L’ho fatto. Sono stato proprio io. Il ragazzo tanto bravo, tanto educato, (non) tanto bello, quello che la vicina di casa conosce benissimo (senza averci scambiato più che un: “Ciao, salutami a mamma eh!” ogni tanto) e non pensava potesse mai fare una cosa simile. Lui che amava il suo blog verde acido. Ebbene sì, l’ho colpito con un piccone per ripetute ore, forse anche 4 consecutive. Lo confesso e giuro che non fornirò 37 versioni dell’omicidio, che a me di essere psicanalizzato da Morelli frega un ceppo, né erigerò altarini davanti ai quali inginocchiarmi per ricordare e onorare la sua memoria. Se mi guardo indietro veramente non mi riconosco. Tutta quella rabbia in corpo neanche un demone te la dà. Era una comune giornata, non particolarmente buia – il buio dei pensieri intendo – eppure all’improvviso mi sono sentito soffocare e non per via degli ultimi caldi di stagione. (Se sento una forma di vita lamentarsi per il freddo e il vento settembrino di questi giorni… qualche cosa farò, qualche cosa di sicuro io farò.) Piangerò. Come un coccodrillone affamato che si rispetti ho volontariamente masticato e a fatica digerito il mio cucciolo, smembrato a furia di cancellare codice HTML senza controllo. Lo odiavo talmente che godevo nell’aggiornare la pagina ogni volta più sconclusionata. Sparivano le sezioni, si accavallavano le immagini, la colonna laterale persisteva in una disperata agonia, nonostante la furia del dito sul Canc. Non voleva arrendersi alla sparizione. Guardando il risultato ho decifrato la causa: una stanchezza dovuta al passato. All’abitudine al passato, è più corretto. Ti abitui alle cose che vedi tutti i giorni, che un tempo ti entusiasmavano, che hai voluto con tutto te stesso. Non capisci che le stesse sensazioni che hanno acceso la scintilla della nascita sono ora pezzi senza vita, deteriorati e incollati fra loro in un tutt’uno che non riconosci, figuriamoci se può appartenerti. Finché vedi tutto e tutto insieme e ti ritrovi a massacrarlo senza aver paura del sangue, perché l’unica cosa che conta è liberarti in fretta dell’origine del tuo male. Sarà mica lo stesso meccanismo che scatta nella testa di un bravo maritino che da un giorno all’altro si trasforma in un mostro e fa a pezzi la moglie? Tutte quelle parole oltre che troppe erano diventate antiquate, roba di un Matteo che amava circondarsene. All’improvviso quello che faccio, che ho fatto, i libri che ho scritto si sono ribellati chiedendomi un ambiente vuoto, una stanza senza distrazioni, senza TV né poster alle pareti.
Una stanza bianca e nera d’inchiostro (nulla più) è quello di cui avevo bisogno, non di un luna park pieno di musichette e lucine colorate che attraggono gli occhi del lettore di qua e di là. Come al solito grazie a Pino, il mio grafico di fiducia fin dai tempi di ‘Non farmi male’ (diventa sempre più bravo ‘sto ragazzo), è avvenuto il miracolo della resurrezione, sulla terra però.
MatteoGrimaldi.com è di nuovo nato, e con esso anch’io.
Benvenuto a chi vorrà.
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