Neanche per il Milan durante la finale di Champion’s League del 2005 tifai tanto come per Federica Manzon al premio Campiello la scorsa settimana su Rai1. In quella serataccia di 6 anni fa il terzo goal di Crespo non bastò. In 10 minuti folli il Milan fu prima raggiunto, dal 3 a 0 al 3 pari, e poi superato ai rigori. Non volevo riaprire la piaga di molti tifosi, ma mi piaceva il paragone e mi piace pensare che al mondo ci siano persone che tifano anche per il proprio libro preferito. (Persone era per dire me, che mi piaccio non spesso, ma sì quando per esempio la vespa Bruno annuncia il primo posto momentaneo e io salto dalla poltrona, corro da Madre appisolata sulla sua madre-poltrona rossa, la sveglio e lei non apprezza, ecco.)
Non sono bastati i 4 voti di vantaggio dopo lo spoglio dei primi 100 su 300 votanti. Andrea Molesini col suo ‘Non tutti i bastardi sono di Vienna’ le stava attaccato alle chiappe (metaforicamente parlando eh!), fino a riprenderla e vincere. Lo scrivo anche se non ci credo. Trovo tuttora inspiegabile non tanto la vittoria di Molesini che mi è anche simpatico, ma la non-vittoria di Tommaso, il protagonista di ‘Di fama e di sventura’. Leggerlo è stata un’esperienza che non mi aspettavo, soprattutto per via dei tanti libri coi quali non m’era più capitato niente di simile. Parlo della personificazione dei personaggi, del sentire la loro voce, del riconoscerne la parlata, del vedere le loro espressioni dubbiose, del partecipare alle loro crisi che diventano le tue. Parlo della rabbia, all’ultima pagina. Visto che su questo romanzo ho molto da dire, segue la prima parte della recensione che ho scritto per Solo Libri.
Tommaso è figlio di un destino scritto ancor prima della sua nascita, che nessuna volontà sembra poter modificare, neppure l’amore. Abbandono e solitudine sono gli approdi ai quali tutti i suoi rapporti sembrano condurre: Margherita muore dopo averlo messo al mondo; suo padre sparisce per sempre, mai dai suoi pensieri, che non si rassegnano all’idea di poterlo un giorno ritrovare da qualche parte, per caso. Come se il caso esistesse, come se in questa storia non fosse già tutto scritto. A occuparsi di lui nei primi anni è la nonna Vittoria, un personaggio ricco di fascino e mistero, l’unico conto che Tommaso riuscirà a far quadrare nella sua vita. Lo affida all’altra figlia Cristina che, assieme all’inetto marito, chiamato da Tommaso il mollusco, riesce prima a farlo sentire un estraneo in casa, reprimendo con spietato distacco le sue inclinazioni, a partire dalla passione per il cielo e le stelle, e poi lascia al collegio il compito di forgiare il suo carattere. Qui conosce Ariel Fiore, promettente campioncino di nuoto, complice con cui inventare il modo di sfuggire le regole ferree. Fra le stanze del collegio nasce un’amicizia interminabile nonostante il tradimento. Tommaso cresce e con lui l’ambizione e la voglia di riscattare tanta superflua sofferenza.
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E poi l’intervista all’autrice che si è concessa alle mie consuete 4 Chiacchiere (contate)…
Prima chiacchiera: La Mondadori ha imparato a conoscere Federica Manzon come editor prima che come autrice. Molti autori restano incollati al proprio editor, ne riconoscono il valore, sanno quanto della buona riuscita del libro dipenda dai suoi consigli. Altri invece, raggiunta la fama, se ne allontanano decidendo di procedere da soli e spesso arriva la sventura. Com’è il rapporto con i “tuoi” autori italiani? Di quali vai particolarmente fiera al punto da convincerti di essere affetta da Baudite incurabile (“L’ho inventato io!”)? Ce n’è qualcuno con cui è guerra aperta?
Il lavoro dell’editor per me è ben fatto quando rimane totalmente al servizio del libro e scompare con la sua pubblicazione. Per questo l’ansia di appropriazione che fa dire “Questo l’ho inventato io!” mi sembra assurda e anche pericolosa, perché rischia di far dimenticare che ogni successo, per quanto grande e condiviso dall’intera casa editrice, è prima di tutto il prodotto delle fatiche solitarie dell’autore e il lavoro successivo è tanto più efficace quanto più diventa mimetico e maieutico. Insomma, per me la figura dell’editor dovrebbe sfuggire del tutto la ribalta, e il rapporto d’amicizia che spesso nasce con lo scrittore è cosa da preservare nello spazio privato degli affetti.
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Finisco dando al Caso con la c maiuscola il ruolo determinante che Federica gli attribuisce nella decisione del futuro del suo Tommaso. Capita che la mia casa editrice espone a Libriamo, il festival letterario di Vicenza. Capita che gironzolando sulla rete leggo che Federica Manzon presenta ‘Di fama e di sventura’ a Libriamo. Bombardo la mia editrice di sms implorandola di andar da lei e lasciarle i miei saluti. “Da parte di quel ragazzo che ti ha intervistato per Solo Libri” le dico di dirle, sperando che si ricordi di me. Potete ammirare il risultato in alto a destra del post (fra le mani della Manzon). E ammirate pure la gaudente e rossa Sara Saorin, direttrice editoriale di Camelopardus (lo che non le piace essere così definita, ma tant’è!), al suo fianco.
A seguire in piccolo l’unica nota negativa della serata campielliana: Bruno Vespa (ma va?!).
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