• Dover giustificare ogni passo, spostamento, rapporto, telefonta, non telefonata, risata, silenzio, non risposta, i pensieri no, nessuno può vederli e nessuno può inventarli e raccontarli. Non sarebbe credibile e meno male, altrimenti son certo che sarebbero capaci di storpiare pure quelli. Non è che non voglia raccontare di me, di tutte le persone che ho conosciuto e che per me hanno o no rappresentato qualcosa, e cosa. Lo faccio, ho un passato come tutti. Ma l’interrogatorio continuo è sfiancante, la luce della lampada puntata in faccia non solo acceca, ma scoccia pure, perché io di te ho sempre detto il meglio, ho sempre raccontato la felicità dell’aver incrociato per caso la tua strada, e la felicità che tu abbia voluto fare delle nostre 2 strade una comune, da camminare insieme. Come è possibile che proprio io e proprio ora, che la mia vita è affiancabile per somiglianza a quella di un bullone, che non fa altro che essere svitato e avvitato, tutti i giorni. Mi accusi, coi toni, i modi di fare che provocano e che io faccio finta di non sentire. Mi chiami col nome di chi ti ha rovinato la vita e non fai che ripetermi che sono uguale. Non rispondo, ma mi disturba, pure se non lo dico, perché mai come ora è ridicolo pensar male di me. Ho così tanti voli nella testa che non riesco a trovare le energie per controbattere, per infuriarmi perché non riesci a dire semplicemente: mi fido di te. Io mi fido e tu non ti fideresti neanche se fosse Dio a dirtelo che stavolta è diverso.
    Non posso chiedere a un foglio di carta di resistere a 4 mani che tirano da una parte e altre 4 dall’altra. Non si può semplicemente continuare a colorare quel foglio così intenso senza ogni volta doverne testare la resistenza? Vivere il momento e prendersi tutto quello che viene, senza dover analizzare ogni particella di presente e ricollegarla a significati inventati, perché lo so io com’è la mia vita, e come sono le persone di cui mi circondo, e chi sono. E se dopo che ho parlato e spiegato arrivano nuove insinuazioni allora smetto di parlare. È questione di credere o no a me. Punto.

    Scrivi un commento →: Rimarrò sempre me
  • Quando il colore dell’aria e della voce e delle parole si sposta sul quel bianco grigio che nulla ferisce, la testa decide di seguirlo staccandosi dal centro dell’argomento e dai suoni della stanza e dei circuiti, e comincia a viaggiare. E vede tutt’altro che le costruzioni che il mondo fabbrica passaggio dopo passaggio. Vede verde ovunque. Vede la fine delle fatiche anche se non ha ancora messo le mani nella terra fangosa del principio. Vede al di là della fioca luce della foschia, quella sorda sostanza che attutisce le sensazioni. La testa va al di là. Perché è l’aria di vita a non smettere di stuzzicarla, perché le vuole bene. Non credo che un’anima stanca disdegnerebbe un morbido letto. Un’anima stanca e fortunata possiede scintille che la feriscono continuamente. Fortunata, ho detto. Che la fanno scattare e svegliare. Apre gli occhi. Perché è fortunata appunto, non per meriti suoi, ma di chi ha deciso di incendiarla. Sfiora la piccola ustione che brucia e ricorda che deve fare cose, deve uscire, mangiare, perché si era dimenticata di mangiare quella sera, per dirne una. Di riposare non è mai stanca, l’anima. Le bruciature sono continue ed è vero che lasciano i segni, ma quale meravigliosa esperienza non lascia il segno? Il passato non è modificabile, né cancellabile, né si può operare qualcosa che assomigli a una scelta sul già vissuto per dedicare stavolta mezz’ora in più a chi, o 4 mesi in meno a chi altro ormai neanche più perde il tempo di un saluto, la riconoscenza di un saluto, per tutto il bene sprecato. Le capita di riflettere sul proprio passato; pensa che abbia avuto un cattivo passato, che negli anni e in quel tempo, col senno di poi, ci sia molto di inutile. Grovigli di rapporti con etichette splendenti costate oro e diamanti e anche un po’ di dignità. Alla lunga, ma neanche tanto (i tempi della vita sono altri), ciò che resta è qualche pezzetto di quelle etichette disfatte dalla pioggia, che non splendono più anzi, fanno rabbia, come fa rabbia il più grave fallimento. Investire e credere nei frutti. Spendere tempo ed energie perché sia sempre tutto a disposizione, e la riconoscenza è il silenzio. E il confronto è la cattiveria. Il confronto è addossare colpe, additare, accusare e poi dire che è stata uguale fatica, uguale dispendio di intenti, uguale desiderio di conservare, uguale impegno nel condividere, creare, impedire al filo di spezzarsi. Uguale in Matematica e in Italiano ha un solo significato (raro caso in cui due pianeti estremi si salutano da non troppo lontano). Ma uguale cosa?
    L’anima stanca, però sorride. Mi fa pena quel sorriso, invece lei ride veramente, ha trovato anche stavolta il lato positivo delle cose. È vero che ha perso tante voci, ma quanto ha guadagnato semplicemente continuando a rimanere fedele a se stessa, nessuno lo sa. Fortuna che il rosso e il nero non l’hanno delusa mai. Fortuna. E tra un po’ riscuoterà perché il rosso e il nero continueranno a uscire per sempre senza tradire le sue giocate. Il rosso e il nero l’arricchiranno, finché non le verrà da vomitare per quanto denaro avrà accumulato in pratiche fiches colorate translucide, da spendere nel peggior modo possibile. L’importante è che gli altri lo vedano, lo sentano e lo contino con gli occhi, tutto.
    Scrivi un commento →: Tutto il bene che l’anima stanca ha sprecato
  • Mentre gusto (si fa per dire) un paio di prelibate fette di arrosto precotto che lo metti 4 minuti nell’acqua bollente ed è il miglior piatto per i momenti più sfiziosi della giornata (così dice sulla confezione), buona alternativa al pecorino secco che sonnecchia da mesi in frigo, visto che alle 19.30 attacco al lavoro e non è proprio l’ideale provare a resistere ai morsi della fame fino alle 23.45 che torno a casa, che mi prendono gli svenimenti e sbando con la macchina, poi stanotte ha pure gelato dopo 147 giorni di pioggia ininterrotta quindi: guidate con prudenza. Comunque, mentre tutto questo, il caso vuole che mi sintonizzi su Pomeriggio 5 e mi risalga dalle viscere più profonde l’arrosto precotto alla vista di Barbara D’Urso e di quel porco di Calissano. Il celebre dottor Bruno De Carolis di Vivere io me lo ricordo e pensavo sempre: questo c’ha la faccia da finto missionario auto flagellante di continuo, non so se l’immagine rende. È il finto l’importante. Nel 2005, come molti ricorderete, il signor Calissano viene beccato con 30 grammi di cocaina nell’armadio e una ballerina stecchita in casa per overdose. Calissano fu condannato a 4 anni di reclusione e già questo fa ridere, ma quello che fa più ridere è che beneficia dell’indulto (grande legge quella; io proporrei una standing ovation per Prodi) e si fa una vacanzetta relax nella comunità per tossicodipendenti Fermata d’Autobus, di Torino. Scrive un libro ed è onnipresente in tv e il suo C(onto)C(orrente) lievita come il pane. Il 13 febbraio del 2008, quando ormai nessuno più lo caga,viene ricoverato con sintomi sospetti: sudorazione a freddo e dolori al petto. Dai test clinici svolti nei giorni successivi emerge che Calissano era giunto in ospedale in stato di alterazione psicofisica per uso di stupefacenti e sotto effetto di allucinogeni. Io già mi sono incazzato parecchio quando me lo sono dovuto subire in lacrime che raccontava la storia della sua tragedia di vita inogniddove, ci mancava solo Tele Radio Cazzo Duro e se l’era girate tutte; perché devi farmi diventare volgare Barbara? Ma cos’ha di eroico quell’uomo che hai dipinto come un martire che soffre e cerca di rifarsi una vita? Cos’ha di eroico quell’uomo ricco sfondato che va avanti a festini e cocaina e ammazza pure la gente; e la giustizia, solo perché ha fatto 4 bananate in TV e l’Isola dei famosi, lo ignora, permettendogli la sua vita schifosa, mentre un disgraziato drogato di periferia, ma che non ha interpretato il dottor Bruno De Carolis a Vivere, si fa dentro e fuori dalla galera tutta la vita?
    Io questo pietoso vittimismo ingiusto non lo sopporto. Questo voler trasformare la merda in oro a tutti i costi. Ma perché? Piuttosto ringraziasse Dio che a lasciarci le penne è stata quella sfigata con 2 figli a casa; lo ringraziasse giorno e notte, perché pure Lui, in quell’occasione s’è fatto condizionare dalla popolarità. Neanche fosse
    Toni Servillo poi. Ma io di Gomorra che ha fatto l’en plein agli European Film Awards, beccandosi 5 statuette su 5 candidature, e il 22 febbraio a Los Angeles gli danno pure l’Oscar e stiamo a posto, non ne voglio parlare. Perché Saviano è brutto e cattivo, e finisce pure in ano, come Giordano e Calissano.
    Scrivi un commento →: Quel porco di Paolo Calissano
  • È come se dal momento preciso in cui la mattina l’aria sfiora le ciglia e mi fa aprire gli occhi, fino all’istante esatto in cui quella stessa aria vi si posa e li accarezza facendoli chiudere, un’insofferenza globale facesse da sottofondo a tutte le ore e le cose e le persone, che la subiscono di riflesso. Anzi è proprio così, non è come se. Non è tanto per gli altri che mi preoccupo, non sono così altruista, soprattutto adesso che in così tanti si sono uniti in matrimonio in nome del dio  del silenzio e hanno trovato così la loro pace, beati loro, al punto che ho quasi paura di disturbarli, quanto di me, che non mi riconosco più. C’è da operare qualche cambiamento perché se no da tutta questa situazione non ne vengo fuori. E i cambiamenti nell’ordine vedranno intanto La stanza del Matto aggiornarsi nelle ore notturne e non nelle ore mattutine (che c’entra? C’entra, sì). Poi una costante costrizione lontano dal pc, che m’imprigiona mentre libera il tempo che è troppo veloce perché possa stargli dietro, e la velocità del tempo è una cosa che odio, ad esempio. Quello che detto così appare come un semplice spostare corrisponde invece a un prepotente provare a reagire. Non fatemi dire disperato che non voglio dubbi, non voglio tentennare. Sembro pazzo, comunque di certo lo sto diventando. Sento rumori strani in casa e penso spesso a cose brutte. Niccolò dice che, quando mi ritroveranno a giocare a carte seduto a un’immensa tavolata vuota, allora sarà conclusa la mia degenerazione. Ieri parlavo da solo, non è lontanissimo quel momento. È come se mi rivoltassi e decidessi di far vivere la vita alle mie interiora. Anzi è proprio così, non è come se. È del tutto inutile provare a convincerle che viene prima la premura dell’istinto, sulle risposte, sugli appuntamenti. Non sono io quella persona che non si cura più dei rapporti. Sono così diverso che è come se non fossero miei quegli occhi, quei pensieri che non riescono ad incidere sui comportamenti. E poi sono stanco, sia nel senso di stufo che nel senso di forze che mancano. L’altro me non sa comprendere che l’isolamento non è proprio la decisione migliore, perché la solitudine non accarezza, atterrisce e taglia con le dita affilate dell’unico abbraccio che riceve adesso l’altro me, quello della solitudine, appunto. Non è molto sveglio, e in questo assomiglia al vecchio me. Pure nell’ironia, credo. E pure nell’amore per tutto ciò che resiste a qualunque cambiamento. Cavolo, quanto vi voglio bene.
    L’Arno è in piena. Nello spazio che va dal suo continuo sbattere nel vento e dal mio continuo sbattere contro l’angolo del comodino (ieri notte dal dolore mi è uscita una lacrima dal ginocchio) fino al giorno in cui guardando l’Arno mi fermerò a riflettere e forse scriverò anche, non preoccupatevi e non abbiate niente da ridire se di tanto in tanto spunteranno post così. E non chiedetemi neanche così come, che io poi vi rispondo così, come se giocassi a carte da solo in una immensa tavolata, e non importa se a Scala40 o a Poker, tanto comunque vincerei.  
    Scrivi un commento →: L’Arno è in piena mentre qua c’è il deserto
  • Io che sono uno dall’animo tenero, come una fettina di fegato in padella col burro, non potevo far sì che un appello un po’ intraducibile, ma pur sempre un appello, e pure disperato, trovasse l’oblio della dimenticanza, e così ho deciso di aiutare XXX che mi ha scritto il seguente pvt che riporto fedelmente:
     
    Cordiali saluti, (ma non si dice alla fine, di solito?) mi Benedizione (grazie! Ma chi è costui, Benedetto XVI in persona?), alto, sottile (no, non è il Papa), la fiera (dell’est?), e un ottimo (ottimo cosa, partito?) cerca ragazza che ama viaggiare e ballare, uno studente (cerchi una ragazza trans?), che ama essere amata, vi preghiamo (quanti siete, scusate?) di contattare il mio permesso (avanti fesso!) attraverso questo mezzo (il pvt?) io sono costretto a contatto con voi attraverso questo medio (costretto da chi? Diccelo che possiamo fare qualcosa per liberarti) per ovvi motivi che lei capirà quando si parla di dettagli del mio pro-position (ah, la vuoi pagare la fanciulla per viaggiare e ballare). Pls io come voi a rispondere a me attraverso la mia mail, in modo che si conoscano molto bene (ma di chi parli?), attendo con ansia alla tua conferma positiva per consentire a noi hanno un ruolo importante la discussione che inizierà da lì che comprenderà la mia introduzione, vorrei inviare la mia foto più tardi. (Mi dà tanto l’idea di un’associazione a delinquere.)
    Grazie e Dio vi benedica (sono sempre uno).
    Benedizione. (Ancora?)

    Sapete che facciamo? Gli scriviamo un’e-mail, perché noi siamo, guarda un po’, una splendida fanciulla che ama viaggiare e ballare. E vediamo quali sono i dettagli del suo pro-position. (Secondo me questo è africano.)
    Aggiornamento lampo: gli ho scritto. Ciao, mi chiamo Carla e sono una studentessa di 23 anni molto carina e simpatica. Amo viaggiare e ballare e divertirmi. Mi hai scritto un pvt su Splinder qualche giorno fa così ho deciso di conoscerti. Puoi dirmi qualcosa di te?
    Un bacio e a presto.
    Ora attendiamo.
    (Auguri alla ghira e al suo ragazzo che hanno festeggiato insieme 2 anni di ammmòre, e a noi ‘ste cose ci piacciono tanto, ma proprio tanto.)
    Scrivi un commento →: Il suo pro-position
  • In questi giorni si parla parecchio dell’uscita nelle sale del nuovo film di Salvatores Come dio comanda tratto dall’omonimo libro di Niccolò Ammaniti, premio Strega 2006 e grandioso successo di vendita (non c’è da stupirsi, parliamo di Ammaniti mica di Angela Melillo, insomma). Io il libro l’ho letto e sono rimasto un po’ deluso, come rimani deluso da chi ti aspetti 10 e ti dà 8 che è comunque molto più del 6- della massa. Chi ha letto tutti i libri di Ammaniti sarà d’accordo con me che Come dio comanda forse è il più brutto, anche se più brutto è un’espressione ingiusta perché è comunque un romanzo d’altissimo livello, è che lui ha scritto l’incredibile e allora diciamo che Come dio comanda non è incredibile. Mi sono sempre chiesto perché nessuno mai aveva pensato di assegnare il premio Strega a Niccolò Ammaniti. Quando poi nel 2006 l’ha vinto, ho pensato che mi dispiaceva un po’ che l’avesse vinto proprio col suo libro meno incredibile, e non con Ti prendo e ti porto via, o Fango, o Io non ho paura, tanto per fare 3 esempi. Se ho tempo e me lo ricordo e qualcuno mi accompagna, forse a vedere il film ci vado. Interessante la dichiarazione di Ammaniti che dice che mentre scrive ama ascoltare determinati cantanti che lo ispirano a seconda del genere o del passaggio che sta scrivendo. La Bertè ed Elisa gli piacciono a tal punto da inserirne citazioni in quasi tutti i libri, Luce di Elisa addirittura come colonna sonora del film. E poi c’è Laura Pavesini (battuta di Franchino) che: “Se ascolto la Pausini mi vengono in mente storie horror: quel Marco se ne è andato e non ritorna più mi fa pensare a lui smembrato, squartato…” È stato molto carino Ammanniti nel limitarsi al testo della canzone perché avrebbe potuto dire che anche solo guardandola l’ispirazione horror divampa e, pur pensandolo, non l’ha detto. Intanto Come dio comanda, a 2 e più anni dall’uscita torna in classifica. E vediamocela la classifica dei libri più venduti. Quindi via a Stop al televoto! (Libri, perché quella dei CD, causa festività, questa settimana non è uscita, mannaggia a loro.)
    Prima Stephenie Meyer, seconda Stephenie Meyer, terza Stephenie Meyer, quarta Stephenie Meyer. Le prime 4 posizioni sono occupate dall’intera saga del vampiretto prodigio Edward Cullen e della (mica tanto) bella scolaretta diciassettenne Bella. Ho visto il video delirante della presentazione dell’ultimo capitolo (e speriamolo con tutto il cuore, che sia l’ultimo) Breaking down e ho notato che il 100, 92 per cento del pubblico era formato da ragazzine che più di 16 anni non avevano, che urlavano col libro in mano da far impallidire Regan McNeil dell’Esorcista. Ho letto qualche labiale e una diceva: “Avvampirizzame Edward! Scrocchiame un mozzico e damme a vita eterna! Vojo diventà come te, na specie de vampira ‘nzomma!”. Poi non stupitevi che la percentuale dei suicidi è schizzata alle stelle. Il suicidio è una degna reazione a tutto ciò. Intanto la Meyer c’ha preso gusto ed è uscito il primo capitolo di una sua nuova saga, stavolta fantascientifica, che si chiama L’ospite, edito da Rizzoli, che per ora bazzica i bassifondi della classifica e non è tanto diverso da Alien, perché la fantasia della Meyer è un po’ così. Al quinto posto c’è Il gioco dell’angelo di Zafòn, autore del capolavoro inimitabile L’ombra del vento. Ho letto anche questo e ve lo consiglio. Ci sono cose che non mi piacciono, ma nel complesso è un libro che lascia dentro emozioni scritte da una penna talentuosa. Seguono nell’ordine Camilleri, Giordano e Saviano che secondo me si becca l’Oscar, e ce lo sapremo a ridire. E poi Venuto al Mondo di Margaret Mazzantini (ve l’avevo detto che saliva) che eccome se è salito entrando in top ten. È il quarto libro italiano più venduto e il primo è ancora La solitudine dei numeri primi che ha superato il milione di copie, quindi facciamo che basta. Al 12esimo posto (parliamo sempre di narrativa italiana) c’è Paola Mastrocola con E se covano i lupi le galline che fanno, si mettono a ululare o perdono il pelo o si mangiano Cappuccetto Rosso con nonna annessa (la seconda parte l’ho aggiunta io). Io della Mastrocola ho letto soltanto Una barca nel bosco che aveva vinto il Campiello un po’ di anni fa e allora capii che i libri vincitori del Campiello erano i più brutti dell’anno così non ho più letto un libro della Mastrocola né un libro campiellato. Chiudiamo col 19esimo posto in cui troviamo la scrittrice di punta della Newton & Compton Federica Bosco con L’amore mi perseguita. Vi consiglio il blog di Federica, i suoi libri non li ho letti, ma giuro che prima o poi, se qualcuno me lo regala, uno (a caso) lo leggerò.
    [Inizio parentesi metereologica] (Perché il mio blog, come dico sempre, è un blog socialmente utile.) Pare che abbia nevicato parecchio al nord. Qua una spolverata stanotte è bastata a farmi sgranare gli occhi dal terrore, perché io la neve sulla strada non la voglio. Non tanto per me, quanto per il rincoglionimento della gente che quando nevica pare affetta da idiozia purissima e manie omicide e allora vuole venirti addosso con la macchina a tutti i costi. [Fine parentesi metereologica]
    Stop al televoto! si chiude con un dubbio lancinante. Ma quella ragazzina nana con la maglietta azzurra che ha cantato l’ultimo singolo di Giorgia domenica ad Amici, che si chiama Giorgia, e che le hanno dato pure il disco di platino e lei ha fatto finta di non saperlo esultando smodatamente come una tredicenne che ha vinto una cena con Scamarcio, poi è entrata nella scuola quindi?
    Scrivi un commento →: Stop al televoto! (Secondo voi Giorgia è da serale?)
  • Immagino che, suppongo che, credo che, consiglio (come devo esprimermi per non apparire tracotante?) a tutti (alcuni in particolare) di dare una rinfrescata alle già esigue conoscenze linguistiche, perché l’Italiano è così ricco che è davvero un peccato essere in un certo modo, comportarsi in un certo modo, dimostrare certi atteggiamenti e certe mancanze, e non saper definire la propria persona.
    Cominciamo dalle mancanze e leggiamo insieme le definizioni che il De Mauro dà di termini che usiamo ancor più di cacca, pipì e Twilight, ma il cui significato spesso non è così chiaro, e che a molti non appartiene per nulla.

    e|du|ca|zió|ne: garbo, buone maniere. Modo di comportarsi.
    Pare che vi sia chi l’educazione non l’ha ricevuta, e scusate se ho da ridire anche su questo che sembrerebbe quasi una giustificazione, perché non è che mio padre e mia madre mi abbiano insegnato che offendere gratuitamente non è cosa buona e giusta; e chi pur avendola ricevuta fa finta di non sapere cos’è. In entrambi i casi posso dare a costui del maleducato perché:

    ma|le|du||to: che, chi non ha ricevuto una buona educazione; che, chi ha modi sgarbati e incivili.
    Quindi non facciamo quelli che si offendono secondo il principio per il quale maleducato vorrebbe significare che ha avuto cattivi genitori, suvvia. Si riferisce a te e al tuo modo di rapportarti alla gente, non alla mamma e al papà.

    co|e|rèn|za: fedeltà di una persona ai propri principi, conformità costante tra le sue parole e le sue azioni.

    Che i principi in qualche caso sussistano, in moltissimi altri no, se quello che dici è lontano 1000 anni luce da quello che fai non sei coerente. Se il tuo accanimento sulle regole si abbatte su taluni e su altri no, che vivono quelle ore come pecore domestiche sotto i tuoi occhi di pastore padrone, allora non sei coerente.

    ri|spèt|to: sentimento di riguardo e di attenzione nei confronti degli altri, che trattiene dall’offendere, dal trattare bruscamente o in modo inadeguato.
    Il rispetto è alla base di qualunque rapporto umano, e non conta la posizione sociale o il successo nella vita, riconosciuto o meno che sia. Il rispetto è simbolo di evoluzione cerebrale, di civiltà. E quindi io lo porto a chiunque lo dimostri a me. Chi Madre Natura ha creato e Padre Lavoro ha cresciuto ed educato al non rispetto altrui, il mio non lo merita e allora scusate ancora se non riesco a stare zitto e procedere a testa bassa. Non ci riesco; la mia bocca parla e ferisce, con grande educazione però, che fa ancora più male.

    ar|ro|gàn|za: atteggiamento presuntuoso e tracotante.

    Che tu manifesti con chi non ti serve a nulla, con chi non sta ai tuoi giochetti di potere. Chi non sta nella tua cerchia, chi della tua amicizia di comodo se ne frega. Con gli altri:

    fal|si|: mancanza di sincerità, ipocrisia, doppiezza.
    I rapporti di convenienza di cui ti circondi, quelli che sei così perché ti serve questo e quest’altro.
    Fortuna che a me viene da ridere e anche un po’ tristezza, per te che pensi di arrivare all’America e invece sei soltanto la penultima ruota del carro. E anche se ti mettessero a guidarlo, quel carro, mi faresti pena lo stesso. Perché chi ti stringerà la mano non sarà per stima o per complimentarsi, ma soltanto perché tu lo metta un giorno a sederti accanto. Fai pure, io preferisco pulire le ruote del tuo carro piuttosto che il culo tuo. Finché mi andrà, chiaramente.

    Non è un punto di vista, è la lingua italiana, che sarà anche interpretabile, ma queste sono definizioni.
    (Dopo molteplici tentativi di editing del post, per via degli spazi che proprio non ne volevano sapere di venir fuori dove volevo io, Splinder pare avermi voluto accontentare. Se riscontrate un qualche scombussolamento, non è colpa mia ma di Splinder, che ha atteso la mia uscita per vendicarsi.)

    Scrivi un commento →: Definizioni di chi è simile a te
  • Oggi è il 342esimo giorno del Calend… Non è che perché ieri ho spaccato il minuto, ma non vado a sbagliare giorno, ora posso star qui a riscrivere il post da capo. Per chi ancora non l’ha letto, ieri ho scritto il post giusto, per vivere al meglio la giornata di oggi, quindi costoro smettano in questo preciso istante di leggere (arrivate al punto, almeno) e tornino al post di ieri. Per gli altri anno nuovo vita nuova, sempre per la mia capacità di vedere e scrivere il futuro. In realtà è solo la speranza che queste feste terminino il prima possibile, che i Magi si diano una mossa a portare quei loro regali inutili a un bambino che sta morendo di freddo (la trapunta Eminflex che poi te ne danno un’altra che si attacca alla prima con i clips e la fa diventare doppia, ideale per i freddi invernali, al posto della mirra pareva brutto?) perché il Natale e tutti i giorni vicini e non abbastanza lontani non tanto mi piacciono.
    Ieri notte, che il sonno mi schifava, per caso nella home page di Libero mi sono imbattuto nel video di Francesco, un ragazzo che fa gli scherzi telefonici notturni. È un video amatoriale, lui non è un professionista, ma secondo me potrebbe diventarlo. Ha una capacità incredibile di modulare voce, parlata, accento e ci sono cascati tutti nonostante i personaggi improbabili che interpretava negli scherzi.
    Guardatevi la telefonata di un bambino parecchio linguacciuto alla sua generosa nonnina, che ovviamente non lo riconosce, in una notte ormai prossima al Natale.

     
    Se non avete altro da fare che star lì a osservare i vostri addobbi con orgoglio, che poi sono sempre uguali all’anno scorso e a quello prima ancora, e non ve lo dice nessuno, ma ve lo dico io (e non è detto che sia negativa questa cosa del ripetersi, che in tanti chiamano tradizione) qua trovate anche altri suoi scherzetti.
    (Il Natale è arrivato anche nella mia camera, ahimè. Al vetro ho ritrovato un adesivo con un orso con sulla testa una stella cometa e, all’altro vetro, un adesivo con una renna che gli manca una zampa e un altro con un Babbo sorridente che lancia i cuori, a cavallo di un cigno visibilmente affaticato e pure incazzato per non essere emigrato.)
    Aggiornamento lampo: ho scoperto che Francesco è una vera celebrità su You Tube. Questo è il suo canale e io ho le lacrime agli occhi. Iscrivetevi.

    Scrivi un commento →: Mannacccia la miseeeriaaa! E mo’?
  • Oggi è il 342esimo giorno del Calendario Gregoriano, e cosa fa la gente banale? Attacca con lo scotch il fiocco col pungitopo e le bacche fuori la porta, appoggia due candele bianche e rosse col faccione di Babbo che ride, sul tavolinetto del salotto, per tre quarti consumate, incolla gli adesivi con le renne ai vetri, istalla il tubo di luci alla Flashdance sulla ringhiera del balcone, costruisce un presepe, meglio se di un pezzo solo e, fondamentale, addobba l’albero. Sorvoliamo sul presepe che non causa la morte di alcunché di vivente (il muschio compratelo in cartoleria, maledetti) e concentriamoci sull’albero, simbolo principe del calore, dell’unione, della bontà dei cuori, dell’arrivo del bambin Gesù che nasce (pure se il 93 per cento degli intervistati alla domanda: cosa si festeggia a Natale risponde che il 25 dicembre è il giorno della venuta al mondo del S(p)an Doro Paluani). Comunque, com’è il vostro albero? Mi auguro sia sempre il solito finto che una volta montato sembra una piramide più che un pino e dopo la Befana si smonta e rimette in garage. Chi fa l’albero vero ha tutto il mio disprezzo, e voglio dirglielo. A queste persone farei provare la sgradevole sensazione che prova il loro albero. Gli farei fare centinaia di buchetti, da un maestro di piercing non tanto bravo, sulle mani, sulle braccia, sulle guance e pure sulle tette, e ci aggancerei pesanti palline e babbi natale in ceramica e fili che sfiorano e fanno il solletico (pure se sono maschi. È pieno il mondo di maschi con le tette, e da un recente sondaggio pare che i maschi con le tette siano poi coloro che a Natale fanno l’albero coi pini veri, non chiedetemi il perché) e avvolgerei i loro corpi di lucette bollenti inchiodandoli con i piedi nel gelo del balcone. Per finire gli conficcherei una bella stella cometa al centro del cranio, e poi vediamo se l’anno dopo l’albero non lo fanno di carta. Già li vedo impazzire per realizzare un gigantesco origami frondoso dalle fattezze di abete, e colorarlo di verde, terrorizzati all’idea di dover subire nuovamente la stessa tortura.
    Se volete provare ad immaginare la sensazione sintonizzatevi su Radio Italia per almeno 150 minuti. Tenetela come colonna sonora delle vostre faccende; vi garantisco che quello che dalle casse invaderà la vostra aria è qualcosa di incommentabile. Da Spagna che canta Lupo solitario (con un grande cuore) ad Anna Oxa che urla Senza pietà, da Prendi una donna, trattala male, di cui sono felice di ignorarne l’interprete a Pino Daniele che qualunque cosa tanto è uguale fino a raggiungere Marco Carta che canta A chi di Fausto Leali (o era Fausto Leali che cantava la sigla di Amici, che ha scritto Gigggi e poi ha mandato l’esse emme esse a Maria per renderla partecipe di questa splendida notizia?). È a questi personaggi che farei assaggiare la tortura dell’albero. V’immaginate Pino Daniele intrappolato nelle lucine intermittenti come un arrosto di vitellone nel suo spago da forno? E poi, col nome che porta, se non lui, (aaa- a) chi (iiiiiii-i)?
    (Al posto dei faretti rotti ora c’è una verde pisello plafoniera che irradia luce verdina soffusa, perfetta per il bagno. Peccato che è della mia camera che si sta parlando.)
    Aggiornamento lampo: qualcuno nei commenti mi ha fatto notare che tutte queste cose si fanno l’8. Io ho guardato il calendario e ho scoperto che oggi è 7. Va be’, chi ancora non l’ha letto, chiuda immediatamente la pagina e la riapra domani. Questo è quello che si dice: prevedere il futuro.
    Scrivi un commento →: La tortura dell’albero
  • Ecco qua. C’ho preso la mano e ho fatto piazza pulita col template. Un po’ come capita a mia sorella quando si rifà le sopracciglia con le pinzette. Stacca di qua. Tira di là. Questa la levo che esce fuori. Quest’altra la levo così si raddrizza. Accidenti, s’è storta dall’altro lato, mi tocca togliere pure questa. Ora è più corta, troppo, accorcio anche l’altra così diventa uguale. Ma non è uguale mai, mannaggia. Che a lavoro ultimato delle sue sopracciglia non resta più alcuna traccia, e si ode fin dal vicino paese lo specchio ridere a crepapelle delle sue virgole di pelo sopra gli occhi.
    Sana e salva la minacciata sezione delle recensioni (chissà perché poi tanta pietà). Piombati invece nell’abisso i link e i banner, oltre all’annunciata sparatoria sulle copertine delle antologie e della mensola preferita. I casi della vita, mai sentirsi troppo al sicuro. Chi prima d’ora mai aveva fatto il suo ingresso nella Stanza non può sapere di cosa stia parlando ed è giustificato se clicca sulla X rossa in alto e chiude la pagina (ciao ciao). Giusto per riassumere, nella colonna di destra c’erano tante copertine di libri che adesso non ci sono più e io sto immensamente meglio (pure se gli avverbi mi sono antipatici ben più dei folletti di Babbo Natale e dei bimbi perfetti con gli occhi azzurri ottenuti per colorazione chimica nei laboratori segreti di C’è posta per te). Mi sentivo osservato, come se i personaggi di tutti quei libri mi alitassero sul collo senza essersi prima lavati i denti. Ora c’è il cielo, è diverso.
    Qualcuno ci rimarrà male per non essere più presente nella mia lista link, ma ho ritenuto che basta. Il fatto è che lo scambio link, l’inserimento banner pubblicitari, di iniziative, di premi vinti; il ti leggo se tu mi leggi, ti commento se tu mi commenti son cose che non mi appartengono più, oltre a portar via non poco tempo. E allora io leggo chi mi pare e chi mi piace e non mi servono i link per ritrovarli (ho una lunga lista di feed che apro giornalmente). Chi vuole, mi legga senza aspettarsi che io legga lui (io leggo tanti blog che non mi cagano neanche alla lontana, eppure continuo a leggerli). Mi scocciano i PVT che dicono: passa da me e lascia un commento. L’ultimo proprio ieri. A cui ho risposto: perché dovrei? Lei: non sei obbligato, se ti fa piacere puoi lasciare un commento. Anche tu puoi farlo col mio come con tutti i blog del mondo. Non ha più risposto (e meno male).  Insomma i link e i banner non servivano più a niente e alcuni facevano anche schifo, quindi via tutto perché, come dice Niccolò, meglio le cose semplici che le accozzaglie. E diciamolo che La stanza del Matto aveva preso le sembianze di un bazar, tipo quelli in cui si vendono le reti da pesca, le sigarette, le scarpette di plastica per passeggiare sugli scogli, i piumoni invernali, i giochi da tavola e tante altre chincaglierie scollegate. Poi mi sono sbizzarrito coi titoli delle sezioni superstiti, mi sentivo creativo ieri. Comunque non è che doveva cambiare chissà che. Una sfoltita, come quando rileggi un manoscritto e tagli tutto quello che non ti piace più. Io poi, che sono uno che non cambia cellulare da 6 anni (il mio Sharp gx10i (possiamo fare pubblicità perché immagino non sia più in commercio) può contenere massimo 10 messaggi e 20 foto, non sa mandare gli emme emme esse e touch screen pensa sia una proposta indecente e lui è timido e per sicurezza si rintana chiudendo lo sportellino dietro di sé) figuriamoci se cambio template.
    “Che bello il mio blog!” “Vacci ad abitare!”
    Piuttosto dovrei cambiare i faretti della mia stanza, quella in cui dormo veramente, perché da 4 funzionanti sono diventati 3, poi 2, poi 1 (e poi?). L’ultimo è venuto a mancare ieri notte che ho sbattuto la caviglia contro l’angolo del letto e, nel tentativo di accendere la lampada sul comodino, ho dato una carezza al cellulare che s’è fracassato a terra e per mezzora ha continuato a dirmi inserire sim. Ma cambiarlo non potrei mai.
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sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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