Esiste una seconda dimensione che è il cesso, popolato da aguzzi spazzolini da denti parlanti che trombano con la spazzolona dalla onorevolissima funzione di staccare la merda dalla ceramica bianca, se l’acqua non ce la fa; creme antirughe che le rughe te le fanno venire per lo stress, generato dall’inefficacia della crema antirughe; pericolosissimi rotoli di carta che non finiscono mai; è un po’ inquietante quest’idea, se ci pensate: tutto finisce nella vita, i rotoloni di carta igienica no (non tutti, certi). Saponette che irritano non solo il culo; tappetini scivolosi che nascondono botole che vanno a finire negli scarichi dove si annidano capelli, peli pubici, saliva sputata e resti di cellule morte, ecc. Poi ne esiste pure una terza: l’autobus. Vi si accede salendo a bordo attraverso il buco spaziotemporale di una delle due porte laterali – quella centrale è solo per scendere e, se ti azzardi a salire da là, ti travolgono e neanche ti soccorrono perché, pure se sono cinesi, hanno indiscutibilmente ragione loro – ti vivi la tua avventura senza sapere cosa ti aspetta e, quando scendi, mi raccomando da quella centrale, che se ti azzardi a farlo da una laterale vedi sopra, sei sempre un po’ triste, come quando perdi tutte e tre i funghetti-vita a Super Mario Bross.
Stamattina una signora che ha dimostrato esagitazione notevole fin dal primo istante in cui è salita domanda all’autista: “Senta, questo passa là dietro, dove c’è la fermata del 35 insomma?” Muoveva le braccia che non ho capito se la sua più grande aspirazione non coronata fosse quella di dirigere il traffico o se stesse inseguendo l’intenzione di dimostrare di essere più scoordinata di Valeria Rossi nel video di Sole cuore amore. “Sì signora” risponde l’autista con un tono che sembra suggerirle un farmaco per sedare gli elefanti. La signora procede e si mischia alla folla pressata. D’un tratto l’autobus incoccia contro qualcosa, mi ricorda il Titanic con l’iceberg solo che sul ponte non c’era tutta quella gente pronta a dare l’allarme: “Fermaaa… oddio… una ragazza… motorino… così la ucciderai… fermaaaa l’autobuuus!”. Una fanciulla un po’ truzza, magari se ne vanta pure come la tipa del famoso video Io sono una truzza (cercatelo su You Tube perché il link da me non lo avrete mai, sarebbe per me come invogliare alla lettura del prossimo romanzo di Povia), nel tentativo di superare a destra, tra l’altro in curva (a destra) si è ritrovata incastrata tra la fiancata arancione dell’autobus e il marciapiede. L’autista è sceso, ha fulminato Lady Fiorentina, che si preoccupava del graffietto sullo scooter e del suo piede bloccato che descriveva una grottesca, quasi divertente spirale su se stesso – più del piede, spero per lei – ha tirato via la fanciulla con forza, sempre con forza ha sollevato lo scooter dall’asfalto fino a sentire SCCCRRRTANK e l’ha appoggiato sopra al marciapiede. È tornato nell’autobus senza neanche chiederle se si era fatta male. Avrà pensato che, se poi gli avesse risposto di no, ci avrebbe pensato lui a farle apprendere la lezione colpendola ripetutamente con una spranga, dimenticata lì dal Mostro di Firenze, e ha rimesso in moto. Proprio in quel momento la vecchia pazza di prima, quella del 35 ha preso a urlarmi: “Suona il campanello per favore, suona, mi suoni?” . Ti suono di sberle se non la smetti. Scende alla fermata e sale sull’autobus avanti a noi.
L’autista si volta verso di me: “Tanto la colpa è sempre dell’autista!” “La colpa di cosa?” “Che la gente sta fuori di testa. Chi si butta coi motorini sotto agli autobus, chi monta sugli autobus a caso…” “A caso?” “Sì, la signora che doveva prendere il 35!” “Eh?” “Ha preso il 16. Quello davanti non è il 35, ma il 16!”
Chissà se la sedicesima dimensione è migliore della trentacinquesima, comunque, non so perché, ma ben le sta, secondo me.
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