Tortorella: "La rivedrò sicuramente… 9". Enrico Vanzina: "Quella signorina è un’artista: 10". I giornali ebbero parole entusiasmanti nei suoi confronti. Il Corriere della Sera: "Valentina è la novità… ha stregato perfino un opinionista velenoso come Giampiero Mughini con un brano in equilibrio tra melodia e sperimentazione e con una presenza scenica alquanto intrigante…". La Repubblica: "A portare un soffio di speranza c’è Valentina Giovagnini". Il sito del Festival: "Abbiamo trovato qualcosa che vale la pena di seguire nel grigiore generale".
    La imparai a memoria a forza di ascoltarla. Valentina è stata molto sfortunata, prima nella musica, perché se avesse vinto intanto avrebbe fatto un altro Sanremo e forse sarebbe stato tutto diverso, e poi nella vita che le ha abbinato un destino orribile facendola uscire di strada a una curva in un pomeriggio di merda. Cose così mi fanno tremare di paura e allora, codardo, riprendo a pregare per le mie piccole gioie. Voglio lasciarvi col video del Passo silenzioso della neve che, alla luce di quello che è successo, acquista tutto un altro significato.


    Ascoltate anche Senza origine live al Festivalbar e l’ultimo singolo Non piango più.

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sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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