Non voglio discutere se siano o no colpevoli, 2 che poche ore dopo il ritrovamento della loro amica massacrata, vanno a comprarsi le mutandine sexy per fare i giochini erotici. Nemmeno se sia colpevole o no una che senza pensarci un minuto, accusa di omicidio quel poveraccio di Lumumba che non c’entrava nulla e quasi quasi noi italiani le crediamo.
Non fate di me un sadico ammiratore del dolore, che davanti alla TV ieri sera aspettava la proclamazione della loro colpevolezza con la stessa attesa che si prova per il goal al 90° della propria squadra preferita al posticipo di Campionato. Non ho seguito molto la faccenda, non mi piace la TV figuriamoci questa TV-tribunale. Non conoscevo bene le espressioni dell’imputata né i lineamenti dell’imputato, che credo di non aver visto mai prima di ieri sera. Quando hanno fatto il loro ingresso in aula, la telecamera si è paralizzata sulla ragazza. Perché non inquadrano mai quell’altro, mi sono domandato. Perché lei piangeva e i suoi non sono occhi comuni, ma occhi di mare e il suo viso è bellissimo, sembra un angelo. Ci si mette pure la bellezza, bingo! Tutti vogliono dire come sono andate le cose. Se a chiamarsi Amanda Knox fosse stata una grassona piena di nei pelosi e con 10 denti in tutto, dei quali 6 cariati e 2 devitalizzati, sfido chiunque a dire che il caso avrebbe avuto la stessa attenzione mediatica.
Quando il Giudice ha proclamato la loro innocenza, mi sono sentito spettatore di un film americano, non soltanto per la nazionalità della protagonista. Uno di quei film in cui all’ultima udienza si ribalta tutto: il presunto colpevole, sul quale pesavano decine di indizi, risulta innocente e qualcun altro diventa il colpevole definitivo. Ti senti sollevato perché tutto quadra e pensi: Giustizia è fatta!
Ieri è mancata proprio la seconda parte. I due ragazzi sono stati assolti per non aver commesso il fatto, quindi, per capirci, non è che le prove a loro carico non erano convincenti, come ho sentito dire, tutt’altro. Le prove raccolte hanno convinto la corte che loro non c’entrano niente. Assoluzione con formula piena = loro 2 non erano in casa al momento del delitto.
Vederli piangere abbracciati ai loro avvocati mi ha fatto sentire fortunato (non che dipenda dalla fortuna svegliarsi una mattina e ritrovarsi imputato di un omicidio a rischio ergastolo, in generale almeno. Però, se davvero sono innocenti, e a questo punto non dovrebbero esistere in nessuno di noi motivi per non pensarlo, beh allora la fortuna o la sfiga hanno contato di brutto). Poi sollevato perché quei 2 sono più piccoli di me e all’idea di trovarmi da innocente a dover vivere… lasciamo perdere che mi vengono i brividi al solo ipotizzarlo.
In questi 4 anni di carcere avranno costruito nella loro mente milioni di volte quei brevi istanti di verità alla fine del processo. Una fine che in un modo o nell’altro sarebbe arrivata e aveva una data. Ieri sera alle 21.50 si sono alzati e hanno ascoltato il loro destino. Da una parte la fine dell’incubo, la vita che riprende, il sole a qualunque ora. Dall’altra la fine senza appello: l’ergastolo. Ci pensate a cosa può significare trovarsi di fronte a un giudice che legge cosa ne sarà della vostra vita da qui in avanti, e per sempre?
Io quelli che urlano: Vergogna! a una corte che ha liberato 2 ragazzi non li capisco per 2 motivi.
– Siete degli investigatori voi e, dai vostri riscontri sul campo, sono risultati colpevoli? Avete letto tutte le carte del processo? Avete la facoltà di stabilire la colpevolezza di qualcuno e siete più attendibili di una vera procura?
– Mi piacerebbe vedere come vi sareste comportanti se al posto di quei 2 ci fossero stati i vostri figli, o fratelli o sorelle. Ma andate a vivere la vostra vita, a studiare, a lavorare, ad accudire mogli e mariti e figli e nipoti, a fare le faccende di casa, che coi processi delle vite degli altri non ci entrate proprio niente.
Poco sopra dicevo che al lieto fine cinematografico manca la seconda parte dell’americanata: la sostituzione del colpevole finto con quello reale, cosa che probabilmente non accadrà mai. Su questo mi sento in dovere di fare 2 riflessioni amare.
– Giustizia non è fatta per niente. Una ragazza è stata massacrata a coltellate e, come sempre più spesso accade nei delitti italiani, dopo anni di processi, indagini, udienze, interviste agli avvocati, tutto finisce e non si sa chi ha ucciso il poveraccio di turno. Possibile, mi chiedo io, che sia possibile (la ripetizione è voluta) massacrare qualcuno a coltellate in un appartamento di Perugia e riuscire a non lasciare nemmeno una traccia? Possibile, mi chiedo io, che sia possibile confondersi fra il DNA della vittima e l’amido di patata sul coltello trovato dagli inquirenti? L’amido di patata assomiglia vagamente per composizione chimica al DNA di una persona? Qualcuno per favore mi spieghi ‘sta cosa.
– Quel Guede è stato condannato presto presto a 16 anni di reclusione per essere complice del delitto, col rito abbreviato (cotto e mangiato, direbbe la Parodi prima di infilarsi in bocca l’indice sporco di uova battute con parmigiano e terriccio prelevato da sotto lo scarponcino di tuo marito tornato dalla caccia, e succhiarlo). Complicità significa la presenza di altre persone che suppongo, nella testa di chi l’ha giudicato, essere appunto Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Non mi pare ci siano altri imputati. Poi viene fuori che i 2 non c’entrano niente. Un complice senza complici (che di anni ne sconterà forse la metà, e ne sono passati già 4). È come dire: La torta non l’hai mangiata solo tu, e quindi stai in punizione soltanto 16 giorni, però non esistono prove che l’abbia mangiata pure qualcun altro. Siamo all’assurdo. Come si dovrebbe sentire la famiglia Cherker?
[Un’altra cosa che non capisco, ma la metto fra parentesi quadre in grassetto, è l’indignazione americana all’eventuale giudizio di colpevolezza della ragazza (indignazione che non escludo possa aver influito sul verdetto). La giustizia italiana sarà anche pasticciona e contraddittoria, com’è stata definita dal Sun, ma prendere lezioni dagli Americani pure sulla giustizia, loro che dopo mezzo processo che è quasi sempre soltanto una formalità, friggono le persone come fossero anelli di calamaretti, mi pare veramente troppo.]
Comunque Albano Carrisi, noto col nome d’arte Al Bano, lo sapeva già e nessuno, come al solito, se l’è cacato di striscio.
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