Lettera inviata nel 1854 al Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Pierce, da Seath, capo indiano della tribù dei Duwanish:
Come si possono comprare o vendere il cielo e il colore della terra?
L’idea sembra strana.
Noi non siamo padroni della freschezza dell’aria e dello zampillare dell’acqua.
Come si può chiedere di comprarla da noi?
Per la mia gente qualsiasi componente di questa terra è sacro.
Qualsiasi ago splendente di pino, qualsiasi sponsa sabbiosa, qualsiasi nebbia nell’oscurità, qualsiasi insetto ronzante è santo nella memoria ed esperienza del mio popolo.
Continuate a contaminare il vostro letto e una notte sarete soffocati dai vostri stessi rifiuti.
Quando i bisonti saranno stati tutti sterminati, i cavalli selvaggi tutti domati, quando gli angoli segreti delle foreste saranno invasi dall’odore degli uomini e la vista delle colline sarà oscurata dai fili che parlano, allora l’uomo si chiederà: dove sono gli alberi ed i cespugli?
Scomparsi!
Dov’è l’aquila?
Scomparsa!
E cosa significa dire addio al rondone e alla caccia, se non la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza?
Non so se poi quelle terre l’abbiano vendute o semplicemente gli americani se ne siano impossessati senza troppi scrupoli, come sono soliti fare. Quello di cui sono certo è che la cività non si misura in anni di evoluzione e tecnologia e potere economico. Esistono popoli di gran lunga più civili degli americani che ad esempio puniscono un delitto con un delitto. O degli italiani che fingono di non vedere e non sentire l’afrore di centinaia di quintali di spazzatura che soffoca un’intera città. Seath ci vedeva lungo. E ora, a noi, non resta che sopravvivere.
M.
Va be’ che a Carnevale ogni scherzo vale, ma addirittura votare… Io spero che alla fine dentro tutte le urne d’Italia vi siano solo le schede compilate dai politici candidati, che a votare per loro stessi ci vanno sicuro, e la mia, con barrata la casella corrispondente al trisnipote di Seth (creata artificiosamente da me con la preziosa matitina in dotazione).
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